Intervista a Massimo Carlotto

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Massimo Carlotto è uno dei più importanti scrittori italiani. Il suo romanzo d’esordio è Il fuggiasco, uscito nel 1995 per le Edizioni E/O. Per la stessa casa editrice ha pubblicato: Arrivederci amore, ciao, La verità dell’Alligatore, Il mistero di Mangiabarche, Le irregolari, Nessuna cortesia all’uscita, Il corriere colombiano, Il maestro di nodi (Premio Scerbanenco 2003), Niente, più niente al mondo (Premio Girulà 2008), L’oscura immensità della morte, Nordest con Marco Videtta (Premio Selezione Bancarella 2006), La terra della mia anima (Premio Grinzane Noir 2007), Cristiani di Allah (2008), Perdas de Fogu con i Mama Sabot (Premio Noir Ecologista Jean-Claude Izzo 2009), L’amore del bandito (2010), Alla fine di un giorno noioso (2011), Il mondo non mi deve nulla (2014). I suoi ultimi romanzi sono La banda degli amanti (2015) e Per tutto l’oro del mondo (2015).

Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Mi fido di te, scritto assieme a Francesco Abate, Respiro corto, Cocaina (con Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo) e, con Marco Videtta, i quattro romanzi del ciclo Le Vendicatrici (Ksenia, Eva, Sara e Luz).
Per Edizioni Cento Autori ha pubblicato nella collana Storie per crescere il libro Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel (2016).

Esce oggi il suo nuovo libro pubblicato da CentoAutori, un’antologia di racconti intitolata “Variazioni sul noir” e dopo la recensione che troverete pubblicata sul blog, lo abbiamo intervistato:

1.Benvenuto su Contorni di noir, è sempre un piacere, Massimo. Innanzitutto, mi spieghi il titolo, “Variazioni sul noir”?
M.: Variazioni di passo, di sguardo, di stile in un percorso lungo venticinque anni dove il racconto non è mai stata un’esperienza laterale o riduttiva rispetto al romanzo ma una vera e propria progettualità.

2.Il ricordo di Tecla Dozio, titolare della Sherlockiana, La libreria del giallo, è ancora vivo. Com’è stato rimettere mano al suo racconto (Champagne per due) e, in generale, agli altri pubblicati in passato?
M.: Tecla aveva curato l’editing e la pubblicazione di due racconti presenti in questa antologia. È stata una vera emozione rileggerli perché è stata un’occasione per ricordare intensamente Tecla, la sua amicizia e il suo straordinario e generosissimo apporto allo sviluppo della letteratura di genere in Italia. Libri ma anche vita, amicizia, piacere di frequentarsi. E da parte sua con una disarmante sincerità.

3.Venticinque anni di scrittura: cosa rappresentano per te? Raccontaci un ricordo, un’emozione.
M.: Venticinque anni molto intensi da tutti i punti di vista. Forse il ricordo più emozionante è stato partecipare come finalista all’Edgar Allan Poe Award. Prima era capitato solo a Umberto Eco con Il nome della rosa. Ho affittato uno smoking e per una sera mi sono ritrovato in mezzo agli autori americani più famosi incuriositi della presenza di questo italiano che aveva scritto un noir che li aveva colpiti (Arrivederci amore, ciao). Tuttavia conservo gelosamente molti altri ricordi e aneddoti legati a presentazioni, incontri con lettori, editori…

4.I racconti sono solo sette, ma spaziano sia a livello geografico che di tematiche. Come sono stati scelti da te e dall’editore?
M.: Carmine Treanni, direttore della collana, ha provveduto a raccogliere i titoli, poi è iniziata la mia ricerca tra cartaceo e file e un lungo lavoro di rilettura. Mi sono reso conto che non avrebbe avuto senso un criterio cronologico e ho preferito una scelta tematica che permettesse di tracciare il mio percorso di ricerca nel noir.

