Intervista a Allan Guthrie

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Allan Guthrie è stato definito dal Guardian uno dei re del Tartan Noir: la particolare miscela crime scozzese definita così da Sua Maestà James Ellroy.Vive a Edimburgo. Autore di cinque romanzi e tre novelle, e tradotto in sei lingue, ha vinto nel 2007 il Theakstons Old Peculier Crime Novel Of The Year ed è stato finalista all’Edgar, all’Anthony e al Gumshoe Award.

Uscito da poco il suo romanzo Dietro le sbarre per la Revolver Libri, l’ho incontrato al Salone Internazionale del Libro di Torino e l’ho intervistato per voi.

1. Allan Guthrie, chi sei, da dove vieni e dove vorresti arrivare?
A. Bella domanda! Una volta Allan Guthrie era semplicemente un autore.. Ho pubblicato il mio primo romanzo nel 2004, “La spaccatura”, dalla fine del 2005 sono diventato anche un agente letterario, dal novembre 2011 ho una casa editrice on line che si chiama  Blasted Heath . Negli ultimi anni nel Regno Unito c’è stata una grande crescita del mercato degli ebook e del digitale. Vorrei espandermi molto da quel punto di vista, soprattutto come editore, in realtà. Come scrittore, questa esperienza in Italia è fantastica e Revolver Libri mi sta supportando moltissimo, è molto incoraggiante. Mi piacerebbe molto aumentare la mia presenza in Italia e anche in Francia e Germania, anche perché il Tartan Noir, che è il genere che rappresento insieme a scrittori di grande rilievo come Ian Rankin, Val Mc Dermid, vende bene e vorrei seguire il loro esempio. Loro stanno aprendo la strada e spero di seguirli! 

2. Ian Rankin ha detto di te: “Uno straordinario scrittore scozzese di cui dovete assolutamente leggere i libri.” Come convinceresti i lettori a leggere i tuoi romanzi?
A.: Prima di tutto, la domanda che farei a un potenziale lettore è: “Ti fidi di Ian Rankin? Ha detto che sono bravo!” In realtà, molta della crime-fiction che leggiamo è detective-fiction. Quindi è vista appunto dalla parte del detective, del giornalista o comunque di qualcuno che cerca di risolvere un caso. Quello che scrivo io è il punto di vista della vittima o del criminale. Quindi dà una visione diversa del crimine e della sua psicologia, il motivo per cui viene commesso o quali sono gli effetti sulla vittima. Non si trova nella detective-fiction se non in maniera marginale. Quindi i miei libri sono diversi e magari vale la pena di leggerli. Mantengono comunque gli ingredienti della crime-fiction, c’è la suspence, un certo ritmo e un certo mistero.

3. Il tuo esordio in Italia è stato “La spaccatura”, tradotto in Italia da Einaudi Stile Libero. Da quale idea è nato il romanzo?
A.: La storia è quella di un colpo, ambientata a Edimburgo, ma invece di essere il grande colpo cinematografico, è la storia di tre personaggi da poco e con rapporto molto strani tra di loro, che decidono di fare un colpo insieme per qualche migliaio di sterline in un ufficio postale. Mi sono messo al seguito della grande tradizione scozzese del gotico, di Robert Louis Stevenson soprattutto. Quindi l’aspetto psicologico che si vede. Di Stevenson voglio citare “Lo strano caso del Dr. Jeckyll e Mr Hyde”, oppure “Confessioni di un peccatore” di James Hogg. Però con una visione moderna e contemporanea degli stessi temi e degli stessi argomenti.

4. In questi ultimi anni sta emergendo la letteratura scozzese, che va a scontrarsi con lo “zoccolo duro” della letteratura americana e ne fa una piacevole digressione. Pensi che possano avere eguale successo? Quali, a tuo avviso, i punti di forza o le debolezze rispetto a quella americana?
A.: Intanto è difficile perché sono un grande appassionato sia di letteratura scozzese, che di crime-fiction americana, quindi sono influenzato da entrambe. L’etichetta di Tartan-Noir è, appunto, un’etichetta, un’ottima arma pubblicitaria ma è vastissima. Perché va dalle cose più cupe, più dark, come le mie, ai polizieschi più puliti, come Alex Grey. E’ uno spettro molto ampio. Sicuramente c’è l’aspetto gotico, l’umore nero e un senso del luogo. Devo dire di averli trovati, in alcuni casi, nella letteratura americana, tipo nei romanzi di Carl Hiaaisen, oppure di Elmore Leonard.

