Roberto Costantini (Tripoli, 1952), ingegnere, Master in Management Science all’università di Stanford (California), è dirigente della Luiss Guido Carli di Roma dove insegna Negoziazione e Leadership. Consulente aziendale, ha lavorato per società italiane e internazionali. È autore di una serie di romanzi che hanno come protagonista il commissario Michele Balistreri, bestseller tradotti negli Stati Uniti e nei principali paesi europei. Con la Trilogia del male ha vinto il Premio speciale Giorgio Scerbanenco 2014 come «migliore opera noir degli anni 2000». Con La moglie perfetta è stato finalista al premio Bancarella 2016.
Questa l’intervista che abbiamo realizzato in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo, Una donna normale, edito da Longanesi, che potete sentire anche su www.onboox.it, nella rubrica di Ms e Mr Yellow.
1) Bentrovato su Contorni di Noir Roberto, e grazie per la tua disponibilità. Iniziamo con una domanda di rito. Com’è nata l’idea di questo nuovo romanzo “Una donna normale”?
R.: Il personaggio principale di “Una donna normale” è esattamente quello che dice il titolo. Noi siamo molto appassionati di super eroi e il mio altro personaggio, Michele Balistreri, ha quelle caratteristiche che attivano la nostra fantasia, ben sapendo che nella realtà non sono veri. Il personaggio di Aba invece non è effettivamente una super eroe. La sua normalità consiste nell’avere una vita affettiva, nonché una vita lavorativa – cosa che grazie al cielo oggi è molto comune anche nel campo femminile. Poi, ovviamente, essendoci una fiction e quindi una parte romanzata, il suo diventa un lavoro particolare: lei è un’impiegata ministeriale per tutti, in realtà opera all’interno di quella che è l’intelligence italiana, quindi nei servizi. Non in un ruolo in cui la possiamo immaginare come l’equivalente di una James Bond, ma come impiegata dei servizi segreti e come tale sa fare analisi al computer, sa collegare dati in un modo sorprendente, sa approfondire le notizie, ha delle intuizioni particolari però, ripeto, non è capace di saltare da un elicottero, di sparare né di affrontare una tigre a mani nude. Una donna giovane che durante venti anni di matrimonio è riuscita a mantenere il segreto su questa sua attività perché imposto contrattualmente dal suo datore di lavoro.
2) Com’è stato misurarsi con una protagonista femminile?
R.: Il fatto di scrivere di una protagonista femminile e inoltre di scriverne nelle parti familiari in prima persona nel ruolo di moglie e madre è una sfida titanica per un maschio. Mia moglie sostiene che sia l’ennesima dimostrazione che io non abbia capito nulla delle donne, però le lettrici sembrano apprezzare e quindi forse la realtà sta a metà. Io credo che per un uomo non sia facilissimo immaginare come reagirebbe una donna in determinate situazioni, sia nella parte familiare che lavorativa. Mi rifaccio spesso alle conversazioni con le mie amiche, con mia moglie, con la mia editor in Longanesi: abbiamo avuto uno straordinario aiuto da Alessia che ha rivisto alcune parti.
3) La vita di Aba si basa su un delicato equilibrio tra questi due ruoli in cui le sue identità finiscono per contaminarsi tra loro. Per quanto lei sia brava a cercare di tenere questi due mondi separati non credi che sia praticamente impossibile impedire che queste due realtà si sfiorino e quali conseguenze questo potrebbero avere?
