Giuseppe Naretto – L’orizzonte capovolto

2122
Il libro:
Editore Ponte alle Grazie
Anno 2013
240 pagine – brossura con sovracopertina

Trama e recensione:

Perché essere stati uniti nella sofferenza è un vincolo ancora più grande di qualsiasi altro legame. Il dolore inchioda le emozioni al tempo e le rende schiave di un passato che, per quanto lontano, torna sempre a rivendicare il suo tributo.
Massimo Dighera è un medico rianimatore dell’ospedale di Torino. Una vita tranquilla scandita da ritmi regolari fino al momento in cui, mentre faceva jogging per la città, viene investito da un’auto. L’urto gli causa una brutta frattura al femore che lo costringe a essere ricoverato nel reparto di rianimazione e, per la prima volta, inizierà a rendersi conto di cosa si prova essere dall’altro lato della barricata, cioè paziente e non medico. Sarà talmente rivelatorio per la sua professione medica che proverà una profonda rabbia nei confronti dei suoi colleghi, spesso frettolosi e superficiali con i malati.
Durante il suo soggiorno in ospedale, incontra Davide, un ragazzo da lui salvato dalla morte alcuni anni prima, a seguito di una brutta caduta in montagna che gli causò un’amnesia sull’incidente e anni di riabilitazione. Era ancora ricoverato e la notte urlava nel sonno, tormentato dagli incubi.
Massimo Dighera, per la prima volta immobilizzato in un letto d’ospedale, si farà coinvolgere dalla storia di Davide, a tratti inspiegabile e con molti lati oscuri e comincerà a indagare sulle dinamiche dell’incidente avvenuto a Macugnaga, sotto la parete est del Monte Rosa, nel quale il compagno di cordata di Davide subì una fine tragica: inghiottito da un crepaccio dal quale non è più ricomparso.
Romanzo particolare, quello di Giuseppe Naretto, in cui come una cartina al tornasole, si evidenzia un argomento sul quale mi trova molto sensibile: il rapporto tra medico e paziente. Un medico costretto a rivedere il codice deontologico a seguito di un incidente che lo porta a sperimentare il punto di vista del malato. Oggetto – più che soggetto – invisibile dei trattamenti curativi a lui “inflitti”, spesso disinformato della sua condizione. Indotto a elemosinare secondi preziosi per avere qualche informazione in più sul proprio stato di salute e in bilico fra insicurezze e paure.
Massimo Dighera non si sarebbe mai aspettato di trovarsi faccia a faccia con tutto ciò. Si cambiano le prospettive, si riequilibrano le proporzioni. Ci si emoziona.
Improvvisamente mi rendo conto che la malattia si porta dietro qualcosa di estremamente privato e profondo che non è mai possibile condividere pienamente con qualcuno. Per tanto che uno si sforzi di essere preciso nelle descrizioni e articolato nelle riflessioni, alla fine si ritrova sempre da solo a fare i conti con i suoi problemi.
E gli succede alla vista di Davide, che con tenacia cerca di riappropriarsi di una vita “normale”. O alla vista dei genitori del ragazzo, che hanno continuato a sperare nelle possibilità del figlio e nell’aiuto dell’ospedale. Il tarlo del dubbio, però, si insinua in loro, che vogliono scoprire cosa accadde esattamente in quella tragica escursione.
E Dighera sarà medico, paziente e investigatore. Forse per tacitare la sua coscienza di non essere stato abbastanza “umano” nella sua attività, trova riscatto nella risoluzione del mistero.
La scrittura di Naretto è morbida e dal finale inaspettato.
Un giallo fuori dall’ordinario, in cui la vera protagonista è la montagna: un luogo che unisce e divide, che non deve essere mai sottovalutata, che occorre affrontare cercando di essere il più possibile preparati, al pari di una malattia.
Gran bel romanzo, in equilibrio tra commozione e mistero.

Lo scrittore:

Giuseppe Naretto, torinese, è medico rianimatore e lavora nel reparto di terapia intensiva. Dal 2006 si occupa di etica e comunicazione nei processi di cura. è uno dei fondatori del blog nottiguardia.it. Notti di guardia è il titolo del primo romanzo che ha come protagonista Massimo Dighera.

Giuseppe Naretto è stato scelto nel progetto “adotta uno scrittore” del Salone del Libro di Torino.
Un noir definito da scrittori italiani di calibro, come ad esempio Alessandro Perissinotto, che lo definisce il medico che vorremmo incontrare se mai finissimo in ospedale: per lui verità e umanità sono inseparabili, o come Elisabetta Bucciarelli che parla del romanzo di Naretto come un giallo autentico, con in più i colori caldi e l’aria pulita delle nostre meravigliose Alpi.

Questo un brano del romanzo:
«L’urlo che squarcia l’oscurità della stanza è agghiacciante. Mi sveglio confuso, non so cosa stia succedendo. Istintivamente cerco di tirarmi su dal letto, muovo le braccia alla ricerca dell’interruttore della luce, ma il mio corpo non risponde che in minima parte ai miei comandi. La gamba rimane dolente e immobile quasi ancorata al letto, le mani sbattono contro spigoli di arredi per nulla famigliari, e il perdurare di questo suono straziante mi mette addosso un’agitazione di difficile controllo. Dopo qualche secondo mi rendo conto che è Davide che sta urlando. Non lo vedo, ma sento la madre che si muove attorno a lui per calmarlo. La luce si accende all’improvviso e un’infermiera si affaccia sulla soglia. «Cosa succede signora?» Non c’è preoccupazione nella sua voce, ma solo una lontana nota di fastidio. Guardo l’orologio: mezzanotte. Davide però non smette di agitarsi. Giace di traverso sul letto, con la testa che penzola oltre il bordo. Gli occhi sono chiusi, le braccia si muovono verso l’alto alla ricerca di qualcosa.»