Intervista a Carmen Giorgetti Cima

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Carmen Giorgetti Cima è nata nel 1954 a Varese, dove ha studiato fino al diploma di maturità. Studi universitari presso l’Università degli Studi di Milano, dove nel 1977 si è laureata in Lingue e Letterature Scandinave con una tesi sullo scrittore svedese Olof Lagercrantz. Ha subito iniziato l’attività di traduttrice letteraria, di scandinavista e di scout, anche grazie ai molti contatti stabiliti nel corso degli anni con l’ambiente letterario e editoriale svedese. Adora i paesi scandinavi e li ha girati in lungo e in largo.

A tutt’oggi ha tradotto 97 libri di narrativa svedese, per la gran parte di autori contemporanei. Lavora come free-lance collaborando con diverse case editrici (Iperborea, Guanda, Marsilio, Longanesi, Ponte alle Grazie, Piemme, Rizzoli, AER, Nottetempo ecc.). Ha la fortuna di abitare in un bel posto e di avere a disposizione un bellissimo studio dove lavorare – fondamentale, dato che vi trascorre la maggior parte del suo tempo, in compagnia dei suoi libri, del suo computer e dei suoi cani!

Questa è la biografia che mi ha trasmesso questa eclettica traduttrice dei libri di autori famosissimi come Arne Dahl, Lars Gustafsson, Lars Kepler, Sven Lindqvist, Håkan Nesser (e di tantissimi altri, difficile nominarli tutti!) ed è Carmen Giorgetti Cima che ha tradotto la trilogia di Stieg Larsson.

Ho il piacere e l’onore di ospitarla sul mio blog per una intervista che vi invito a leggere, per dare forma e volto a chi sta dietro una traduzione.

1. Dopo aver letto il tuo curriculum, la prima domanda che mi sono posta è: Ma non ti è mai scattata la scintilla di scrivere un romanzo tuo, a furia di tradurre quelli degli altri?
C.: L’idea è ricorrente, ma per scrivere occorre tempo – e per ora il mio tempo è completamente occupato dalle traduzioni…

2. Come ci si propone, da traduttore, a una casa editrice? Si presenta un testo già tradotto o…?
C.: Agli inizi della mia carriera professionale (parlo della seconda metà degli anni Settanta) ho fatto proprio questo – presentato testi che mi avevano appassionato, già tradotti. Ha funzionato. Dopo, gli editori si fidavano di quanto proponevo, anche perché allora l’ambito scandinavo era virtualmente inesplorato.

3. Perché la scelta della lingua svedese?
C.: Anzitutto perché è stato un vero e proprio ‘colpo di fulmine’ (ero iscritta a Lingue e un giorno avevo un’ora buca e sono entrata più o meno casualmente nell’aula dove c’era una lezione di Lingue e Letterature Scandinave) e poi perché ho visto l’opportunità di fare qualcosa di diverso, di nuovo, di mio.

4. Ho dedicato una sezione del mio blog agli autori nordici. Troverai Indridason (che ho intervistato), Lackberg, Larsson, Nesbo ecc. e ho maturato una mia concezione sullo stile dei loro romanzi, spesso concentrati su problematiche locali, dalla violenza alle donne, ai maltrattamenti, oppure alle situazioni economiche legate ai loro Paesi. Con la tua esperienza, che idea ti sei fatta?
C.: In sintesi: che gli autori nordici – di crime fiction e non – sono anzitutto obiettivi, sinceri, anche a costo di dire cose sgradevoli. Fa parte del loro essere, della loro cultura.

5. Hai tradotto, fra gli altri, la trilogia di Stieg Larsson. Quanto sei rimasta colpita, emotivamente e psicologicamente?
C.: La storia della Trilogia è stata un’esperienza molto particolare, direi unica, che mi ha colpito profondamente (per svariati motivi) e che forse solo ora, a distanza di ben nove anni dal primo ‘incontro’ (la lettura intergale della versione originale dei tre libri, nessuno dei quali era ancora uscito in Svezia) riesco a valutare con un certo distacco. Certamente è stata un’esperienza importante, istruttiva (nel bene e nel male) ma tutt’altro che facile – e non mi riferisco alla pura traduzione dei testi, che anzi mi ha dato grande piacere e soddisfazione. La soddisfazione più bella che ne ho tratto è stato il contatto con numerosissimi lettori che mi hanno cercata per ringraziarmi delle ore di appassionata lettura.

