Intervista a Tiziana Albertini Cassinis

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Ho conosciuto Tiziana Albertini Cassinis all’evento organizzato da Riccardo Sedini, “Lomellina in Giallo”, tenutosi il 14/15 e 16 settembre 2012. E’ appena uscito, per Frilli Editori, il suo romanzo “Italienne” e l’ho invitata sul mio blog per un’intervista.

1. Ciao Tiziana e benvenuta. Leggendo la tua biografia, faccio prima a scrivere cosa “non hai fatto”, rispetto a quello che hai fatto. Posso definirti un’artista “a tutto tondo”?
T.: Ciao Cecilia, un grande ringraziamento per ospitarmi sul tuo ottimo blog! E’ un onore. Diciamo subito che già la parola biografia da sola basta ad imbarazzarmi. La frase cosa “non ho fatto” mi colpevolizza e la parola artista nella mia famiglia veniva usata per indicare qualcuno che non ha nulla di serio da fare. In quanto al “ tutto tondo” inteso come figura geometrica forse sono più un frattale. Credo che dire di me come di “punto interrogativo ambulante conscio e divertito della sua forma bizzarra” sia una definizione , per quanto non mia, che mi soddisfa. Certo se vivessi su Papalla allora sì che potrei definirmi artista a tutto tondo. Te lo ricordi il pianeta Papalla? Bei tempi ero piccolina:)

2. Hai studiato filosofia, sei stata pittrice, fotografa, autrice di inchieste giornalistiche e hai pubblicato articoli e inchieste su numerose testate. Ma come convivono gli elementi pragmatici con quelli più…eterei?
T.: Male: liti continue. Quando prevale l’etereo piaccio parecchio ma rischio di morire di fame e quando prevale il concreto mi danno della milanese sempre indaffarata, egocentrica e senza cuore. (sob) Insomma sono sempre in lotta fra l’essere/avere e il fare 🙂

3. Ho letto che hai realizzato varie mostre di fotografia e di pittura. Quali aspetti cerchi di focalizzare in uno scatto o in una pennellata?
T.: Lo stupore, l’istante, l’assurdo, il non detto? In realtà non ho “intenzioni” nel mentre. Come fotografa sono stata reporter soprattutto, e in alcuni paesi sono ritornata a 20 anni di differenza trovandoli decisamente mutati, come il sud-est asiatico. Sono stata anche in zone devastate, come l’Umbria durante il terremoto del 1997: amo molto il reportage che privilegia la testimonianza diretta. Un reportage prevede un’analisi attenta e strutturale dell’argomento a cui si riferisce, molto spesso in relazione all’attualità. Ha una forte matrice multimediale nella quale mi ritrovo molto: può essere giornalistico in senso stretto, fotografico, televisivo o letterario. Adoro la fotografia intesa come strumento indispensabile del viaggiatore e del giornalista ed è comunque una passione che risale alla mia adolescenza. Ho studiato Ansel Adams e tentato di arrivare alla tecnica perfetta e alla nitidezza assoluta, ho lavorato anche con il banco ottico e le lastre, ma continuo a preferire le foto dei grandi reporter: Capa, Ut, Cartier Bresson, Mc Curry. Come pittrice ho soprattutto fatto ricerca di materiali… sono una dilettante, come per quanto riguarda la musica, anche se in realtà questa è stata ed è ancora una delle mie passioni principali, ancor più della pittura.

4. Hai viaggiato tra Paesi molto diversi tra loro. Quali aspetti hai voluto portare con te e fanno parte ora della tua vita?
T.: Tutti quelli che mi hanno fatto scoprire qualcosa che non sapevo, non conoscevo, non immaginavo esistere. Parlo anche di emozioni e della bellezza dell’umanità, di certa umanità considerata ai margini.

