Michele Piumini è nato nel 1975 a Varese, ma ha sempre vissuto a Milano.
Dal 1999 svolge collaborazioni editoriali per le case editrici De Agostini, Feltrinelli, Piemme, Salani, Happy Books, E. Elle, Utet, Edizioni Pangea (correzione bozze, editing testi originali e tradotti, lettura manoscritti e testi in lingua straniera).
Dal 1999 traduce testi di narrativa e saggistica varia dall’inglese e dallo spagnolo per le case editrici Codice Edizioni, De Agostini, Feltrinelli, Galaad Edizioni, Indiana Editore, Isbn Edizioni, Johan & Levi, Minimum Fax, Mondadori, Nuove Edizioni Romane, Piemme, Il Saggiatore, Salani e Sonzogno.
Dal 2003 è collaboratore redazionale degli Oscar Mondadori.
Dal 2005 è docente di traduzione EN>IT nel corso “Il lavoro del traduttore letterario” e docente di editing nel corso “Lavorare in editoria” organizzati a Milano dall’Agenzia Letteraria Herzog di Roma. Nello stesso anno comincia a tenere incontri e seminari sulla traduzione in scuole di ogni grado.
Dal 2008 accompagna alla chitarra il padre Roberto nei suoi reading letterari.
Andate a visitare il suo interessante sito dal quale ho estratto parte della sua biografia: www.michelepiumini.it
1. Benvenuto, Michele. Parliamo di te: presentati da solo, magari spiegando con quale lavoro hai cominciato la tua carriera.
M.: La mia prima traduzione risale al 2000: Un cane davvero speciale (titolo italiano piuttosto insulso, l’originale è Bambulo – Primeros pasos) dello scrittore spagnolo Bernardo Atxaga. A tutt’oggi ho oltre sessanta titoli all’attivo – tre dallo spagnolo, tutti gli altri dall’inglese – fra narrativa (per ragazzi e adulti) e saggistica di vario tipo. Amo la musica e il linguaggio, due passioni che la traduzione, ovviamente, mi permette di coltivare ogni giorno, soprattutto – ma non esclusivamente: la lingua è musica in sé – quando traduco biografie o saggi musicali.
2. Quali difficoltà incontri nell’approccio di un libro?
M.: Dipende dal tipo di libro: la narrativa richiede sensibilità letteraria, abilità nel cogliere le sfumature e ampiezza di vocabolario; la saggistica precisione e capacità di svolgere ricerche.
3. Come ti organizzi nella traduzione? Raccontaci la tua giornata tipo.
M.: Non ho una giornata tipo, soprattutto da quando sono diventato papà: gli impegni si accavallano e non ho orari regolari. In generale, cerco di farmi una tabella di marcia e rispettarla in modo da non consegnare in ritardo: finora ci sono sempre riuscito.
4. Come funzionano i corsi di traduzione letteraria e come si diventa traduttore?
M.: Il corso in cui insegno non si rivolge a una tipologia particolare di utente: c’è chi spera di fare della traduzione il proprio lavoro, chi vuole cimentarsi in qualcosa di nuovo e chi vuole semplicemente rinfrescare l’inglese. Cerco di dare al laboratorio un taglio che sia il più pratico possibile: poca teoria (parlare di traduzione “in astratto” è difficile e in definitiva poco utile) e molto lavoro sul testo.
Come si diventa traduttori? Non esiste una risposta: è una combinazione di talento, pazienza e fortuna. Il difficile è cominciare. L’unica risposta possibile, secondo me, è raccontare come lo sono diventato io. La mia prima collaborazione con un editore è stata in veste di lettore: la redazione mi affidava dei testi stranieri da valutare compilando delle schede, nell’ottica di un’eventuale pubblicazione. Dopo una ventina di schede, mi ha proposto una prova di traduzione: l’ho superata e da allora non mi sono più fermato. Altri colleghi hanno cominciato in maniera completamente diversa: una, per esempio, ha ottenuto la prima traduzione grazie alla sua passione per l’astrologia.
5. Cerchi di conoscere bene i personaggi per poterli caratterizzare nel modo giusto?M.: Certo.
6. Conosci gli scrittori per i quali traduci i libri? Ci deve essere una sorta di “simbiosi” tra il traduttore e lo scrittore per rendere il giusto significato del romanzo? E come fai a mantenerne il carattere?
