Intervista a Massimiliano Santarossa

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Massimiliano Santarossa ha pubblicato Storie dal fondo nel 2007 e Gioventù d’asfalto nel 2009 per Biblioteca dell’immagine, nel 2010 Hai mai fatto parte della nostra gioventù e nel 2011 Cosa succede in città per Baldini Castoldi Dalai editore, nel 2012 Viaggio nella notte e nel 2013 Il male per Hacca edizioni.
I suoi libri nascono nell’estrema periferia italiana, tra disagio, vite ai margini, avventure di ogni genere. Prima di dedicarsi alla scrittura, l’autore è stato falegname, poi operaio in una fabbrica di materie plastiche e ha condotto buona parte della propria vita a contatto con i personaggi da lui stesso narrati.
Ha vinto nel 2008 il premio letterario “Parole Contro” e nel 2009 ha ricevuto la menzione speciale del premio “Tracce di Territorio”.
Storie dal fondo dal 2008 viene rappresentato a teatro dalla compagnia teatrale di “Arti e Mestieri”. Mentre Viaggio nella notte è portato a teatro dall’attore Enrico Bergamasco. Massimiliano Santarossa  nel 2013 è entrato nella prestigiosa antologia “Fabbrica di carta. I libri che raccontano l’Italia industriale” edita da Laterza. Scrive per il Messaggero Veneto.

Grazie di aver accettato l’invito di farti intervistare per il mio blog, Massimiliano!

1. Quale luogo ha il futuro? E qual è il suo colore secondo te?
M.: Il futuro sara’ un non-luogo. L’occidente diverra’ una enorme distesa di materia grigia, cemento, asfalto, vetro, completamente sporca, dove moltitudini di donne e uomini e bambini e animali cammineranno alla ricerca di qualcosa che nemmeno conoscono, una qualsiasi salvezza. Questa sara’ l’eredita’ del sistema occidentale, capitalistico. E anche se non avverra’ in questo modo, sara’ comunque cosi’, in quanto gli uomini e le donne e i bambini e i loro animali saranno svuotati di senso critico, pertanto diverranno dei semivivi. Il colore sara’ bianco, un bianchissimo luce, che acceca e strappa gli occhi dai volti: il colore di un dio osceno.

2. E’ stato più difficoltoso cominciare a scrivere o più difficile proseguire in questo percorso?
M.: Per me e’ tutto immensamente difficile. Cominciare, scrivere e soprattutto continuare a farlo. Io odio scrivere. Ma le voci che affollano la mia mente le devo assolutamente confinare nella carta, non permettere loro di vivere unicamente in una dimensione mentale, onirica. Confinarle nella carta aiuta me a vivere, anche se detesto farlo. Ambisco a smettere di scrivere. A lasciare spazio agli arrivisti che popolano l’editoria. Che si prendano pure anche il mio minuscolo spazio. Mi faranno un favore fraterno. Se ne sono capaci, ovviamente.

3. Più difficile convincere le case editrici o i lettori?
M.: Non ho mai scritto una sola riga pensando alle case editrici o ai lettori. Il più grande e onesto e puro omaggio che posso fare a chi legge i miei romanzi e’ non pensare a loro, non voler immaginare le reazioni che potrebbero avere. Questa mia distanza e’ il modo di rispettare, in maniera assoluta, l’intelligenza e la liberta critica altrui.

4. La caduta di Lucifero è stata oggetto di numerosi romanzi e teorie diverse lo hanno dipinto come anima del Male o come essere salvifico di creature viste come esseri inferiori, schiavi di un Dio tiranno. Ci racconti di un essere metafisico, risalito dalle Tenebre, per toccare con mano il degrado dell’uomo e del suo ambiente, ormai fagocitati dal Male stesso. Ti sei allontanato completamente rispetto ai romanzi precedenti e analizzato il Male dagli stessi occhi di chi lo ha generato. Qual è stata la ragione di questa scelta?
M.: Nei miei precedenti romanzi ho raccontato la periferia italiana, il suo degrado sociale, umano, paesaggistico, politico, economico, tutto attraverso gli occhi, le vite e le storie di persone ultime, abbandonate a loro stesse, ai margini. Persone destinate dalla storia a cadere nell’oblio, ma verso le quali alle volte interviene la letteratura, donando loro voce, pertanto spessore sociale e luogo storico. Dopo aver narrato tutto ciò che conoscevo, che avevo visto e toccato con mano, sentivo di dover cambiare direzione, di vedere la società da punti e prospettive differenti. Se prima narravo il movimento del corpo nella società, e ciò che questo muoversi produce, con “Il Male” ho tentato di narrare ciò che il movimento della società produce nei corpi, nelle terminazioni nervose come nello spirito o nell’anima. Lucifero è l’angelo caduto, però è anche il portatore di luce, e nel romanzo la sua visione fa “luce” su di noi, noi umani.

5. Lucifero si personifica sotto forma di una società malata sin nel midollo, nella quale ogni essere umano conduce il proprio corpo lungo un sentiero a spirale, che lo porterà inesorabilmente alla propria distruzione. Una terra popolata da piccoli demoni che si nutrono del dolore e della sofferenza altrui, così che il suo piccolo dominio si rinnova nelle disfatte di un uomo che non conosce, che è vivo ma lontanissimo. Un’entità che vaga alla ricerca della sua antitesi, che pone interrogativi senza risposta?
M.: Lucifero nel suo viaggio terrestre, un viaggio “ad infera” a contatto con gli umani, non interviene su nulla. E’ suo interesse conoscerci, valutarci, comprenderci, attraverso la nostra carne e spirito tenta di compiere un profondo studio di osservazione, vuole “definire la forma del dolore umano”, per capire cosa ha prodotto il libero arbitrio. Nel romanzo, nelle dieci storie che lo compongono, è chiaro che il male terrestre è ben più violento di qualsiasi immaginazione e disegno divino. Viene da chiedersi se il libero arbitrio, per errore o peggio per volere, non fosse altro che un modo sublime per abbandonarci, e quindi nell’abbandono permettere il diffondersi del male. E’ chiaro che il male non è Lucifero, ma siamo noi, che lo creiamo e duplichiamo, alle volte inconsciamente, questo avviene spesso nel privato, altre volte in modo scientifico, nella società, strutturando così il dominio dell’uomo sull’uomo, e in fondo che sia dominio individuale o dominio economico la genesi è sempre la stessa: quel libero arbitrio che l’essere umano non ha mai imparato a gestire.