6. Sempre in merito alla domanda precedente, senti in qualche modo di aver contribuito, con la tua traduzione, al successo che hanno avuto i romanzi?
C.: Molto sinceramente, e senza falsa modestia, sì.

7. Quali difficoltà si incontrano nel tradurre testi da lingue non tradizionali? Per esempio, come si acquisiscono i modi di dire? Mi viene in mente che, in inglese “piove a catinelle” si traduce “it’s raining cats and dogs”
C.: Ogni lingua è espressione di una cutura, e più tale cultura è lontana – geograficamente e ‘mentalmente’ – dalla nostra, meno è facile tradurre i suoi testi, questo è chiaro. La conoscenza a 360° della lingua da cui si traduce si acquisisce essenzialmente ‘sul campo’ – ossia frequentando il Paese, coltivando contatti personali con la gente, leggendo di tutto, cercando insomma di assimilarne lo spirito, in tutti i suoi aspetti. Per quanto riguarda in particolare le espressioni idiomatiche, oltre a quelle che si apprendono appunto nel modo di cui sopra, io ho un amico impagabile, un piccolo ‘dizionario’ compilato dall’Università di Göteborg nel 1989 e corredato di illustrazioni umoristiche che da sole valgono più di qualsiasi spiegazione. Dove manca la ‘corrispondenza’, si supplisce con la creatività e l’ironia.

8. Come ti prepari alla traduzione? Raccontami la tua giornata tipo.
C.: Sono molto disciplinata e metodica, quindi nell’affrontare un nuovo testo anzitutto lo leggo con attenzione, per conoscerlo e per inquadrarlo (argomenti, livello stilistico ecc) e capire quanto tempo mi occorrerà per tradurlo, e calcolare di conseguenza quante pagine dovrò mediamente tradurre al giorno per rispettare i tempi di consegna. La mia giornata-tipo inizia intorno alle 8.30 (ma mi è capitato sovente di sedermi al computer anche alle 5) e si conclude intorno alle 22.30 – 23.00, con le ovvie pause per occuparmi anche di chi ho intorno (marito-figli-cani) e, appena posso, per una corroborante passeggiata nei boschi dietro casa. Ho la fortuna di abitare in un posto molto bello, di lavorare in uno studio ancora più bello e di fare un lavoro che adoro, per cui diciamo che il tutto riesce a pesarmi meno di quanto dovrebbe…però in vacanza per me i libri sono assolutamente banditi!

9. Ho chiesto a un tuo collega traduttore di raccontarmi come si svolge l’editing di una traduzione. Mi racconti come avviene nel tuo caso?
C.: La mia prassi è consegnare il testo non solo tradotto con cura ma corredato di note – a beneficio soprattutto dei redattori – e controllato nei dettagli. Verifico sempre ogni informazione contenuta nel testo, in caso di discrepanze mi consulto con l’Autore, così come faccio se ho qualche dubbio. E da anni non rileggo più le bozze, se i redattori non capiscono qualcosa o vogliono apportare modifiche, mi chiamano e ne discutiamo, ma non succede praticamente mai.

10. E’ mai capitato che una traduzione migliorasse il testo originale?
C.: Un paio di Autori (che conoscevano abbastanza l’italiano per essere in grado di leggerlo) mi hanno simpaticamente detto che la mia traduzione era meglio dell’originale… In genere comunque cerco sempre di migliorare dove posso, per esempio evitando le ripetizioni con l’impiego di sinonimi, o ‘sbrogliando’ le frasi poco chiare. Cerco sempre insomma di fare anch’io la mia parte – di essere a pieno titolo ‘autore’ del testo italiano!