5. E’ stata concepita la definizione di “Tartan noir”, per etichettare un nuovo genere di letteratura, quella scozzese. Mi daresti una tua definizione del significato? Cosa rappresenta per te scrivere questo genere?
A.: Il termine è stato reso noto da James Ellory, ma Ian Rankin ne ha rivendicato la paternità o comunque di averglielo suggerito. Non importa, comunque è un modo per essere in grado di dare un appeal internazionale agli scrittori di crime scozzesi. Cristopher Brookmyre ha detto che in realtà, è una “impossibilità cromatica”, perché il Tartan non può essere Nero! In Scozia è utile per creare un po’ una “banda”. Ci supportiamo uno con l’altro e quando ho cominciato ho avuto un aiuto incredibile e non ho visto nessuno essere geloso del lavoro altrui. Non c’è rivalità. E’ molto utile per la pubblicità e per rendersi noti a livello internazionale, ma non so quanto sia importante definirsi Tartan-Noir.

6. Ora è uscito in Italia, pubblicato da Revolver Libri e tradotto da Marco Piva, il tuo romanzo “Dietro le sbarre”. Ce ne vuoi parlare?
A.: Io sono un grande fan dei romanzi ambientati in prigione. Uno dei miei preferiti si intitola “On the yard” di Malcom Braly, pubblicato tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60. Ne volevo scrivere uno anch’io, ma non avevo accessi alla ricerca e, tra l’altro, non mi piace fare ricerche! Poi, per caso, ho incontrato una ex guardia carceraria, che mi ha raccontato un sacco di aneddoti e ho subito pensato: “Devo assolutamente scriverci un libro!” La maggior parte delle cose che succedono nel romanzo vengono proprio da questi racconti, ovviamente con una grande licenza artistica per rendere i fatti più spettacolari. E’ stata una fantastica coincidenza incontrare questa persona, che mi ha fatto pensare molto. Questa persona aveva già lasciato il suo lavoro e lo odiava davvero ed era proprio quello di cui avevo bisogno, per scrivere questo romanzo. Volevo trasmettere una voce, un’opinione al personaggio che più o meno avevo in mente. Non è un racconto bilanciato e serio, uno studio della situazione delle carceri in Scozia. E’ uno studio di eventi terribili che sono successi e ovviamente romanzati e scritti in maniera che possano piacere ai lettori. Almeno spero!

7. Mi è piaciuto molto il personaggio di Nick Glass e mi permetto di citare una frase del libro che lo rappresenta appieno: “Aveva vissuto, visto cose, fatto cose, sentito dolore vero, quello che frantuma le ossa e ti strappa la carne.” Qual è stata la ragione per cui hai voluto parlare del sistema carcerario attraverso gli occhi di un giovane?
A.: La ex guardia carceraria con cui ho parlato, non è giovane. E’ un uomo fatto e finito, è stato nell’esercito, è molto esperto ed è uno che ci sapeva fare. Nonostante questo, anche lui ha avuto difficoltà ad inserirsi in un ambiente così estremamente ostile. Ha dovuto imparare a sopravvivere in quell’ambiente. E se per una persona così capace ed esperta è stato così difficile, perché non mettere una persona giovane completamente inadeguata in una situazione del genere? A me piace far cadere i miei personaggi in difficoltà incredibili e vedere come ne vengono fuori, o come non ne vengono fuori in questo caso.

