Intervista a Paolo Roversi

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(c) Cecilia Lavopa

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“Benvenuti al primo evento del nuovo libro, sapevo che con l’alcol gratis sarebbe stato più facile!” Esordisce così Paolo Roversi all’incontro con i bloggers per la presentazione di “Cartoline fuori dal mondo”, appena uscito per Marsilio e ci accoglie con un gran sorriso nel locale di Milano Paso de los Toros.
Non è un caso che siamo qui, perché fin dalla prima avventura in Blue tango o nella Confraternita delle ossa, Radeschi frequenta questo locale storico. E’ citato anche in questo romanzo, perché dopo un periodo lontano dall’Italia Radeschi ci torna per mangiare.

Nell’ultimo romanzo, L’uomo della pianura, Radeschi scappa da Milano e non si sa più nulla, fino a ricomparire in questo romanzo. Dice: “Oggi sparire è difficile, un tempo negli anni ’60 o ’70 te ne andavi in Africa o in Thailandia e non ti trovavano più. Ora invece con i social network è un lavoro duro, ci vogliono almeno 5 anni per cancellarti del tutto.”

1. Perché hai aspettato così a lungo (otto anni) prima di riportare sulle pagine Enrico Radeschi e quanto difficile è stato scrivere un romanzo che risvegli la “passione Radeschiana” dei tuoi vecchi lettori senza per questo risultare oscuro a chi magari non ha mai letto le sue vicende?
P.: In realtà, l’operazione Radeschi l’ho cominciata nel 2016 con La confraternita delle ossa (Marsilio), visto che ne avevo nostalgia e i lettori me lo chiedevano. Non potevo cominciare subito con una storia, il distacco era troppo evidente e, visto che non sono Montalbano (di Camilleri si ricorderebbero tutti anche se passassero anni senza essere pubblicato), ho fatto il prequel. Quindi adesso in libreria troverete La confraternita delle ossa, Blue Tango (rivisto dopo 12 anni e riadattato) e questo.

Radeschi poi non sarebbe mai tornato se non ci fosse stato un caso all’altezza. Gli mancava Milano e il suo cane Buk, ha mangiato male per 8 anni! Comunque verranno ripubblicati tutti i suoi romanzi con Marsilio. Ogni romanzo è a sé stante, quindi si possono leggere anche individualmente e in ordine sparso. Non svelo mai qual è l’assassino del romanzo precedente…

2. Per quale motivo l’hai fatto sparire nell’ultimo libro? Volevi metterlo a riposo per un po’? Avevi già in mente Milano Criminale?
P.: Pensavo che lo avrei ripreso, perché una delle regole auree nei romanzi gialli e thriller, è non fare mai morire il cattivo, così come il protagonista principale. Visto che ne avevo scritti quattro di fila, avevo voglia di cambiare e cimentarmi con qualcosa di diverso. Infatti ho scritto Milano Criminale, solo il tempo di morire (Marsilio, 2015), che ha richiesto molto tempo. Tra l’altro, rispetto a tanti personaggi seriali, Radeschi invecchia con me, non è più lo stesso uomo della confraternita. Anno dopo anno, è figlio dei suoi tempi: trova palazzi di vetro, metropolitane di colori strani, trova una Milano totalmente diversa.

3. Mi pare di rintracciare nel romanzo alcuni elementi tipici della narrativa distopica. «Il grande fratello, in un mondo digitale, esiste davvero e sta con le antenne ritte», scrive a un certo punto. Il mondo digitale, lascia intuire, pare uscito da un romanzo di Orwell. Anche il titolo, oltre a rimandare ai posti più lontani dall’equatore che ci siano sulla faccia della terra, pare andare in questa direzione. Si tratta di un riferimento inconscio?
P.: Il titolo è più un omaggio a Sepùlveda, Il mondo alla fine del mondo, così come La terra del fuoco, mi sono piaciuti molto. In realtà è stato involontario il riferimento. Però è vero, oggi la tecnologia può essere un’arma potentissima, basti pensare che El Chapo – vedo tutte una delle serie di Narcos su Pablo Escobar su Netflix – quando è scappato, è stato preso perché suo figlio ha scattato una foto senza disattivare la geolocalizzazione nei metadati del suo smartphone.
Per essere sicuri di non essere presi non bisognerebbe usare cellulari, pagare solo contanti, non usare il navigatore, quando navighi su internet cancellare la cronologia ecc. Secondo voi, perché c’è questo successo delle criptovalute e del bitcoin? Se volete mettere via i soldi senza essere tracciati, compratevi i bitcoin. La mia impressione è che vogliano ridimensionare il fenomeno proprio perché non è tracciabile.

4. Centrale in questo romanzo è la figura di Leonardo da Vinci; perché l’hai scelto? Non temi antipatici (ed errati) paragoni con Dan Brown?
P.: Avete notato la copertina del romanzo? Ma voi lo sapevate che a Milano c’è un cavallo di sei metri di Leonardo da Vinci? Quando ho consegnato le bozze sono andato a vederlo. Devo dire che ho pensato di citare Leonardo, proprio perché le storie nascono dalle curiosità e le inserisci nel romanzo. L’altra era il Museo del Novecento, nel quale ho fatto svolgere una scena. Volevo un’indagine che raccontasse la città e un personaggio famoso. Effettivamente, Leonardo è più legato a Milano che in qualsiasi altre città.

5. Ti sei divertito di più a descrivere Radeschi in una Milano che non c’è più come nella confraternita o nella Milano di oggi?
P.: La Milano della confraternita è più raccontata. Radeschi è più innamorato di Milano nell’altro romanzo, in questo la città è più funzionale. Come autore, ho pensato più alla trama e ai personaggi, c’è sempre tanta Milano a prescindere, c’è un’attenzione al particolare e alla carta stampata che è superata.

6. C’è una differenza abissale tra lo scrivere un romanzo giallo o thriller solo venti o trent’anni fa rispetto a ora. Come si è evoluto o come è peggiorato lo scrivere oggi? Anche raccontare delle indagini all’interno di un giallo cambia in modo radicale…
P.: Se vuoi affrontare una storia globalizzata, una storia internazionale che possano leggere in tutto il mondo, è molto complesso perché ti devi confrontare con le nuove tecnologie di indagini. Se invece svolgi la storia con il classico omicidio nella stanza chiusa o semplicemente in un posto sperduto, ovviamente si è avvantaggiati. Penso comunque che ci sia stata un’influenza su noi autori delle serie televisive della serie Crime e CSI, hai l’idea che sulla scena del crimine avvengano delle cose pazzesche. Cito Radeschi: i computer sono oggetti bellissimi, se sai però come interrogarli!

7. Molto spesso vengono presentati come noir romanzi che non lo sono assolutamente. Che definizione dai tu del noir, precisando che questo è un giallo classico?
P.: Io rispondo sempre nello stesso modo: “Il noir è la storia di Cappuccetto Rosso raccontata dal lupo.” L’unico noir che ho scritto è L’uomo della pianura, l’ultimo in cui scappa Radeschi. Io sono per il giallo tradizionale, alla Agatha Christie, per intenderci.

Intervista realizzata in collaborazione con Marco A. Piva