Intervista a Lars Kepler

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(c) Thron Ullberg

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1.Settimo libro della serie di Joona Linna. Un assassino che torna in vita alla stregua di Lazzaro, come è nata l’idea?
L.: Abbiamo voluto ideare un personaggio che rispecchiasse Joanna nei suoi aspetti più cupi. Siamo quindi andati alla ricerca di tutte le informazioni possibili sui serial killer più conosciuti. Le storie alle loro spalle erano tutte deprimenti e ciò che le accomunava era l’assenza di affettività.

2. Il linguaggio utilizzato in tutto il romanzo è molto cinematografico, dal ritmo sincopato e incalzante. Come siete riusciti a trasformare la scrittura in proiezione?
L.: Il ritmo è sicuramente la chiave dei nostri romanzi perché cattura il lettore come se, appunto, stesse guardando un film. Un altro elemento che ci aiuta a creare suspence è l’uso del presente: ogni chiusura di capitolo non risulta mai davvero una chiusura. In questo modo cerchiamo di far sentire al lettore il bisogno di continuare a sfogliare le pagine e di dare alle scene che creiamo una proiezione visiva.

3. Joona è un poliziotto molto solitario, dopo aver subito la perdita della moglie. Sembra che chi gli sta vicino sia destinato a soffrire. Perché la scelta di caratterizzarlo così?
L.: Joona è molto empatico ama profondamente il suo lavoro in polizia e ha un passato che è una specie di mistero.
Per noi deve essere così anche perché ha Jurek come antagonista. Qui all’inizio si sente abbastanza sicuro, ha una fidanzata, sua figlia sta bene, è convinto che Jurek sia morto, ma…non vogliamo dire troppo della trama e dei personaggi.

4. Dicevate in una precedente intervista che il genere letterario del poliziesco serve a illuminare i lati oscuri della società e c’è anche da questo punto di vista una lunga tradizione in Scandinavia. Quindi un paese da cui è facile trovare ispirazione per le vostre storie?
L.: Le società che vivono in Scandinavia non sono particolarmente pericolose. In più, in tutto il Nord siamo molto laici ed è difficile che affidiamo la soluzione dei nostri problemi a Dio o alla Chiesa, quindi la ricerchiamo in altri modi. Uno dei modi per capire la società, per noi, è il romanzo poliziesco. Proprio il fatto che le società scandinave siano società in cui ci si sente abbastanza al sicuro fa sì che si ha il coraggio di affrontare questi temi.

5. Trovo che in tutti i vostri romanzi ci sia un collegamento tra i vari personaggi che avete creato, nei quali c’è sempre un persecutore che vuole fare del male. Non è solo l’aspetto della crudeltà fisica, ma anche psicologica. Perché vi piace sondare questi due aspetti? Pensate siano inscindibili tra loro?
L.: L’horror non ci interessa più di tanto perché lo troviamo deprimente, ma il confronto tra Joanna e Jurek ha portato inevitabilmente a una violenza estrema che ci siamo sentiti quasi in dovere di rendere autentica, attraverso una documentazione che abbiamo fatto a priori. A questa violenza però vogliamo trovare una soluzione e siamo convinti che i nostri libri si chiudano in maniera positiva rispondendo alle domande che il lettore si pone durante la lettura. Di sicuro il genere di thriller che ci interessa di più è quello psicologico perché vogliamo entrare con i nostri personaggi nella mente di chi si avvicina a loro.

6. In una precedente intervista, affermavate che il grande male nel mondo è molto, molto visibile ed è quello che spaventa e che vi spaventa di più. Ma le vostre storie vi fanno addentrare ancora di più in questa realtà. Perché rimanerci, dunque?
L.: La mancanza di pietà nel mondo continua a terrorizzarci. Guardando alla realtà infatti non si può pensare che la violenza scompaia e quindi crediamo sia giusto parlarne, studiare il perché gli uomini compiono azioni malvagie, capire da dov’è che nasce questa aggressività.

7. Joona e Saga si completano, per certi versi, due persone per formare un poliziotto. Trovo però che siano molto differenti, il primo che porta addosso il proprio passato e la seconda che lo rifugge. Qual è il motivo dietro a questa scelta?
L.: Ogni volta che pensiamo a come costruire un personaggio vogliamo che sia affascinante e che la sua complessità coinvolga noi durante la scrittura e il lettore durante la lettura. Anche nel loro caso abbiamo voluto dare un’impronta forte ma diversificata. Poi, come sempre ci accade, una volta creati i nostri personaggi iniziano a vivere da sé.

8. I vostri romanzi, più di altri del genere, in qualche modo coinvolgono il lettore nelle indagini stimolandolo a cogliere gli indizi e formulare ipotesi. Come avviene il processo di ricerca, stesura e controllo degli eventi narrati nel romanzo?
L.: Iniziamo avendo delle conversazioni sulla trama e segniamo tutto su dei post-it. Cominciamo poi a lavorare con questi post-it a seconda di come vogliamo impostare il racconto e quando abbiamo la trama pronta ci sediamo e cominciamo a scrivere: da qui tutto può succedere, anche che la storia si discosti in maniera radicale da quella originaria.

9. Visto che da L’ipnotista è stato tratto un film, come sono stati i risultati della trasposizione cinematografica? E’ riuscita a rispettare il libro? Vedreste anche questo ultimo romanzo?
L.: Per quanto riguarda la versione svedese de l’Ipnotista, non ci è piaciuta. Non rispecchiava il nostro libro e non eravamo stati in alcun modo coinvolti nel progetto. Ma ora siamo felici perché abbiamo ricomperato i diritti e ora a Hollywood la Paramount Pictures sta studiando sia un film che una serie TV. Non sappiamo che succederà, però almeno siano in contatto con loro e veniamo interpellati spesso.

Intervista  a cura di Cecilia Lavopa