Intervista a Nicola Manzò

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Nicola Manzò è nato in uno dei quartieri più popolari di Napoli, la Stella, a poche centinaia di metri dalla casa di Totò. Lascia gli studi di Architettura al terzo anno e si dedica a tempo pieno alle sue grandi passioni: la scrittura e la scultura; ma nella sua vita non ha disdegnato di fare il posteggiatore, il burattinaio, il mascheraro. Autore prolifico, ha scritto vari lavori teatrali.

1. Benvenuto, raccontaci qualcosa di te, del tuo background.
N.: Io non nasco come scrittore, la mia passione principale era quella della scultura e lo è ancora. Però ho sempre amato la lettura da quando ero bambino e, attraverso un mio zio libraio, che mi regalò il primo libro di Salgari dicendomi: “Leggilo e quando farai il riassunto di quello che hai letto, te ne regalerò un altro.” a 9 anni cominciai a leggere un libro dietro l’altro e non ho mai smesso. Mi sono ritrovato questa passione per la scrittura cominciando a scrivere per il teatro – mia moglie è attrice e regista – e poi ho cominciato a liberare di più la mia fantasia e mi sono dedicato alla scrittura di romanzi veri e propri.

2. Prima di essere scrittore, sei anche lettore. Cosa ne pensi della letteratura italiana oggi? Tutto quello che viene pubblicato vale la pena di essere letto?
N.: Non credo proprio..ci sono tante opere bellissime e autori stupendi, altre che onestamente non riesco a concepire come letteratura. Mi sembrano più temi in classe – che può essere spiritoso o meno – ma definirli libri per la letteratura mi sembra eccessivo.

3. Tra le tue mani prendono forma le sculture dalle statue del presepe alle maschere teatrali e via dicendo. La realizzazione di una scultura sta nel plasmare un pezzo di argilla come la realizzazione di un romanzo sta a…?
N.: Diciamo che io le trovo due cose uguali. Plasmare una forma in argilla o creare un personaggio e dargli vita, quindi una caratterialità, un modo di essere diverso da un altro, mi crea le stesse identiche emozioni. Infatti spesso quando scrivo e sono piuttosto stanco o perchè non ho idee, per staccare prendo l’argilla e mi metto a fare una scultura, o viceversa.

4. Quando realizzi che l’opera è finita?
N.: C’è un momento, poi sopraggiungono sempre dubbi. Non sono mai soddisfatto al 100% di quello che ho realizzato, specialmente quando – e questa è una mia abitudine – scrivo qualcosa o creo un’opera – la accantono per un po’ di tempo e vado a rivederla, per vedere poi a mente fredda eventuali difetti o errori sia nella scrittura che nella scultura. Alla fine difficilmente riesco ad essere soddisfatto, perché sono molto critico con me stesso.

5. Spesso vi viene chiesto perché si comincia a sentire il bisogno di scrivere una storia. A me invece incuriosisce sapere cosa vi spinge a continuare.
N.: Io ritengo che lo scrivere e la scultura camminino su due binari paralleli. Lo scrivere è catartico, è un modo per scaricare tensioni, paure, angosce o anche momenti di allegria. E poi è un modo di creare mondi alternativi dove le cose vanno secondo il tuo modo di pensare. E’ questo che forse mi porta a scrivere e a continuare a farlo.

6. Ho intervistato Maurizio De Giovanni, Simonetta Santamaria, Stefano Crupi, Stefano Piedimonte. Ognuno di questi autori descrive a suo modo la città partenopea che sembra non essere mai la stessa. Malinconica, violenta, ironica, romantica, contraddittoria. Qual è la tua visione?
N.: Mi ha fatto una domanda simile un giornalista, al quale ho risposto: “Napoli è come un diamante: ha tante facce e riflette tante immagini diverse.” Infatti è tutto quello che hai detto ma è anche il contrario di tutto. Per cui è romantica ma anche violenta. D’altro canto io credo che una città di Santi al mondo non esista. Quindi etichettare Napoli come la città per eccellenza della delinquenza, mi stimola a lavorare attraverso i miei libri riportando cenni storici, di arte, di cultura ecc. per far sapere che Napoli non è poi l’immagine che viene continuamente trasmessa, ma c’è anche altro.

