Intervista a Alberto Custerlina

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custerlinaluiLeggendo la tua biografia, mi ha colpito il fatto che tu, come Franck Thilliez – intervistato da me poco tempo fa – siate informatici e scrittori. Cos’è, un’epidemia?
A parte gli scherzi, ti propongo la prima domanda che ho fatto a lui:
1. Informatico per lavoro, scrittore per passione. Credi sia corretta la mia definizione?
A.: E’ parzialmente corretta. Per quanto mi riguarda, anche l’informatica è una passione e continuo a portarla avanti con lo stesso entusiasmo di trent’anni fa, quando ho iniziato a smanettare sul mio Spectrum. Da questo punto di vista, mi considero un privilegiato, perché non dovendo scrivere per vivere, ho tutta la libertà del mondo per inventare le storie che voglio e per scriverle con i tempi a me più congeniali. Mi piacerebbe diventare uno scrittore professionista solo per poter dormire di notte. 😉
2. Quando ti sei accorto che avevi la voglia di scrivere e com’è nato il tuo primo romanzo intitolato “Balkan Bang!”?
A.:  Nella testa di un lettore forte si sviluppa sempre un pallino che alla fine lo porta a provare a scrivere qualcosa. Sono convinto succeda a tutti. Io ho iniziato nell’autunno del 2003, quando sono rimasto a letto per 3 mesi, in seguito ad alcune fratture procuratemi da una caduta in montagna. L’inizio è stato disarmante, ma ho insistito, ho studiato e dopo aver scritto due polizieschi e mezzo, uno migliore dell’altro ma nessuno pubblicabile ;), ho avuto l’idea di Balkan bang!, che nelle intenzioni originali doveva essere di ambientazione americana. Inizialmente, ho trovato molte difficoltà, poi sono passato all’ambientazione balcanica e ho visto la luce. Ci sono voluti due anni per scriverlo.
3. So che per questo libro hai tratto ispirazione principalmente dai fumetti e, leggendo il titolo, mi è subito venuto in mente il cartone animato di tanti anni fa, “Supergulp”, con Nick Carter, te li ricordi? Come mai questa scelta? E quali fumetti ti hanno ispirato maggiormente?
A.: Ricordo bene Supergulp, all’epoca non avevo perso una puntata e recentemente mi sono comperato anche il libro con il DVD dei cartoni di Nick Carter. Riguardo a Balkan bang!, avevo la necessità di fare qualcosa che creasse un punto di rottura rispetto alla produzione giallo/noir italiana, così sono sceso sul terreno del pulp fumettistico e cinematografico, inventando situazioni e personaggi sopra le righe, ma calandoli in una realtà assolutamente vera. Anche la storia dello sbiancamento (e non diciamo di cosa) è reale. Riguardo ai fumetti, non so dire esattamente quali mi abbiano ispirato di più (sicuramente Sin City di Franck Miller), perché è il concetto stesso di fumetto che ha parzialmente guidato le mie scelte, fin dal titolo.
4. Negli altri due romanzi, invece, sei stato più sul..tradizionale (si fa per dire!). Volevi forse puntare maggiormente su scenografie cinematografiche?
A.: L’influenza del cinema sui miei romanzi è più forte di quella fumettistica. Sono un grande divoratore di film (e di serie tv). Per rispondere alla tua domanda, il motivo per cui Mano Nera e Cul-de-sac sono diversi da Balkan bang! è da ricercare nella mia maturazione come scrittore, che mi ha permesso di avvicinarmi maggiormente all’idea che avevo in mente fin dall’inizio. Oggi, il primo romanzo lo riscriverei completamente, se non altro per asciugarlo un po’ e dargli un ritmo più elevato, soprattutto nella prima parte.
5. Definisci lo stile dei tuoi romanzi, “Turbo-Noir”. Cosa significa esattamente?
A.: Era una boutade nata nel momento della discussione in Rete sul Post-Noir. Devo riconoscere, però, che si tratta di una definizione che contiene una certa dose di verità: nei Balcani spopola un genere musicale che si chiama Turbo-Folk, un mix di dance e musica tradizionale balcanica, di solito molto veloce. Be’, i miei romanzi sono così: un mix di generi e di visioni diverse molto veloci. Oggi, però, sono un po’ restio a etichettarli come noir, ma questa è un’altra storia.
