Lanteri & Luini – La Cappella dei Penitenti Grigi

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Editore: Editrice Nord / Collana Narrativa
Anno 2012
448 pagine – Rilegato con sovracopertina

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capgrigiAl tenue chiarore della luna, le paludi che circondano la cittadella medievale di Aigues-Mortes restituiscono alle autorità il cadavere di una donna: si tratta di Deanne Bréchet, una giornalista parigina. La polizia concentra subito i sospetti su Fabienne Lacati, una giovane ricercatrice della Sorbona che si trova nel sud della Francia per un convegno sulle crociate. Le due donne, infatti, si conoscevano bene e la sera dell’omicidio molti testimoni le hanno viste litigare furiosamente nella hall dell’albergo. Determinata a provare la propria innocenza, Fabienne scopre che, nelle settimane precedenti, la giornalista era andata spesso in quella enigmatica e affascinante città-fortezza per documentarsi sui Penitenti Grigi, un antico ordine caritatevole che esiste ancora oggi. Ma l’aspetto più inquietante della vicenda è che pure Fabienne è interessata a quella confraternita, e forse non è una coincidenza se, da mesi, le negano il permesso di visitare il luogo dove sono raccolti i registri della congregazione: la Cappella dei Penitenti Grigi. È possibile che Deanne avesse scoperto un segreto scottante, custodito proprio in quella chiesa inaccessibile? La drammatica conferma arriva quando, l’uno dopo l’altro, tutti coloro che Deanne aveva contattato muoiono in circostanze misteriose. Fabienne intuisce quindi di essere in pericolo e, con l’aiuto di Daniele Ferrara, un collega italiano, si convince che l’unico modo per salvarsi la vita è andare a caccia della verità…

Ora, quando cado nel tranello dell’intrigante terza di copertina mi dico che sarà definitivamente l’ultima volta, che non mi capiterà mi più, che non sarò così fesso un’altra volta… e invece…
Cecilia mi ha fatto dono di questo libro dicendomi che vista la sua poca dimestichezza con il genere, allora era meglio che lo leggessi io e ne facessi la recensione. Il volume incute un certo rispetto per via di una grafica indovinata e per quel malcelato gusto “danbrowniano” (passatemi il neologismo n.d.r.) nel titolo e nell’ambientazione. Ecco, per via di questo afflato e per via del fatto che i due scrittori erano a me praticamente sconosciuti… ho aperto il risguardo e letto la terza di copertina. Fregato.
Due giorni dopo, con tutta la famiglia già preda di Morfeo, mi sono accoccolato sul divano e mi sono predisposto alla lettura. Premetto (dato che si tratta della mia seconda recensione) che sono un lettore decisamente rapido e allenato per cui la “dimensione” del libro (440 pagine circa) non mi ha messo particolare timore: ritenevo di poterlo leggere comodamente in tre, quattro giorni. Poi l’ho iniziato.

Dopo meno di dieci minuti ero fermo. Il mio livello d’attenzione era sotto la soglia minima e mi distraevo ogni due per tre, segnale evidente che quello che avevo sotto gli occhi aveva qualcosa che non andava. Mi è capitato di rado di ritrovarmi a leggere un libro che in meno di 50 pagine è in grado di spiattellare tutti i suoi difetti e – soprattutto – non fare nulla per smussarli. La lettura è difficile non per via di una prosa complessa, ma, ad esempio,  per un uso abnorme della paratassi. La padronanza della subordinazione denota la capacità di ragionare, di sviluppare argomentazioni. In verità, chi oggi predilige una prosa esclusivamente paratattica, non ha alcuna dimestichezza con la lingua e, mentre crede di essere à la page, scrive testi sconnessi e scorretti, dove le secondarie spesso non sono rette da alcunché. La prosa paratattica era tipica degli anni novanta… Proseguiamo. Il lettore viene messo difronte a una serie pressoché infinita di personaggi, infilati uno dietro l’altro spesso senza una reale connotazione con la storia, ma solo alla stregua di quinte teatrali. Tali personaggi, oltretutto, ottengono nomi che a volte sono macroscopicamente ridicoli altre volte sono mascherate citazioni altrui.

C’è altro? Purtroppo sì: “Cuore gonfio di mestizia” (subito, nell’incipit) e tutta una lunga serie di cliché che da uno scrittore (o da una coppia, in questo caso) non ti aspetteresti citati in modo così evidente e senza nemmeno il tentativo di mascherarli un poco. E’ vero che in scrittura non si inventa nulla, ma da qui ad utilizzare stilemi triti e ritriti…
Ancora? Ridondanze a mazzi, cadute nella sintassi popolare (“trasmessi alla radio”), termini di registro familiare, sicuri segnali anche di un editing non troppo preciso.

E allora, direte voi, c’è almeno qualcosa che ti è piaciuto in questo libro? Sì, per fortuna. Non so a chi sia da ascrivere la stesura della parte ambientata alla fine del ‘700, ma è sicuramente quella meglio riuscita. A confronto con quella ambientata nel presente è molto più omogenea e il continuum è gestito con più equilibrio senza le digressioni fine a sé stesse che si incontrano, invece, nell’altra e che spesso troncano il climax.

Ho in biblioteca molti altri libri della Editrice Nord che associo a scrittura di qualità (ad esempio “La Memoria del Peccato” di Michael Cordy che sto terminando è uno di questi) e sono rimasto un po’ sorpreso relativamente a questa pubblicazione, tanto che ho deciso che cercherò e leggerò anche un paio dei precedenti della coppia Lanteri & Luini: “Brüja”, uscito per Todaro editore nel 2010 e “Non tornare a Mameson” edito da Fratelli Frilli nel 2007. Voglio capire se si tratta solo di un caso…

Ah, parola mia, la prossima volta non leggerò la terza di copertina…

Michele Finelli

[divider] [/divider]Gli Scrittori

Maurizio Lanteri nasce ad Albenga nel 1955. Medico Chirurgo specializzato in Pediatria presso il Gaslini di Genova, vive a Garlenda, in Liguria. Esordisce come scrittore nel 2001 con il thriller Io ti cerco, L’anno dopo è tra i vincitori del concorso Cuore di Tenebra con “La notte del Caprano”.

Lilli Luini nasce a Varese nel 1957. Si laurea alla Statale di Milano con una tesi in sociologia sulla Scuola di Palo Alto. Vive sul Lago Maggiore, a Taino, e lavora in campo finanziario.
Nata ai piedi delle Prealpi, ama il caos delle metropoli e passa le vacanze al mare. Nella coppia è la civetta che crea dopo il tramonto.
Quando incontra Maurizio sul Web – è l’anno 2003 – fa la editor in un sito di scrittori esordienti e ha iniziato da poco a scrivere in proprio.

Il genere di cui scrivono è il noir mediterraneo, storie che raccontano la società nei suoi aspetti marginali, eccessivi, malati. Le loro trame parlano di gente comune, invischiata suo malgrado in vicende capaci di trasformala da un momento all’altro in vittime. O in carnefici.