7. E’ appena uscito il tuo nuovo romanzo “Sette cavalieri d’oro. I delitti del barbiere” con TEA. Come è nata l’idea?
N.: L’idea era di fare una serie di questi romanzi. Il primo l’ho ambientato in una Napoli romanica. Mi piace spostare sia in maniera temporale, ma anche logistica. Non mi piace stare sempre nello stesso posto dove possono avvenire centinaia di delitti..mi sembra quasi un assurdo.
La seconda idea mi è venuta pensando alla Congiura dei Pazzi di Firenze e ho basato questa fantastica idea che Lorenzo de Medici abbia commissionato sette cavalieri d’oro a uno scultore famoso per regalarli al re Ferrante che stava per invadere i territori della Toscana.
E da lì parte tutto, perchè poi questi sette cavalieri vengono rubati, viene ucciso lo scultore e diventano un veicolo di morte, chi li possiede è soggetto ad essere ucciso, a fare una brutta morte. Nei secoli si tramanda questa brutta nomea dei sette cavalieri ma acquisiscono anche un grande potere, chi li possiede ha un potere immenso. E si sa, quando le persone stanno al potere schizzano un po’ con la testa. E ne abbiamo di esempi anche oggi! Da lì parte la storia attuale del romanzo.

8. Alfredo Renzi è il personaggio nato con Gli amanti di Vico San Severino. Padano doc, trasferitosi dal nord, rigoroso e intransigente. Come si è evoluto nel corso delle storie e quanto tempo gli ci è voluto per immergersi nella città e iniziare a pensare napoletano?
N.: Direi quanto tempo c’è voluto anche a me per capire poi il carattere di Renzi! Una cosa è descrivere un napoletano – io lo sono e quindi mi rispecchio – ma costruire un personaggio che non sia napoletano, ma quasi l’opposto della stessa medaglia è stato difficile. Fortunatamente ho parecchi amici con i quali mi confronto e ho potuto carpire molte informazioni. Ma è un personaggio che sto ancora sbozzando. Lui si troverà a venire in questa città preso da un’immagine completamente diversa dal suo modo di vedere, così rigoroso, così dedito al si e no, al bianco e al nero. A Napoli c’è grigio, verde, rosso, le cose cambiano. Però ha trovato un’umanità, una collaborazione, una disponibilità delle persone che hanno cominciato a credere in lui che non ha trovato altrove. Quindi comincia ad aprirsi un pochino alla volta. Sempre milanese è, non è aperto come un napoletano che, al contrario, delle volte è eccessivo, quasi teatrale. Io dico che la verità sta nel mezzo.
Se ci fossero dei personaggi come Renzi o Ettore in Italia, ad esempio, forse si andrebbe meglio! Renzi lo sto costruendo storia per storia, perchè quando si scrive il romanzo lo vivi anche tu, non si ha tutto in testa, le cose cambiano, il personaggio cambia percorso. Quindi lo scrittore vive insieme a queste figure l’avventura.

9. Nella storia di commissari e investigatori, si incontrano più facilmente personaggi tormentati, con passati ingombranti, con mille problemi..anche il commissario Renzi mi pare non se la passi molto bene..perché questa scelta?
N.: Io sono napoletano, quindi rispecchio questa mentalità. Il napoletano è tormentato, è teatrale. E’ allegro ed espansivo, ma quando si trova da solo – vedi ad esempio il grande Totò – è tristi, ha dei grossi conflitti interiori. Poi, quando è all’esterno, probabilmente riesce a mettersi questa maschera di napoletanità, che lo fa sorridere, lo fa sembrare allegro.
Ma l’interiorità, il carattere, di tutti i napoletani sono così. Considera che abbiamo subito dominazioni per secoli. E cosa potevamo fare? Metterci a ridere?

10. Il romanzo contiene riferimenti a periodi storici passati e a luoghi, edifici, monumenti ad essi legati, Come ti sei documentato per la stesura del romanzo?
N.: Io amo sia nelle sculture che nella scrittura contestualizzare bene le cose. Quindi, quando ho un’idea, la comincio a disegnare nella mia testa e la schizzo anche sul foglio. Poi comincio a documentarmi su tutto quello che mi potrebbe interessare su questi personaggi, sulla loro storia e poi comincio a scrivere. E’ vero che uno scrittore deve inserire verità a fantasia. Però non è che può vincere su tutto la fantasia, sennò diventa una favola per bambini. Quindi bisogna contestualizzare l’immaginario in una storia che è già accaduta.

