Intervista a Donato Carrisi

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Oggi sul mio blog ho il piacere di ospitare Donato Carrisi, che mi ha concesso parte del suo tempo prezioso, con una simpatia e una spontaneità, che alla fine è sembrata una chiacchierata tra amici e di questo lo ringrazio molto!

1.Una persona così giovane come te e già con un bagaglio di attività davvero importante..

Come sei approdato alla scrittura e quanto le tue precedenti attività hanno influenzato il tuo stile?
D.: Bella domanda..in realtà io non mi definisco uno scrittore, ma un narratore. Mi piace raccontare storie da quando ero piccolo. Anche all’asilo catalizzavo l’attenzione dei compagni di classe con storie macabre, tant’è che qualche maestra mi diceva che avevo un angelo custode cattivo! Sono un narratore per cui non conta la forma attraverso cui racconto. Può essere un romanzo, una sceneggiatura, anche una pagina scritta che necessariamente deve passare attraverso la voce di qualcuno, quindi non mi limito esattamente alla parola.
Tutta la vita influenza quello che sei. Io penso che tutti i film che ho visto, tutti i libri che ho letto, le esperienze che ho fatto, tutte le persone che mi è  capitato di incontrare, tendo a riversarle nelle storie che scrivo. Qualcuno si riconoscerà, altri molto meno ma..è quello che faccio.

2. Com’è stato il tuo approccio verso le case editrici?

D.: Beh, guarda, io ho scritto due romanzi prima de “Il suggeritore” che, grazie a Dio, nessun editore ha voluto pubblicare. Come dico sempre, gli scrittori non devono mai innamorarsi delle storie. C’è un percorso per tutti. Non è che scrivi il primo romanzo e automaticamente ti viene pubblicato. Devi scrivere altre cose, hai bisogno di una palestra. Quello che dico agli aspiranti scrittori è: “Non innamoratevi di quello che avete scritto, non siate frustrati tanto da scrivere su internet la vostra rabbia. Se avete un romanzo nel cassetto, forse è il caso di chiuderlo bene quel cassetto.” Per me è stato così. Quei due romanzi non erano all’altezza de “Il suggeritore”. Se li avessero pubblicati, avrebbero costituito un precedente pericoloso! Per i librai e per i lettori che avrebbero detto: “Ma questo Carrisi che cosa ha fatto prima de “Il suggeritore”? Mmhh, non mi fido, non lo compro. Io ci ho impiegato 15 anni per farmi pubblicare. Ho mandato manoscritti a tutte le case editrici a “a pioggia”, tutto l’iter giusto. E con “Il suggeritore” è successo il miracolo.

3.Hai scritto “Il suggeritore”, pubblicato da Longanesi nel 2009. Com’è cambiata la tua vita da quel momento?

