L’itinerario artistico di Tanizaki Jun’ichirō (1886-1965) può essere quasi interamente ripercorso dal lettore italiano che dispone in traduzione di molti titoli, tra racconti e saggi. L’esordio dello scrittore avviene in un’epoca di grandi contrasti quando, così come la società, anche la letteratura riflette la scelta lacerante fra una tradizione millenaria e la via verso l’occidentalizzazione. Tanizaki vive questa frattura attratto dal nuovo e dal moderno, ma sensibile al bisogno di restare ancorato alle proprie radici. Ai primi racconti, ispirati a modelli occidentali eppure sempre rielaborati in linea con il proprio passato culturale, fanno da contrappunto le opere della maturità, che segnano un ritorno più marcato ai motivi e ai modi narrativi della classicità. La sua vasta produzione è multiforme nei temi e nelle tecniche, la sua vena sempre originale. Una continua ricerca estetica lo induce a tratteggiare ideali di bellezza femminile che riflettono l’infatuazione ora per l’esotismo della donna occidentale, ora per una femme fatale con cui vivere un rapporto di sottomissione masochistica, ora per una bellezza femminile celata nella penombra, avvolta nelle antiche sete del kimono. La fantasia, l’ironia, l’ambiguità pervadono la sua idea dell’arte. Dalla realtà egli trae solo spunto per creare un mondo immaginario, un universo della sua mente.
Già disponibile in libreria la sua raccolta “I racconti del crimine” edito da Marsilio nella collana Letteratura Universale Marsilio.
Filo conduttore di questa avvincente selezione di sei racconti del periodo giovanile di Tanizaki è il genere del romanzo poliziesco. Per la strada (1920) era stato accolto da Edogawa Ranpo, il padre del mystery giapponese, come «un’opera che ha fatto epoca nel tantei shōsetsu [romanzo poliziesco] e di cui possiamo andare fieri davanti agli occidentali». Come Tanizaki stesso afferma, che in questi racconti il crimine ci sia o non ci sia è un problema secondario: «anche se fosse proprio obbligatorio far accadere un crimine, non sarebbe comunque necessario arrivare a uccidere». L’intenzionalità dell’autore non è solo sperimentare il modello classico del poliziesco o le sue varianti – il delitto, l’indagine, la scoperta del colpevole o la soluzione del caso –, ma costruire la trama del romanzo come in un effetto di trompe-l’oeil, per ingannare lo sguardo del lettore. Il romanzo deve avere una trama interessante e suscitare l’interesse del pubblico. Il metodo scientifico-deduttivo del «poliziesco logico» offre la possibilità da un lato di sperimentare quella che Tanizaki definisce la «bellezza architettonica» del romanzo, dall’altro di coinvolgere il lettore nella scoperta della verità, sapendo che a questa non si arriva d’un tratto, ma gradualmente e in modo parziale, grazie a una serie di induzioni e deduzioni che si intrecciano e che alla fine portano alla rivelazione.