11. Altro personaggio di spicco nelle tue storie è Ettore il barbiere. Ce ne vuoi parlare e quanto è importante una figura che da sempre raccoglie le esperienze di vita degli abitanti?
N.: A Napoli il barbiere è lo psicologo dei poveri. Lo era anche prima..le famose “capere” erano le pettinatrici che entravano nelle case, cominciavano a pettinare le clienti, iniziavano a prendere confidenza con loro e sentivano il pettegolezzo. Appena detto, dopo cinque minuti girava per tutta Napoli.
Al maschile abbiamo il barbiere. Renzi quando va dal barbiere dice a Pierino che gli fa la barba: “Portami sull’isola che non c’è” perché Pierino ha il tocco magico e Renzi si rilassa. Non ci va solo per questo, perché nella barberia si conoscono i fatti di tutti. Avendo conosciuto Ettore, appassionato di gialli, è un bravissimo ragazzo a cui si è legato molto, ovviamente è diventato un suo alleato. Chi più di un barbiere può dargli informazioni? Forse ce n’è uno, che si chiama Gugòl, Tatillo, un gobbo napoletano che io ho conosciuto, il titolare di questa rete dei poveri dell’informazione, che ho soprannominato “inter nos”, carpisce segreti e informazioni nei vicoli, nei cardini, nei decumani, dando un grande aiuto a Renzi, perché la polizia ha percorsi e lungaggini enormi durante le indagini, mentre questo riesce a scavalcare e sanno dove muoversi.
Ci sono altri personaggi interessanti come la maga Mariuccia, perché Napoli è anche una città esoterica, altra faccia di questa città. Sono tutti personaggi reali che vanno letti non come una caricatura, ma così come sono.

12. La contemporaneità in cui viviamo può essere vissuta come un ostacolo alla creatività necessaria per la buona riuscita di un romanzo o, al contrario, può essere un contenitore dal quale attingere le idee?
N.: Io credo che lo siano entrambi, perché sicuramente con quello che sentiamo e vediamo al giorno d’oggi, ci sono fin troppe idee da cui attingere, diventa tutto normale. Oggi mentre venivo qui per la presentazione, ero vicino al tribunale e ho sentito che erano appena state uccise delle persone. Il tassista si è sconvolto, io venendo da Napoli ne sono stato meno toccato, purtroppo abituato a sentire spesso di queste notizie.
Sentire parlare di delitti in continuazione nella vita reale, può portarti a deviare da quello che può essere un percorso per un romanzo. Ma se tu crei un’idea e la maturi, lavori su quella, non ci sono problemi..

13. La nostra collaboratrice Rosy Volta, che ha già letto il romanzo, sostiene che sia uno dei più bei gialli italiani che abbia letto negli ultimi anni. Quali caratteristiche pensa che abbiano i tuoi romanzi tanto da definirli in questo modo? Suggerimenti per chi si cimenta nell’intricato mondo della scrittura.
N.: Gli ingredienti dei miei romanzi sono semplici, forse è questo: il non creare passaggi pesanti, storie che possano tediare il lettore. O passaggi temporali e geografici impegnativi, perché anche il lettore insegue e si muove nelle pagine del libro. In questo modo il libro diventa più leggero. Poi disegnare i personaggi, curarne la loro psicologia e il loro carattere è bello, però non può essere eccessivo. Stiamo scrivendo un giallo, non un trattato di psicologia o di psichiatria ed entrare nei meandri più difficili dell’essere umano non è compito mio.
Io cerco di disegnare dei tratti garbati nei quali analizzo un serial killer, un commissario, un personaggio della strada, cercando di dare loro leggerezza.
Anche la storia, spostandola da un’epoca a un’altra, crea movimento. Quindi credo che il segreto possa essere questo e questo sento di poter consigliare a chi comincia.

Grazie a Nicola Manzò!