R.: La tensione narrativa del libro è basata esattamente su questo. Nel caso di Aba la particolarità è proprio così: riuscirà a tenere insieme il suo lavoro e la sua famiglia? Non rischia di perdere una delle due? In questo romanzo si sviluppa una situazione lavorativa molto complessa, molto più pericolosa di quelle che ha affrontato in vent’anni. Gradualmente viene trascinata dall’altra parte del Mediterraneo, all’insaputa del marito e dei figli, nel mondo dove nessuna donna normale potrebbe trovarsi tranquillamente. Nel mondo della Libia di oggi, anche immaginando di girare solo per Tripoli, si possono trovare per strada camionette con ragazzini che non sono di nessun esercito ma che hanno tutti il mitra in mano. Non si potrebbe stare tranquilli ed è pure molto peggio di così. Con l’andare delle pagine del libro diventa sempre più complicato e a un certo punto Aba deve fare delle scelte e queste sono molto, molto complesse.
4) Perché hai scelto di parlare degli sbarchi di clandestini, tra l’altro argomento attuale, e della minaccia di un probabile attacco terroristico sul suolo italiano?
R.: Nell’ultima pagina del libro c’è un ringraziamento a chi mi ha aiutato, esteso anche a chi lo ha fatto in veste ufficiale all’interno dell’intelligence italiana che è uno straordinario servizio reso alla nostra nazione. Mi sono un pochino documentato e semmai dovesse entrare un terrorista in Italia disposto a farsi esplodere in una piazza, e dovrebbe essere qualcuno profondamente radicalizzato, l’ipotesi più probabile sarebbe che venisse attraverso il canale degli sbarchi, dovendo arrivare da fuori. Non avverrà mai? E’ già avvenuto e l’hanno bloccato? Non lo sapremo mai perché è una caratteristica dell’intelligence e dei servizi, perché celebrare un proprio successo significherebbe svelare tutta la rete che ha portato ad esso e di conseguenza non poterla usare successivamente.
5) Spesso Aba, mentre si trova nei panni di Ice sul suolo africano, ci mostra la realtà di quei luoghi facendoci riflettere sui diversi usi e costumi tra il loro e il nostro modo di vivere. Qual è il contrasto più stridente a tuo modo di vedere e dove invece, se c’è, un punto in comune?
R.: Penso che la domanda sia proprio posta bene: c’è il contrasto e c’è il punto in comune. Il contrasto tra gli islamici normali che sono il 99,9%, gente assolutamente moderata che crede in una religione diversa dalla nostra e i terroristici islamici che sono una minoranza che i primi stessi disprezzano e combattono. Si vede nell’altro personaggio principale del libro, Johnny Jazir, un mezzo arabo e mezzo italiano che Aba è costretta a utilizzare malvolentieri perché è un mezzo delinquente, ma è un agente che lavora per gli italiani a contratto e che ha una famiglia che è all’opposto di quella di Aba, che appartiene alla media borghesia italiana dove la donna si occupa di tutto il possibile. Lì invece abbiamo un signore che vive con quattro mogli col burka, tutte giovanissime, con quattro bambini che giocano scalzi in mezzo agli scorpioni e dove queste mogli appaiono e scompaiono a un suo battito di mani. Tra questi due mondi c’è molta distanza. Il ruolo della donna è vissuto in maniera molto diversa. Dal punto di vista islamico loro le donne le trattano meglio di noi, coprendole mentre noi le scopriamo. C’è una duplice valenza e il libro vi porta dentro a questo. Il punto di contatto invece è l’umanità: alla fine sono come noi, collegati all’umanità, quella che il lettore scopre mano a mano che Aba continua ad andare a frequentare la loro casa, che all’inizio disprezza ma dove si giunge a una comprensione reciproca che in qualche modo collega i due mondi.
6) Il personaggio di Pietro Ferrara, vicedirettore dell’Aisi per il terrorismo, capo diretto di Ice, oltre che mentore e punto di riferimento nel lavoro, riveste un ruolo che supplisce laddove il padre della donna ha mancato. Quali aggettivi useresti per raccontare il rapporto che lega Aba a Pietro e qual era la tua intenzione?