6. Ho letto in una tua precedente intervista, che il tuo approccio alla scrittura è una sorta di sperimentazione verso stili diversi dai thriller americani, che descrivono il solito poliziotto sfigato e pieno di complessi, o anche dai romanzi italiani. Credi dunque che il mercato sia saturo? E che tipo di risposta hai avuto dai lettori? Hanno apprezzato?
A.:  Il mercato editoriale (italiano) è saturo di pubblicazioni e quando scendiamo all’interno del genere ci accorgiamo che a sua volta esso è saturo di romanzi che seguono cliché ben precisi. Del resto, credo sia normale esista il concetto di moda anche in questo settore: l’editoria è un’industria e in quanto tale deve vendere. Va detto, però, che pur capendo la situazione a livello commerciale, non la condivido per nulla, perché questo forsennato mercato editoriale sta portando i lettori lontano dalla qualità e non rende nessun servizio alla cultura, neanche a quella popolare che io frequento.
Nel mio caso, ho avuto una risposta favolosa dagli addetti ai lavori e una risposta mediocre dai lettori. Del resto, devo dirlo, non ho intenzione di cambiare stile solo per piacere al mercato. Se un giorno imbroccherò il romanzo giusto, non sarà certo per un calcolo fatto a tavolino.
7. Nei tuoi libri ti soffermi a descrivere gli scenari criminosi soprattutto nella zona dei balcani. E’ una sorta di denuncia verso un territorio dimenticato o ti è più consono descrivere le zone che conosci?
A.:  Entrambi. Durante le presentazioni in giro per l’Italia ho visto che pochi sanno cos’è successo in quei posti e qual è la situazione oggigiorno. Allora ho tentato di colmare una piccola parte di questa lacuna. Va anche detto che si tratta di un territorio che ben si presta a un certo tipo di storie.
8. Nasci e vivi a Trieste. Come descriveresti questa città? Spazzata dalla bora e con un lato oscuro che pochi conoscono..è così?
A.:  Trieste è una città che fino al 1918 era pienamente Austriaca (lo è stata per quasi 500 anni), era una città all’avanguardia nel mondo ed era abitata da molte etnie diverse (italiana, tedesca, slovena, serba, croata, eccetera). Alla fine della prima guerra mondiale l’Italia ha cercato di modificare questa situazione tramite una silenziosa e apparentemente pacifica pulizia etnica a favore della comunità italiana, che però, alla fine, si è anche un po’ pentita di aver sostenuto l’irredentismo (naturalmente qui semplifico molto per brevità, ma un giorno ne scriverò un romanzo, e questa è un’anticipazione). Il risultato ottenuto è una città molto chiusa in sé stessa, diffidente verso chi viene da fuori e in costante declino economico. Riguardo ai suo lati oscuri, qualcosa ho detto in Cul-de-sac e, forse, qualcosa dirò in futuro: ce ne sono molti da narrare.
9. Ho notato una similitudine nei romanzi che hai scritto nella creazione di personaggi femminili contrastanti, un po’ “border line”..in “Balkan Bang!” ci troviamo di fronte ZORKA, figura retorica e ambivalente. In “Mano nera” e “Cul-de-sac” predomina una spietata killer croata, LJUDMILA HORVAT, chiamata anche “la santa” per il suo integralismo cattolico. Perché ti piace creare personaggi che hanno sempre un rovescio della medaglia?
A.:  Non credo nei personaggi statici e mono-dimensionali. Risultano spesso artificiali e poco ancorati alla ricchezza della vita e alla varietà degli essere umani e dei loro comportamenti. Ognuno di noi ha più facce e nessuno di noi è solo buono o solo cattivo. Uno scrittore deve saper riconoscere queste sfaccettature e saperle riproporre nei suoi attori.