5. Hai pubblicato un romanzo-intervista nel 1996 con De Ferrari Editore, “Il segreto di Anna e Marco”, sulla vita di un malato di Aids, per passare poi a “Jack e la storia dei tubi” nel 2009 , per approdare a “L’italienne. Un tranquillo omicidio borghese” con Fratelli Frilli di Genova. Tre generi completamente diversi tra loro. E’ una ricerca letteraria di identità o ti piace spaziare le tue idee fra argomenti diversi? Ce ne vuoi parlare?
T.: Apparentemente sembrano generi letterari diversi, in realtà tutti e tre i libri hanno una matrice comune- l’indagine: ciò che ancora non si sa e che va scoperto. Ne “ Il segreto di Anna e Marco” lo dice già il titolo. L’indagine verteva sui dati dell’epoca che riguardavano la malattia, la posizione della scienza e della chiesa, i luoghi comuni, la paura e la scoperta dei long survival che sembravano sopravvivere nonostante… Io indagavo realmente e, come investigatore, avevo una mia teoria: pensavo e continuo a pensare che ci siano più cose in cielo e in terra di quanto gli esseri umani o la scienza dichiarata riescano a immaginare. Avevo un approccio positivo da giallo tradizionale: c’è il disordine, il caos, la paura (anche mia) dovuta a questa nuova malattia (hiv), che sembra un serial killer, ma bisogna riportare l’ordine… Con Marco c’è stato un lavoro quasi di analisi. Non facile. “ il segreto di Anna e Marco è nato come una sfida, una provocazione. La gente temeva il contatto con un sieropositivo ( per questo ho fotografato Marco e Anna sorridenti e nudi mettendoli in copertina). Marco, poi, aveva paura di morire e non voleva cadere vittima delle manipolazioni politiche intorno al suo caso: cercava un interlocutore che volesse solo raccontare. Il ricavato delle vendite è stato devoluto al CLPS (coordinamento ligure persone sieropositive ) e mi sento di dire che in fondo avevo ragione con la mia impostazione positivista. Marco è ancora vivo e sta bene! Riguardo a questo libro ci sono diverse storie particolari e una di queste riguarda Beppe Grillo, ai tempi in cui era ancora ‘solo’ un comico: io lo fermai per strada, gli dissi di questo libro che avevo scritto e gli chiesi se fosse disposto a presentarlo, proprio perché credo nel potere taumaturgico della risata. . Lui disse che lo avrebbe letto ( e lo fece) ma mi confidò che quelle erano cose serie, insomma, sembrava avere il dubbio di non essere la persona più indicata.. Poi accettò, ma non volle che fosse reso pubblico prima il fatto. La sala del Comune, comunque, era piena e ridemmo parecchio. Jack e la storia dei tubi invece è un thriller per ragazzi (e non ) e infine c’è il mio primo giallo.

6. Proprio in merito all’ultimo romanzo, si parla di un noir psicologico, in cui fa il suo esordio il commissario armeno Jacques Melykian. Com’è nata l’idea?
T.: Vivendo in Francia spesso e amando un’isola (Porquerolles) dove Simenon, che amo molto, era di casa, e dove ha ambientato un capolavoro assoluto (il can dei Mahé). E poi c’erano gli amici che insistevano perché scrivessi qualcosa ambientato a Porquerolles. Alla fine ne è uscito un noir.

7. Parlaci un po’ del suo protagonista, Melykian. Che tipo è?
T.: Un commissario un po’ a metà strada fra Poirot e Maigret, poi parla molte lingue, suona e canta Aznavour, per il quale nutre una vera fissazione, e infine è vittima dell’amore… Un tipo idealista, ribelle a suo modo, simpatico ed empatico, uno che che conosce e ama la vita e non prevede di invecchiare: non è che non invecchi e non ne sia cosciente, solo non ha voglia di sprecare del tempo a pensarci. La vita è bella e val la pena viverla comunque. Vive a Porquerolles che per lui è il paradiso, su una barca aperta a tutti per un buon caffè turco o un bicchiere di limoncello.

8. Durante l’intervista all’evento di Lomellina in Giallo, mi hanno colpito le tue parole, quando descrivevi che, all’interno del romanzo, “l’amore e il senso di giustizia soccombono all’apparenza”. Quanto conta in questo libro l’apparenza e quanto nella vita di tutti i giorni?
T.: Conta molto nel mio libro come nella realtà: l’apparenza, il luogo comune, servono spesso per mostrare una realtà, non la realtà. Potrebbe sembrare un gioco sociale ozioso e necessario. Ma l’apparenza, come una sua diretta discendente, la calunnia è un aspetto della distorsione del reale: eppure quante vittime fa. Così come l’apparenza porta a condannare vittime innocenti solo perché per dirla con Einstein :E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.