Nick chiaramente non avrebbe dovuto essere lì. Dal punto di vista psicologico non era adeguato a quel lavoro, ma aveva bisogno di soldi. Non poteva svolgere quel lavoro ma nel contempo non poteva permettersi di lasciarlo. Per cui, è rimasto lì. Così mi ha permesso di arrivare molto rapidamente al midollo del mio personaggio e quindi della storia. Se avessi voluto scrivere dal punto di vista di uno che, al contrario, ce l’avesse fatta, che riesce ad arrangiarsi, (non dal punto di vista dell’eroe – che tra l’altro, non ce ne sono nel libro), avrei potuto scrivere la storia dal punto di vista di Cesare (), ma sarebbe stata molto meno divertente. Mi piace disintegrare il mio personaggio e spingerlo oltre le sue capacità. E vedere cosa succede!

8. Nella mia recensione, ho apprezzato l’idea di aver focalizzato il punto di vista del disagio vissuto dall’interno, non solo di chi è detenuto, ma anche di chi ci lavora. Ho scritto: “Che tu sia dentro come guardia o come ladro, è sempre un gioco alla sopravvivenza.” Cosa ne pensi? Credi siano così nette le spaccature che dividono carcerati da carcerieri?
A.: Leggendo la prima scena, tu non capisci se Nick Glass è una guardia carceraria o un carcerato. Il mio punto di vista è che non c’è una grandissima divisione tra guardie e ladri. Ci sono delle guardie carcerarie paragonabili a criminali, alcune sono criminali dal punto di vista morale, tipo bulli o cose del genere. Altre portano dentro la droga o le armi per i carcerati e, a quanto mi hanno detto, succede veramente. Voglio dire, qualcuno le porterà dentro, visto che sono presenti, ti pare? C’è una linea molto sottile tra il buono e il cattivo, il bianco e il nero. Mi piacciono le aree grigie. Non esistono divisioni nette, a mio avviso. E tanto meno nei miei romanzi.

9. Marco Piva, traduttore del tuo libro (che ho anche intervistato) ha associato una canzone al tuo libro: “Nothing ever happens” di Del Amitri. Vuoi fare anche tu un abbinamento?
A.: Mamma mia che domanda! Non ci avevo mai pensato..Penso i Nine Inch Nails – l’album è “Pretty hate machine” (you make this all go away). Il testo non c’entra molto, ma è più l’atmosfera di quella canzone, che mi ricorda un po’ il genere del libro. C’è da dire che la canzone che ho citato, è uscita in concomitanza all’uscita del libro.

10. E’ stato difficile farsi pubblicare? Quali consigli daresti ad un autore emergente?
A.: All’inizio è stato molto difficile. Avevo scritto tre romanzi e ho avuto 400 lettere di rifiuto. Ci ho messo 5 anni, finché la PointBlank Press negli Stati Uniti finalmente mi ha pubblicato “La spaccatura”. E’ così per tanti. Iain Banks, per esempio, ci ha impiegato ben 10 anni, prima di vedersi pubblicare un romanzo. Cristopher Brookmyre ci ha messo 5 romanzi e solo il quinto è stato pubblicato. Come consiglio bisogna esercitarsi, praticare, insistere e continuare a insistere. Poi ci vuole anche un po’ di fortuna, certo. Alcuni hanno pubblicato immediatamente, o perché sono bravi o perché sono fortunati. Oppure entrambi! E poi bisogna vendere, non è mica finita. Ovviamente, gli editori, in base alle vendite, decidono o meno di pubblicarti altro. A meno che non sia un capolavoro.. Ora c’è l’editoria digitale, che è in forte espansione nel Regno Unito e negli Stati Uniti, anche se in Italia non ancora. Probabilmente lo diventerà, ed è molto più economico farsi pubblicare e pubblicarsi da soli. C’è il pro e il contro, però. I vantaggi sicuramente sono il passaparola se il romanzo è bello ed è più facile essere notati da qualche editore. Il contro, invece, è che molti pubblicano un romanzo ancora non finito, non editato, mediocre, perché costa poco e perché un autore rischia di essere poco obiettivo e passare attraverso un editore è meglio per farselo leggere e correggere. Al momento, questa è una strada che si può intraprendere..

Intervista a cura di Cecilia Lavopa