D.: La vita è cambiata tantissimo, quasi radicalmente. Sono riuscito a conservare gli affetti, la famiglia e gli amici di sempre, senza i quali non riuscirei a scrivere, probabilmente. E’ stata un’avventura strana per il primo romanzo, perché per poterlo scrivere ho abbandonato tutto. Ho lasciato per un periodo il mio lavoro di sceneggiatore e non sapevo se sarei riuscito a rientrare in quel mondo..è stato un rischio, è stato un azzardo. Io mi ricordo le mattine in cui mi alzavo, mi mettevo davanti al computer e non sapevo se quello che stavo facendo sarebbe stato pubblicato o meno. Magari quella storia sarebbe rimasta sepolta nel computer, chi sa?  Invece è successo tutto molto rapidamente. Ho iniziato ad inviare mail agli agenti editoriali, ho cominciato dal più grosso con la sinossi del romanzo, immaginando che non mi avrebbe mai risposto. Invece, dopo due ore, avevo già il suo riscontro. Chiedendomi il romanzo, gliel’ho mandato un mese dopo perché non era ancora finito. Ci ha impiegato solo due giorni a leggerlo e mi ha detto: “Il romanzo è fortissimo! Possiamo lavorarci insieme”. E io ancora non mi rendevo conto..
Poi c’è stata chiaramente un’opera di editing con l’agenzia, è normale anche per perfezionare alcuni passaggi.
E poi siamo arrivati alle case editrici. E’ partita un’asta, spuntata da Longanesi. E un grande editore che è Stefano Mauri, che è un editore in carne ed ossa, ha assunto l’impegno di portare avanti questo romanzo. Non è sufficiente essere un bravo scrittore, ci vuole anche un bravo agente, nel mio caso un grande editore. E il romanzo è stato venduto a case editrici straniere ancora prima che fosse pubblicato in Italia. E io continuavo a ripetermi: “Ma è normale tutto questo? Mi dicevano di no..” Invito quindi tutti a crederci, fino in fondo.
4. Quanto tempo hai impiegato per scriverlo?
D.: Ci ho impiegato 10 anni perché in realtà l’idea mi è venuta nel 1999, ho scritto un soggettino cinematografico che era quasi una traccia. Che poi si è alimentato negli anni, fino a diventare una sceneggiatura, che nessuno voleva fare. Poi, un caro produttore che ora non c’è più, Achille Manzotti, mi ha consigliato di trasformarlo in un romanzo, che ho scritto circa in un anno.
5. Che caratteristiche deve avere, secondo te, un romanzo, per stuzzicare il lettore?
D.: Beh, intanto deve assomigliare al lettore. Io scrivo come se fossi un lettore, non uno scrittore. Mi piace parlare delle mie storie e già le vedo come qualcosa di separato da me. E’ la storia che mi divertirei a leggere, quindi entrare nella testa del lettore quasi come il profiler entra nella testa dell’assassino e capire quali sono i posti dove il lettore vuole essere portato, perché noi tracciamo il percorso di un viaggio e tendiamo a stupire. Magari il lettore ha un determinato obiettivo e poi il cammino per raggiungerlo lo decidiamo noi scrittori.
6. Ti sei laureato in giurisprudenza, e poi hai fatto un corso di specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Ti capita mai, involontariamente, di studiare i comportamenti di tuoi amici o conoscenti?
D.: Si, mi capita di analizzare i comportamenti delle persone che mi stanno intorno e non ci azzecco mai (ride!). E’ più facile con gli assassini che con gli affetti e gli amici.
7. Sicuramente avrai studiato la teoria del Lombroso, che tra l’altro è stata rinnegata totalmente in seguito. Pensi che dalla fisionomia si possa presupporre una predisposizione all’omicidio?
D.: Lo chiedi a uno che ha la faccia da criminale! Beh, comunque quelli con la faccia da angeli, si sono rivelati i più efferati assassini. Io ho avuto a che fare con Luigi Chiatti che ha la faccia da bravo ragazzo, occhi azzurri, educato e gentile..e poi si è rivelato un assassino di bambini.
8. Ora è uscito il tuo nuovo romanzo Il tribunale delle anime. Qual è stata la scintilla?
Credo non ci si possa definire scrittori senza aver provato una storia, non esistono scrittori che prescindono dalle storie che raccontano. Io sono stato molto fortunato nello scrivere “Il suggeritore” e lo sono stato anche con questo. Stavo scrivendo il secondo romanzo, il fatidico ostacolo che ti deve consacrare o far sparire dalla circolazione, il dente che ti dicono di togliere velocemente per passare al terzo. A maggio dell’anno scorso, un amico della Questura di Roma, un cacciatore di persone scomparse che mi è servito come modello per il personaggio de “Il suggeritore”, mi chiama per dirmi che stava conducendo un’indagine e collaborando con un tizio che secondo lui avrei dovuto intervistarlo. Mi spiega che ha una storia fenomenale da raccontarmi. Ci siamo incontrati in Piazza delle Cinque Lune, vicino Piazza Navona a Roma e questo mi ha raccontato la storia thriller più straordinaria che avessi mai sentito…sono rimasto di stucco! Abbiamo girato per un po’ nei vicoli di Piazza Navona, luoghi in cui si svolge la storia de “Il tribunale delle anime” e mi ha raccontato la storia dell’Archivio della Penitenzieria. Sono tornato a casa e ho googlato e mi sono chiesto come mai questa cosa esistesse dal XXII secolo e nessuno ne avesse mai parlato..eppure non è un segreto..