E poi, negli ultimi due romanzi ho voluto fare un esperimento: occuparmi esclusivamente di personaggi che nella visione comune sono considerati negativi (criminali, essenzialmente) e cercare di tirarne fuori il lato positivo per vedere se i lettori si affezionavano a loro, come succede con un commissario di polizia o con l’eroe di una fiction che, per convenzione sociale, sono sempre considerati positivi.
10. Parlami del tuo ultimo romanzo “Cul-de-sac”. Com’è nata l’idea?
A.:  Come mi succede sempre: parto da una scena che vedo nella mia testa come fosse un film, la scrivo e poi procedo per aggregazione. In questo caso la scena era l’inseguimento di Zeno Weber dietro al ladruncolo di panettoni: l’avevo già scritta tempo fa e mi piaceva particolarmente, perché in poche pagine ti dice molto del personaggio. Naturalmente, alla base del progetto c’era la volontà di narrare una certa Trieste, poco conosciuta anche ai triestini.
11. Abbiamo già parlato di Ljudmila, ma un personaggio che mi è risultato subito simpatico è Zeno Weber: un combattente, 5 anni nella Folgore, altri 5 in polizia, figlio di un pezzo grosso della DC di Trieste. Sembra uno con l’energia necessaria per spaccare il mondo, ma alla fine mi sembra uno… sfigato. Cosa diresti in sua difesa? Si è solo trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato?
A.:  Di Zeno Weber ne ho conosciuti parecchi. Sono persone che all’esterno mostrano forza e volontà (spesso sorrette da ideologie aggressive), ma al loro interno sono fragili e incapaci di prendere le decisioni giuste. E non possiamo dire che il loro errore sia trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato: Zeno, per esempio, fa delle scelte e le sbaglia tutte non perché sia sfortunato (o stupido), ma perché è guidato da un’idea di sé e degli altri che è sbagliata in partenza e che lo porta, per forza, verso situazioni pericolose e dolorose. La sua vita è in un cul-de-sac, ma basterebbe una sola scelta giusta (di quelle difficili da prendere) per cambiarla completamente.
12. Mi piacerebbe sapere quali romanzi legge Alberto Custerlina.
A.: Uno dei motivi per cui sono riuscito a emergere nel mondo dell’editoria riguarda proprio le mie letture, che sono sempre state molto varie e mi hanno permesso di partire da una piattaforma culturale molto solida. Cito alla rinfusa alcune letture del mio passato che sono state particolarmente significative: Joyce, Freud, Svevo, Musil, Buzzati, Tolkien, Dick, Vance, Gibson, Nietzsche, Verne, Dumas, King, Orwell e molti saggi, soprattutto di carattere filosofico o scientifico.
Ora quelle contemporanee, sempre alla rinfusa: De Lillo, Leonard, Manchette, Pancake, Lansdale, Pynchon, Carlotto, Wallace, Deaver, Connolly, Raymond, Paice…
Poi leggo anche gli esordienti italiani per tenerli d’occhio e pure roba che non mi piace (tipo certi thrilleroni da latte alle ginocchia), per vedere come scrivono i campioni delle vendite.
13. Di quale, dei tuoi tre romanzi, vorresti vedere la trasposizione cinematografica?
A.: Di tutti, ma se proprio ne devo sceglierne uno, opterei proprio per Cul-de-sac. Mi pare il più maturo e interessante.
14. Quanta fiducia riservi nell’editoria italiana? Pensi dia abbastanza spazio agli scrittori emergenti?
A.:  Si credo che l’editoria italiana dia sufficiente spazio agli esordienti.  Naturalmente, bisogna anche dire che spesso gli scrittori in erba sono presuntuosi e/o frettolosi e/o con una cultura letteraria (e non solo quella) di basso livello. Purtroppo, questa situazione è preponderante in coloro che frequentano la narrativa di genere.
Chiudo qui questa intervista, che rischierebbe di essere eccessivamente lunga, con l’idea che spero di ritrovarci ancora per il tuo prossimo lavoro!
Qui la recensione di Cul-de-sac