R.: In generale nella costruzione dei personaggi del romanzo il rapporto con il padre o con la madre è spesso rilevante. Nei miei precedenti libri i rapporti di Mike Balistreri con la madre in particolare e poi con suo padre, sono molto importanti. Nel caso di Aba la situazione di partenza è chiara: la bambina nasce, la madre muore per il parto e questa è già un colpa che lei si porterà appresso per sempre. Il padre di Aba è un personaggio mitologico che ha riformato completamente l’arma dei carabinieri e i servizi italiani. Tutti i dirigenti studiano sui libri dai lui scritti. Il padre che si chiama Abate di cognome impone a questa bambina un nome che è già una condanna e lo fa perché vuole che sua figlia sia la prima sempre e la educa come il maschio che lui avrebbe voluto. Questo padre scompare nella vita di Aba come la conosciamo oggi ma compaiono sempre i pensieri legati alle cose che lui le ha insegnato mentre il padre reale, quello che è fisicamente presente, è questo vecchio attendente di suo padre, Pietro Ferrara, che oggi è vice direttore dell’ Aisi e capo diretto di Aba all’interno dell’intelligence. Pietro è la parte umana di un lavoro che ha delle parti non umane. E’ un mondo in cui nel momento i cui si scontrano giustizia e necessità, a valere è quest’ultima. Pietro Ferrara è il punto di equilibrio tra queste due parti. La sua presenza aiuta Aba a essere Ice sul lavoro ma anche Aba con il marito e con i figli, perché ricordiamoci che la drammatizzazione qui è legata al fatto che questa donna opera tra questi due mondi.
7) Ci sono tante citazioni dal tuo romanzo che ho sottolineato durante la lettura e che potrei prendere ad esempio. Tra queste però mi piace ricordare questa che mi sembra molto vera e applicabile a molti settori con cui abbiamo a che fare quotidianamente. “Ciò che non si capisce del tutto fa paura” e credo che stia all’origine di molti problemi. Cosa ne pensi?
R.: L’ignoranza è sempre ciò che ci muove dal punto di vista del timore perché ciò che conosciamo molto bene alla fine siamo in grado di convogliarlo, di aggirarlo mentre è la possibilità di ciò che potrebbe accadere che non sappiamo affrontare. Indubbiamente Aba vive dentro a questo mondo che opera sulle possibilità che l’incognita diventi pericolo.
8) Parlando dei personaggi negativi all’interno del romanzo o di quelli che comunque sono in precario equilibrio tra bene e male, quale secondo te è capace di suscitare più fascino nel lettore?
R.: Mi baso sui riscontri che ci sono a due mesi dall’uscita da parte dei lettori. Penso Johnny Jazir che abbiamo già citato prima. Mezzo libico, mezzo africano, mezzo europeo. Un uomo che ha quattro mogli bambine che tiene in casa con il burka e che per soldi fa qualunque cosa. Ha una sua visione del mondo che piano piano traspare, che è indubbiamente diversa dalla nostra e i cui motivi veniamo a comprendere: motivi validi che hanno un senso in quel tipo di mondo dove la protezione dell’uomo sulla donna è più rilevante di quanto sia necessaria nel mondo occidentale.
9) Immagino che a questo libro ci sarà un seguito anche perché ci sono delle cose sul conto di Aba sulle quali vorremmo sapere di più e fare maggiore luce. Cosa ci puoi anticipare?
R.: I miei libri son sempre scritti in modo tale che si possano comprare, leggere e avere un finale. Io non amo i personaggi fissi e immutabili che si ripropongono sempre allo stesso modo: c’è una storia trasversale che è la storia di Aba, la sua evoluzione attraverso queste vicende. Per esempio a seguito di quello che le succede sul lavoro accade qualcosa anche nella sua parte personale perché i due mondi che son sempre stati limitrofi ma impermeabili l’uno all’altro, in questo libro cedono. Quindi possiamo sicuramente dire che nel prossimo romanzo succederà qualcosa dovuto a quanto è successo in questo, nella sua sfera personale.
Intervista a cura di Federica Politi