9. Si descrive anche la città di Lione come “fredda nelle strade e gelida nei rapporti sociali”. E’ davvero così? Ho sempre pensato che in qualche modo ci somigliassimo come Paesi…
T.: Beh nel romanzo è necessariamente così. E’ una bellissima città che amo molto. Comunque per rispondere meglio alla tua domanda userò le parole dei Ching e dunque: Si può cambiare città, ma non si può cambiare il pozzo. Non cala e non cresce. Luogo e tempo mutano, ma i metodi che regolano la convivenza degli uomini rimangono costantemente i medesimi. Che ne pensi?

10. Molti tuoi colleghi che hanno pubblicato con Frilli, hanno ambientato per lo più le loro storie in Liguria. La tua scelta è stata di andare contro corrente. E’ un caso o è stata una scelta ponderata?
T.: Ho fatto leggere il mio romanzo alla Fratelli Frilli perché sapevo che erano specialisti in questo genere di pubblicazione e, dal momento che a loro è piaciuto, non ho cercato altro. In sostanza quello era il libro che avevo scritto. Poi si sa che naviga e naviga, il commissario da Porquerolles potrebbe fare un giretto in Liguria. In effetti credo sia già alle prese con un problema italiano che lo costringerà a fare un salto alla Superba. Speriamo non incocci in Bacci Pagano di Morchio o nella zia Evelina della Valle o in qualche altro commissario che gira per le strade genovesi:)

11. Raccontami qualche aneddoto capitato durante la stesura della trama.
T.: Durante la ricerca su internet sono stata contattata da alcuni fans di serial killer ( sigh) che volevano stringere amicizia e da molti medium e maghi e ci sono state proposte di relazioni sessuali spesso esilaranti. Isabella, l’Italienne protagonista del libro, viene spesso identificata con me, forse perchè è più facile identificarmi con quel personaggio che con un commissario armeno che somiglia ad Aznavour. In realtà, uno scrittore, comunque io, è un po’ tutti i personaggi che crea, e nessuno…

12. Quali consigli daresti ad un autore emergente per approcciarsi al mondo editoriale?
T.: Non chiedere consigli: sbaglia da solo!

E’ stato un piacere ospitarti, Tiziana e in bocca al lupo per il tuo romanzo!

Cara Cecilia ti ringrazio ancora per lo spazio che mi hai dedicato. Un caro saluto a te e a tutti i lettori di questo tuo fantastico blog.

Questo il romanzo pubblicato da Fratelli Frilli:

cop io soIn una gelida mattina di dicembre viene trovata morta, nel parco della Tete d’Or a Lione, Giselle Szilard, moglie del fisico Eric Szilard, uno degli scienziati più noti e rispettati della città. La donna, accasciata davanti alla gabbia delle scimmie con i polsi recisi, è stranamente vestita come una prostituta. La polizia pensa al suicidio, ma Jacques Melykian, commissario in pensione invitato a collaborare alle indagini suo malgrado, ha l’oscura convinzione che Giselle sia stata assassinata. L’autopsia gli darà ragione. Melykian, armeno passionale e intuitivo, inizia la sua indagine in una Lione fredda nelle strade e gelida nei rapporti sociali, dove l’amore e il senso di giustizia soccombono all’ “apparenza”, il tabù che governa le relazioni esangui di un’alta società al di sopra di ogni sospetto. Scopre presto che il professor Szilard aveva una bella e giovane amante italiana. Colta, fascinosa e piena di vita, Isabella Leone apre il suo cuore al poliziotto e gli racconta la relazione con il celebre scienziato, un labirinto erotico e cerebrale ai limiti della follia. Basta questo per far sospettare Szilard e la sua amante di aver ucciso la povera, banale Giselle dopo averla costretta a vestire i panni di una prostituta? Il commissario non si lascia sedurre dal fascino torbido di questo apparente ménage à trois e scava anche nel passato della vittima.