C’era Roma, c’erano tutti questi elementi e ho iniziato a prendere appunti. Stavo finendo il romanzo che avevo già cominciato, ma il lievito della storia ha iniziato a fermentare, i personaggi prendevano vita da soli e dopo una notte di passione ho chiamato il mio editore e gli ho chiesto di scrivere questa storia fortissima e l’editore mi ha dato l’ok. Ci ho messo un anno ed è stata un’esperienza indimenticabile.
9. Permettimi di citare una frase che ho trovato nella seconda di copertina, piuttosto angosciante quanto reale: “Quando la giustizia non è più possibile, resta soltanto il perdono. Oppure la vendetta.” Cosa ne pensi? Una in netta contrapposizione all’altra..non ci sono vie di mezzo?
Credo ci siano tutte le vie possibili e immaginabili, ma io scrivo libri in cui obbligo un lettore a “sporcarsi” le mani, deve entrare nel romanzo. Lo scrittore deve prendere le parti del buono e del cattivo quando scrive e quindi espone anche il lato oscuro.
Non esiste una risposta univoca di interrogativo, ogni lettore si deve porre la sua domanda, è facile invocare la legge del taglione. Mi capita spesso di sentire per i casi di cronaca, tutti che puntano il dito e chiedono la punizione esemplare, ma trovandosi davanti l’occasione cosa faremmo? Se capitasse a te, se ti capitasse un’ingiustizia e il colpevole finisse in libertà, rimanendo impunito, andresti fino in fondo o lo perdoneresti e quindi lo ignoreresti?
10. Tra tutti i personaggi, quello che mi ha colpito maggiormente è Marcus, definito “Cacciatore del buio”, colui che scova le anomalie. Qual è stato lo spunto da cui è scaturita l’idea? Credi esistano anche nella realtà persone dotate di queste capacità? Ci vogliano delle doti particolari per scovare il male? O ne siamo ormai talmente immersi che non ce ne accorgiamo più?
D.: Esistono e sono proprio i penitenzieri, i cacciatori del buio. Scovare le anomalie non è un metodo scientifico e non è contemplabile da nessun testo. Metti ad esempio il caso di Castelluccio dei Sauri dove sono intervenuti loro per analizzarlo. Due compagne di classe uccidono Nadia Roccia, senza un movente specifico. Sono state incastrate perché, dopo averle ascoltate separatamente, le hanno lasciate sole in una saletta con delle microspie nascoste. Hanno scoperto che parlavano di Lucifero e del demonio. Quelle frasi hanno aperto un’interpretazione diversa rispetto al fatto criminale. Svuotiamo i delitti dei significati esoterici e torniamo alla criminologia! Questi sono criminologi del Vaticano.
11. Pensi che siano più “criminali” quelli che commettono un omicidio, o quelli che morbosamente ne seguono le vicende nei minimi particolari, tipo organizzare pellegrinaggi ad esempio a visitare case di vittime di omicidi?
D.: Seguire i particolari di un omicidio non lo trovo una cosa negativa..l’aspetto morboso è sicuramente minoritario rispetto ad altre circostanze che spingono l’opinione pubblica ad interessarsi di un fatto di cronaca. Io trovo che ci sia un’esigenza di partecipazione, al contrario. Una volta ci si dedicava alla politica, adesso non interessa più niente a nessuno e ci si esprime sui fatti di cronaca, dove possono prendere opinione, o al calcio. Quando finisce la fase dell’indagine e inizia la fase processuale, l’interesse crolla improvvisamente! Non hanno un senso della giustizia, ma vogliono solo puntare il dito e dire, come in un quiz giallo, che hanno indovinato chi era il colpevole. Su questo dovremmo riflettere però mi dico anche che se non ci fosse delle volte quell’attenzione morbosa, forse il caso di Erica Claps non si sarebbe mai risolto..almeno ora i genitori di quella ragazza hanno una tomba su cui piangere. Meglio sapere che la persona è morta che non saperne niente.

 

 

12. Qual’è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso questo romanzo?
D: Sai, io pongo al lettore una serie di domande. Poi sta al lettore trovare le risposte. Magari mi piacerebbe conoscere alcune delle risposte, perché io stesso non le ho tutte. Secondo me il lettore deve essere trascinato all’interno della storia e deve trovarsi un po’ circondato dal romanzo. Penso sia questa l’unica cosa che mi preme, più del messaggio che può trasmettere un libro.
Finiamo l’intervista con una notizia che Donato mi rivela su Michael Connelly, che sarà il suo padrino appena uscirà “Il suggeritore” negli Stati Uniti  e di questo Donato è orgogliosissimo, avendo ricevuto i complimenti direttamente da lui.
E con questo concludo questa lunga intervista, sapendo che chi avrà avuto la pazienza di leggerla tutta, ne sarà rimasto soddisfatto, come lo sono stata io nel farla!