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Oggi su Contorni di noir incontriamo Federica Fantozzi: nata a Roma, giornalista a «l’Unità», ha scritto per «il Venerdì», «l’Espresso», «Sette», «La Nazione», «la Repubblica», «Italia Oggi». È autrice di due thriller, Caccia a Emy (2000) e Notte sul Negev (2001), entrambi pubblicati da Marsilio; insieme a Roberto Brunelli, ha scritto la biografia di Enrico Letta (Editori Riuniti, 2013). Marsilio Editori pubblica ora anche il nuovo romanzo intitolato Il logista. Protagonista è Amalia Pinter, giornalista in erba del Vero investigatore e giovane donna che si sente un po’ indietro sulla sua vita. Amalia vive a Roma, città che è la stessa dell’autrice: la Capitale è un luogo in decadenza, il cui deperimento è dovuto alle cattive amministrazioni che si sono succedute negli anni. I luoghi in cui Amalia si muove non sono quasi mai quelli frequentati dai turisti: sono i quartieri della Roma Bene e quelli lontani dal centro, dove la legge non arriva. La critica velatissima, che si esprime solo in termini descrittivi (Federica non espone mai opinioni personali) si avvale delle conoscenze dell’autrice che si occupa di politica interna.
Il mistero ruota attorno al logista, figura professionale che esiste davvero (si occupa della messa in sicurezza di persone in zone ad altissimo rischio) e che si muove nell’ombra, sul limite tra lecito e illegale. Il lavoro del logista è ai più sconosciuto e inedito in letteratura.
Lo abbiamo letto per voi e le abbiamo fatto qualche domanda.
1. Buon giorno e ben trovata Federica Fantozzi. Cosa aveva spinto una giornalista, o meglio una professionista di polso come te, a scrivere più di quindici anni fa due spythriller squisitamente internazionali e cosa ha provocato oggi la volontà di rimetterti in gioco, tornando in pista con Il logista?
F.: In mezzo ci sono due figli e, appunto, quindici anni di lavoro come cronista parlamentare all’Unità. Due attività totalizzanti che non hanno lasciato né tempo né spazio emotivo per altro. Nel periodo in cui il mio giornale ha chiuso, invece, ho sentito di nuovo la voglia di scrivere non per gli altri – cioè per informare, come fanno i giornalisti – ma per me stessa.
2. Amalia Pinter la tua protagonista, si arrabatta lavorando come cronista di nera per una testata di nicchia, ma ragiona e ha la testa sulle spalle. Cosa la spingerà, salvo certi nostalgici e forse indimenticabili ricordi, a intestardirsi e andare a cacciarsi nelle indagini sulla morte della sua vecchia fiamma?
F.: Cronisti bravi che si arrabattano per piccole testate o mettono insieme tante diverse collaborazioni per arrivare a uno stipendio sono molto più diffusi di quanto si creda. E la crisi che sta distruggendo il settore, purtroppo, ha peggiorato la situazione. Amalia è come tanti di noi: appassionata di questo mestiere, dell’adrenalina che provoca, del senso di libertà che ti lascia quando riesci a liberarti dalle pressioni altrui. Due cose la spingono ad andare avanti nell’indagine: la curiosità e la speranza – che non muore mai – di trovare finalmente lo scoop della vita.
3. Roma funge da superba cornice al tuo romanzo e ho letto che ringrazi Piero Colaprico per le sue dritte sulle gerarchie, l’organizzazione e il modus operandi delle forze dell’ordine. C’è molta differenza tra scrivere oggi uno spy-thriller plausibile senza sconfinare in un’avventura di fantascienza, o ben poca?
F.: La differenza c’è, anche perché i lettori sono molto più esperti, avveduti e “dialoganti” del passato. Nel senso che se trovano qualche dettaglio poco convincente lo fanno sapere direttamente allo scrittore. Il pubblico è giustamente esigente e bisogna fare attenzione, anche se gli errori ogni tanto scappano. Detto questo, io leggo volentieri Dan Brown e Clive Cussler, bestselleristi globali, che se ne infischiano di scrivere trame altamente inverosimili piene di riferimenti storici e geografici imprecisi.
4. Perché hai scelto di ambientare Il logista a Roma? E soprattutto perché hai scelto di far diventare l’Urbe il bersaglio di un bestiale assalto terrorista?
F.: Roma è la mia città, Ponte Milvio il quartiere in cui sono nata. Inevitabile oggi, non solo per chi fa il giornalista, chiedersi a un certo punto: sarò al sicuro dagli attacchi terroristici? Fino a che punto posso sentirmi diverso da un parigino o un berlinese? Non credo che esista un romano che non si è mai posto questa domanda. Diciamo che il romanzo è anche il mio modo di esorcizzare la risposta.
5. E ora per forza ti devo chiedere: secondo te cosa ha tenuto finora l’Italia al di fuori della sanguinaria bufera Jihadista?
F.: Non c’è una risposta. Dopo gli attentati del novembre 2015 al Bataclan il presidente francese Hollande ha detto: siamo in guerra. Questo, a mio avviso, vale per tutto l’Occidente. La Francia, maestra di democrazia e laicità del Vecchio Continente, ha pagato il prezzo più alto. Ma altri Paesi, dal Belgio alla Germania, hanno subito duri colpi. Non c’è una ragione, così come non è possibile prevenire con certezza le possibili azioni di lupi solitari che magari si sentono affiliati all’Isis ma non lo sono nei fatti. Del resto, le autorità italiane sono in allerta e gli obiettivi sensibili sul nostro territorio sono monitorati.
6. Oggi infatti tutto appare plausibile. Citi nei tuoi ringraziamenti Stefano Citati, dopo la tragedia del Bataclan tua fonte eccellente per inquadrare il ruolo dei logisti sullo scacchiere mondiale. Nuovi lavori dunque che non sono più lavori, ma quasi robotiche decisioni, nuovi giochi di vita e di morte presi a computer. Tante orribili morti utili a chi?
F.: Scoprire l’esistenza dei logisti di guerra mi ha molto incuriosito. E’ una professione sconosciuta, una delle tante al confine tra legalità e lato oscuro, molto redditizia: chi ha bisogno di muoversi in Paesi ad alto rischio deve appoggiarsi a uno specialista capace di aiutarlo a portare a termine la missione e riportare a casa la pelle. Però non sono decisioni robotiche bensì operazioni delicate, dove il minimo sbaglio può essere fatale. Un po’ come Mister Wolf in Pulp Fiction.
7. E con l’attuale grave instabilità internazionale vedi degli spiragli? Qualche speranza per il futuro?
F.: Questa è una domanda da rivolgere ai leader politici di tutto il mondo. Personalmente, dopo l’elezione di Trump negli Usa e la crescita del populismo in Europa, non mi sento molto ottimista.
Ma per chiudere ancora due domande di rito:
8. Durante la tua vita professionale, ti è mai capitato di ricevere una dritta interessante dalla “pigolata” di un qualche uccellino?
F.: Certo, e il momento in cui capisci che l’imbeccata è vera e può diventare una storia forte è uno di quelli che rendono impagabile il nostro mestiere. Fa venire, letteralmente, la pelle d’oca. Poi, va detto che io non mi occupo di giudiziaria, quindi le emozioni più forti mi sono precluse.
9. Prossimi progetti letterari?
F.: Nella mia testa le vicende di Amalia Pinter sono racchiuse in una trilogia. Ma si vedrà, perché in mezzo possono infilarsi tante cose.
Intervista a cura di Patrizia Debicke