M.:N egli ultimi anni mi capita quasi sempre di entrare in contatto con gli autori che traduco (tranne ovviamente nel caso dei classici su cui ho avuto modo di lavorare: Oscar Wilde, Agatha Christie, Graham Greene, Jack Kerouac…). Sono sempre molto felici di collaborare e rispondere alle mie domande, perché sanno che questo è garanzia di serietà da parte mia. A volte, soprattutto nei saggi, mi capita di trovare degli errori, che segnalo agli autori: me ne sono molti grati, perché potranno a loro volta segnalarli al loro editore nell’ottica di eventuali ristampe.
7. Ti è capitato di portare avanti la traduzione di vari libri contemporaneamente? Se si, come riesci a tenere separate le varie storie?
M.: Raramente, ma mi è capitato. Può essere piacevole lavorare su due testi diversi, magari uno alla mattina e uno al pomeriggio.
8. Raccontaci qualche aneddoto su un pezzo che hai tradotto.
M.: La storia più straordinaria è senz’altro quella legata alla mia traduzione (o meglio ritraduzione) di Broken Music, l’autobiografia di Sting. È troppo lunga per essere raccontata qui, rimando chi fosse interessato al diario di traduzione che ho pubblicato sul mio sito. Anticipo solo l’epilogo: grazie a un’incredibile concatenazione di eventi e di conoscenze sono riuscito a incontrare l’autore, che mi ha sentitamente ringraziato per il mio “lavoro” (definirlo tale, per gli incredibili sviluppi che ha avuto, è davvero riduttivo).
9. Quanta gratificazione c’è nel vedere la pubblicazione di un libro tradotto da te? E, a tuo avviso e ascoltando anche l’esperienza di tuoi “colleghi”, il lavoro del traduttore viene sempre riconosciuto appieno?
M.: No, il lavoro del traduttore non viene sempre riconosciuto appieno, soprattutto in Italia. Il lettore poco attento, mediamente, si ricorda del traduttore solo quando ciò che legge gli sembra scritto male: in caso contrario, tende ad attribuire il merito all’autore. Una volta mi è capitato di trovare una recensione a un libro per bambini che avevo tradotto: «Una storia deliziosa, mia figlia mi chiede di rileggergliela di continuo, e poi è scritta in un italiano esemplare». Mi sono permesso di far notare che, se l’italiano sembrava esemplare, forse un po’ era anche merito mio.
La gratificazione nel veder pubblicare le mie traduzioni è innegabile. Per fortuna, negli ultimi tempi, alcuni editori stanno adottando la buona pratica di citare anche il nome del revisore, altra figura fondamentale per la realizzazione di un prodotto editoriale di livello alto.
10. Come si “sopravvive” di sola traduzione editoriale? E parlami del tempo, principale nemico in questo tipo di lavoro. Come si riesce a ritagliare lo spazio necessario per non essere fagocitati dalle traduzioni?
M.: Non è facile sopravvivere di sola traduzione, ma finora ci sono sempre riuscito. A questo scopo, è indispensabile collaborare con vari editori, perché uno solo non ti offre alcuna garanzia di lavoro continuativo.
Quanto al tempo, bisogna essere bravi a darsi una tabella di marcia e rispettarla per quanto possibile, ritagliandosi ovviamente lo spazio e il tempo da dedicare al resto della tua vita.
11. Quanta fantasia si può impiegare in una traduzione? Ho letto un articolo interessante in cui si descriveva un passaggio della traduzione di un romanzo decidendo i tempi utilizzati al presente anziché al passato e la modifica di un titolo, rispetto a quello originario.
M.: La fantasia è uno strumento importante, ma va impiegata solo quando è opportuno, per esempio nella resa di certi aspetti dei libri per bambini (nomi “parlanti”, giochi di parole, ecc.). Bisogna invece resistere alla tentazione di “abbellire” il testo o riscriverlo secondo il nostro gusto: il traduttore deve mettersi al servizio dell’autore.
12. Intervistando il tuo collega Daniele Petruccioli, ho scoperto che esistono penali in caso di non rispetto dei tempi di traduzione di un romanzo. Come si concretizzano? Una percentuale minore di guadagno? E, alla stessa stregua, le case editrici rispettano i tempi di pagamento?
M.: Per fortuna non sono mai incorso in penali, perché non ho mai consegnato una traduzione in ritardo.
Riguardo alla puntualità nel pagamento da parte degli editori, soprattutto negli ultimi tempi, stendiamo un velo pietoso…
Grazie a Michele e al suo contributo alla rubrica!