Tod Goldberg – Gangsterland

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Editore Sperling&Kupfer – Collana Pandora
Anno 2016
Genere Thriller / Hard boiled
346 pagine – brossura con sovracopertina
Traduzione di A. Garavaglia
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Non_e_tempo_di_morire_MINIIn cosa credeva Sal Cupertine? Nella famiglia. Nel dovere. Nel meritato castigo.
Quando atterrai la prima volta a Los Angeles, la prima impressione che ebbi fu di trovarmi nella caricatura di un Paese: tutto era grande, sproporzionato. Le halles degli alberghi, le macchine, le strade, perfino le persone, anch’esse dilatate come per adattarsi agli spazi circostanti.
I lunghi viali costeggiati da palme e il clima californiano ti fanno alzare lo sguardo per tutto il tempo verso il cielo e i grattacieli.
La stessa visuale che trovai a Las Vegas, accentuata da luci e bagliori che attirano come i topi nella trappola. Il paragone è voluto, poiché sotto questa patina di bellezza si celano malavita organizzata e criminalità di vario genere magistralmente raccontate in primis da Don Winslow e, a seguire, di altri autori, ultimo Ryan Gattis nel suo romanzo “Giorni di fuoco”.
Ambientazione del romanzo di Tod Goldberg è Las Vegas, città trasformata da Howard Hughes in 10.000 ettari di deserto cespuglioso in un quartiere periferico di alto livello, pieno di campi da golf, dimore eleganti, laghi artificiali e pazienti di chirurgia plastica per un valore di milioni di dollari.
In questa landa assolata – ma non desolata – si è trasferito Sal Cupertine, uno dei migliori killers esistenti a Chicago – la città in cui Al Capone gestì i suoi affari – soprannominato Rain Man perché si ricorda tutto, non lascia tracce e opera con precisione chirurgica. La “Famiglia” gli diceva di uccidere e lui uccideva.
Sal gestiva i suoi affari insieme a Fat Monte, Ronnie Cupertine – cugino di Sal – e Paul Bruno.
Aveva una concezione sociopatica della violenza. Nessuno era mai riuscito ad interrogarlo, semplicemente perché non era mai stato arrestato.
Però anche lui commette un errore: uccide tre agenti dell’FBI.
Convinto di non avere scampo per l’enorme sbaglio commesso, viene scortato a Las Vegas da tre scagnozzi, ma si rende conto che se avessero voluto ucciderlo lo avrebbero fatto subito. Lo vogliono invece riqualificare in un nuovo ruolo: quello del vice rabbino presso il tempio Beth Israel, al soldo di Bennie Savone.
Gli cambiano i connotati attraverso vari interventi chirurgici e gli assegnano una nuova identità: David Cohen. Come vice rabbino, deve imparare a memoria la Torah e i testi sacri ebraici e ci riesce benissimo. Ogni tanto butta lì frasi tratte dalle canzoni di Bruce Springsteen o Neil Young, visto che nessuno sembra farci caso.
Della scomparsa di Sal Cupertine da Chicago, dato per morto a seguito del ritrovamento di un cadavere al quale si appiccica la sua etichetta per la comodità di tutti, non si dà pace Jeff Hopper, agente dell’FBI presente durante la sparatoria dei suoi colleghi e rimasto miracolosamente illeso. Mandato in congedo forzato, continua a indagare per proprio conto. Secondo lui il killer non è morto, ma non ha prove per confutarlo. Comincia così una caccia all’uomo, nella quale Hopper concentra tutte le sue energie, convinto fino in fondo che non bisogna mai credere alle apparenze.

Tod Goldberg si avvicina alla feccia della malavita, utilizzando gangsters stereotipati alla maniera de “Il Padrino”, ma si addentra in comparazioni tra fede religiosa e quella della Famiglia mafiosa, argomento che più risalta in questo romanzo e che fa la differenza.
L’autore descrive un credo legato all’omertà, un codice artificiale per tenere chiusa la bocca ai delinquenti, una falsa lealtà scaturita dai film che veniva adottata come religione dai gangsters al posto di qualcosa che avesse un vero significato.
Demonizza anche le sacre scritture e punta il dito sui religiosi, in questo caso gli ebrei, che pur non essendo convinti di quello che c’era scritto nei testi sacri, erano tutti pronti, fede o non fede, alla dura lotta per la sopravvivenza.
Sal Cupertine, alias rabbi David Cohen, è un pericoloso assassino che si avvicina alla preghiera, certo in modo poco ortodosso. “Lo commuoveva il fatto che la preghiera chiedesse non solo la guarigione fisica del malato ma anche che il suo spirito venisse mondato.” Uccide con una facilità disarmante e, allo stesso modo, trova spazio per ascoltare i fedeli che gli chiedono consiglio.

Dio aveva detto ad Abramo che Israele non aveva Mazel, destino, e quindi gli ebrei si creavano il proprio. Una singola mitzvah, compiuta senza fare domande, senza bisogno di riconoscenza, era la porta giusta per trovare mazel.
Tutti erano in grado di trascendere i propri meriti nella vita e, anche solo per un momento, trovare prosperità e imperscrutabile felicità.
Selezionato fra i migliori thriller del 2014 in America e con la CBS che ha ottenuto l’opzione per i diritti di una serie televisiva, seppure la trama non mi abbia particolarmente colpita per originalità, Goldberg ha saputo caratterizzare abilmente i personaggi che popolano questo romanzo, che vale una lettura per fare proprie alcune massime della Torah. Attenzione a non confondervi con quelle di Bruce Springsteen!
Mazel tov: buona (fortuna) lettura.

Cecilia Lavopa
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Lo scrittore:
Tod Goldberg è nato il 10 gennaio 1971 a Berkeley, in California, da una famiglia ebrea (non praticante: lui non ha fatto neanche il bar mitzvah) di origini ucraine. Il nonno fu vittima dei pogrom di inizio Novecento e dovette fuggire, insieme al fratello morente, munito soltanto di un sacco di patate.
Alla fine approdò a Walla Walla, nello stato di Washington, dove subì altre persecuzioni razziali. Nonostante questo divenne il capo della comunità, fiero di invecchiare senza rancori. Tod ha frequentato il liceo a Palm Springs e si è laureato alla California State University con un master in scrittura creativa, disciplina che ha insegnato poi alla UCLA. Attualmente vive a La Quinta, in California, con la moglie, anche lei scrittrice.
È autore di romanzi gialli e finalista del Los Angeles Times Book Prize. Il suo saggio “When They Let Them Bleed” è stato inserito in Best American Essays 2013. Con la raccolta di racconti Simplify, del 2006, è stato finalista dello SCIBA Award for Fiction e ha vinto l’Other Voices Short Story Collection Prize. Ha pubblicato numerosi altri racconti in riviste e antologie, ricevendo due volte la Special Mention for the Pushcart Prize, nonché la menzione per la Distinguished Story of the Year in Best American Mystery Stories 2009. I suoi articoli e recensioni compaiono regolarmente in varie pubblicazioni, tra le quali Los Angeles Times, Chicago Tribune, Las Vegas CityLife, Salon, Wall Street Journal, E!, e Jewcy.