6. C’è una ricerca e una cura in ogni parola, ogni dettaglio. Ogni capitolo ha l’apparenza di un mini-racconto, che prosegue seguendo un filo logico al capitolo successivo. E l’operaio, la prostituta, il drogato prendono forma come persone disincantate dal presente e dal futuro, macchine che si muovono seguendo la monotonia delle azioni, il ritmo cadenzato della vita, in un luogo abbandonato a se stesso nel quale si prega ogni qual volta se ne ravveda la necessità e non come atto sentito. Una provocazione a chi si professa uomo di fede?
M.: Nessuna provocazione. Lucifero nel suo viaggio con noi e in noi rimane sconvolto dalle continue, perenni, insistenti, invadenti richieste che l’essere umano rivolge al proprio Dio. “Padre aiutami, Padre salvami, Padre guariscimi, Padre dammi la grazia, Padre ascoltami; e anche Padre rendimi sereno, ricco, fortunato…” etc. Vi è una litania oscena di richieste dell’uomo a Dio e l’uomo non vuole comprendere che il suo stesso Dio produce richieste, e desidera, vuole, pretende: purezza di pensiero e di azioni innanzitutto. Qui si innesca uno scontro di pretese tra terra e cielo, e in questo scontro vi è l’allontanamento totale, il divenire sordo e invisibile di Dio. La parola usata per narrare tutto ciò ovviamente doveva essere alta, biblica, a tratti salmodica, una parola il più possibile credibile.

7. Un romanzo in cui è il presente ad essere distopico e apocalittico, in cui le anime nere si rincorrono e si perdono nell’oscurità delle tenebre. Non è un inno al male sicuramente, ma una visione nichilista e senza via di fuga, un percorso in cui l’uomo si spoglia delle sue ipocrisie, privo di un’etica e di una morale. Ma perché non se ne accorge?
M.: La letteratura nichilista ha un senso molto profondo di questi tempi. L’uomo è divenuto metallico, indifferente, impermeabile a ogni genere di sensazioni. E’ ormai tecnologico, robotico. Pertanto per dare una rappresentazione reale dell’oggi è bene usare una voce scollegata dalla morale, slegata da posizioni politiche o sociali precostituite, serve appunto una voce nichilista, metallica quanto metallico è ciò che deve indagare e narrare. Lucifero non produce giudizi, a modo suo è un umanista atipico, disinteressato alle sorti dei corpi che frequenta ma allo stesso tempo nutre una sua forma di pietas. A lui interessa osservare, comprendere. Nel romanzo si intuisce che in fondo spetta all’uomo accorgersi della via che ha cominciato a percorrere, per voltarsi e tornare indietro. Lucifero non parla, ma a modo suo ci avverte del dramma imminente.

8. Problema oggi dell’essere umano è l’individualismo che lo permea, destabilizzando il concetto di società e di comunità. Parlare del male così nel profondo aiuta ad esorcizzarlo?
M.: La letteratura non dovrebbe mai dare soluzioni, dovrebbe al massimo avvertire, indicare. Non si scrivono romanzi per salvare, ma bensì per dare strumenti critici al lettore. Questo è ciò che la letteratura, onestamente intesa, deve produrre. Altrimenti scade nella manualistica per lettori sentimentali. Leggere, quindi conoscere, aiuta a creare un pensiero complesso, definito, più lucido anche, e di conseguenza nella conoscenza vi è il superamento di alcune paure. Lucifero nel romanzo compie un gesto contrario alla sua natura: esorcizza noi raccontando noi.

9. Hai avuto più critiche o apprezzamenti sul tuo romanzo? Quali ti hanno colpito di più? Tu stesso  dici: «La felicità, l’amore, l’ottimismo li trovi nei manuali, non nella letteratura. La letteratura racconta la vita, nei suoi molteplici aspetti. E nei miei romanzi non vi e’ solamente il buio. I miei “ultimi” donano anche carezze, ma bisogna saperle vedere.»
M.: Ho un continuo, costante, profondo confronto con molte persone che leggono i miei romanzi. Sono molto contento quando apprezzano ciò che scrivo, ma non è lì il mio interesse. I romanzi devono essere un confronto paritario tra scrittore e lettore, nessuno in questo incontro dovrebbe mai salire sulla cattedra. Fondamentale è il confronto di idee, solo così il romanzo acquista senso. Ciò che più colpisce è l’urgenza dei lettori di sentirsi meno “diversi”, anche meno “sbagliati”, grazie ai libri. Le storie narrate in certa letteratura contengono le nostre paure, i nostri errori, la nostra fallibilità; e così facendo donano la consapevolezza che non esiste una colpa strettamente individuale, solo intima, pertanto insuperabile. Siamo tutti colpevoli di qualcosa. Tendiamo tutti all’errore. E in questo Lucifero compie un atto di estrema bontà: non giudica mai le nostre debolezze.