11.Ti è capitato di tradurre dall’italiano allo svedese?
C.: Sì ma non in ambito letterario, dove è buona regola tradurre solo nella propria lingua.

12. Com’è il mercato editoriale nei paesi nordici? Attento all’Europa e all’America o, piuttosto, concentrato sulle pubblicazioni locali?
C.: Tradizionalmente è sempre stato molto concentrato sulle pubblicazioni locali, ma certamente non mancano le traduzioni di libri stranieri, soprattutto di provenienza anglosassone.

13. Che percezione hai degli autori nordici rispetto a quelli italiani? Fino al boom creato dalla trilogia di Larsson, forse non era un settore particolarmente seguito..cosa ne pensi?
C.: Certamente prima del ‘caso Larsson’ la letteratura di provenienza scandinava era piuttosto di nicchia, e come tale anche di livello mediamente alto. Sulla scia dell’enorme successo di Larsson ha cominciato ad arrivare un po’ di tutto, e se da una parte la maggiore visibilità è positiva, dall’altra la qualità media della proposta ne ha risentito.

14. Sto cercando di curare la rubrica creata all’interno del mio blog “Ma che lingua parli?”, per sensibilizzare l’attenzione sul lavoro dei traduttori. Qual è la tua opinione in merito? Aspetti positivi e negativi di questo lavoro.
C.: L’aspetto positivo è senz’altro che è un lavoro molto creativo (più di quanto s’immagini!) e che, per quanto mi riguarda, mi ha consentito di stabilire rapporti molto cordiali con la quasi totalità degli autori che ho tradotto, sempre molto consapevoli dell’impegno che comporta. L’aspetto negativo è che in Italia è un lavoro che gode di scarsissima visibilità e considerazione, e come tale non è nemmeno remunerato come meriterebbe.

15. Raccontaci qualche episodio divertente legato ad una tua traduzione.
C.: Negli anni di cose curiose me ne sono capitate parecchie. Uno degli episodi più divertenti è legato alla traduzione di un romanzo di uno dei miei autori preferiti (con il quale ho anche un magnifico rapporto di amicizia). A un certo punto, si citava il piatto del giorno che due personaggi stavano consumando al ristorante, uno spezzatino con barbabietole e un altro contorno che non avevo mai sentito. Si trattava di una parola composta e nemmeno analizzando separatamente le due parti (mulino e piccolo agricoltore) riuscivo a venire a capo di che cosa potesse essere. Dopo aver inutilmente consultato anche alcuni amici svedesi, per soddisfare la mia e la loro curiosità mandai una mail all’Autore, che mi confessò candidamente di esserselo inventato, e mi suggerì di fare lo stesso, creando un termine altrettanto fantasioso. Così feci, inventandomi lo spezzatino con barbabietole e ‘molinacci’. Peccato però che nell’edizione italiana i ‘molinacci’ sparirono, evidentemente non tutti i redattori hanno sense of humour.

16. Difficile fermarmi qui con le domande, ma vorrei farti l’ultima, a chiosa di questa lunga intervista: hai spaziato dalle traduzioni, alla televisione, ai seminari, alle presentazioni. Quali di queste esperienze ti ha arricchita maggiormente?
C.: Tradurre, quando si tratta di buoni libri, arricchisce sempre, e sento di avere imparato moltissimo dai ‘miei’ libri. Forse l’esperienza più straordinaria legata al mio lavoro sono state le lezioni che tenni qualche anno fa (in svedese) a un gruppo di studenti di lingue nordiche arrivati dalle tre Repubbliche Baltiche e dalla Russia per un corso sulla traduzione letteraria presso l’antica Università di Tartu nel cuore dell’Estonia: un altro mondo, un’esperienza magica!Grazie a Carmen di aver dato il suo contributo per aiutare a conoscere – e ad apprezzare meglio – questo importante lavoro!

Intervista a cura di Cecilia Lavopa