5.Un racconto ci porta ai ricordi della Milano ai tempi della lotta armata, agli anni di piombo che hanno costellato gli anni ’70. Com’è cambiata l’ideologia dell’epoca – se ne esiste ancora una – rispetto ai giorni nostri?
M.: Credo che di quei tempi rimanga solo un ricordo confuso, grigio, doloroso. Ho voluto ripubblicare Cuori rossi dopo tanti anni per stuzzicare memoria o curiosità per coloro che non li hanno vissuti.

6.Difficile scrivere di un meccanismo criminale che è ormai parte integrante di un sistema. Come si fa a scalzare questa pandemia generalizzata di delinquenza? I libri sono sufficienti a scuotere le menti o la gente non ha voglia di ragionare troppo?
M.: I lettori di genere sono solitamente più informati. Sono convinto che sia stato fatto uno sforzo unico e irripetibile da parte di questa letteratura per collocare al centro delle narrazioni un’idea precisa e reale di criminalità. Il problema temo sia un altro e cioè economico. Il crimine produce una tale quantità di denaro che quando viene immessa nell’economia legale la differenza si avverte.

7.Giuseppe Pontiggia diceva che non bisogna applicare il pregiudizio letterario nella scrittura. Si può scrivere senza pregiudizi?
M.: Si deve scrivere senza pregiudizi, soprattutto quando si narra di atti o personaggi che si macchiano di colpe. Io mi sforzo di essere sempre imparziale, lascio al lettore il giudizio. Però la letteratura non è mai neutra, è sempre di parte e bisogna fare estrema attenzione che il pensiero dell’autore non diventi pregiudizio.

8.In alcuni racconti ho respirato il male puro, quello che non conosce sconti, che non conosce ragioni. Il tuo vuol essere la voce fuori dal coro, quella che ci vuole riportare alla cruda realtà rispetto a una patina di buonismo?
M.: Scrivere del male puro non è facile e dal punto di vista personale è una scelta altrettanto difficile ma ho sempre pensato che qualcuno deve farlo. Esiste una letteratura consolatoria che ci ha regalato e continua a farlo romanzi meravigliosi. Ma il noir è altra cosa. In questi venticinque anni ho ritenuto giusto scrivere determinate storie piuttosto che altre.

9.I racconti parlano di sentimenti intesi come accezione negativa, quasi a voler soverchiare ciò che di buono possano trasmettere. E’ una visione pessimistica della vita o semplicemente un campanello d’allarme ed evidenziarne il lato nascosto?
M.: Credo che in alcuni ambienti come la criminalità, o incerte situazioni claustrofobiche, i sentimenti debbano essere negati o interpretati attraverso altri modelli, altrimenti la loro forza rischia di mettere in crisi gli individui. Ho sempre cercato di essere molto realista nella descrizione di persone e ambienti ma mai con l’idea di proporre delle visioni univoche.

10.Un accenno alla libreria CentoAutori, che ci regala delle opere straordinarie come questa raccolta di racconti: com’è nata la vostra collaborazione e quanto sono importanti gli editori?
M.: Con CentoAutori ho ripubblicato due testi per ragazzi e ho accettato ben volentieri la proposta di festeggiare i miei venticinque anni di scrittura con questa antologia perché apprezzo il modo di lavorare e di rapportarsi agli autori di questa piccola casa editrice. Da sempre ho voluto privilegiare rapporti con editori presenti, attenti e disposti a un confronto perché non è vero che uno vale l’altro.

11.Una domanda alla quale non ci possiamo esimere: cos’è stato per te come scrittore vivere questo periodo di lockdown? Cambierà il tuo modo di scrivere?
M.: Sto scrivendo il nuovo romanzo ma il lockdown non è nemmeno citato. È una condizione che abbiamo vissuto tutti ed è inutile, a mio avviso, raccontarla. Altrimenti si corre il rischio di considerare la pandemia una condizione assoluta e tutto il resto perde senso, sembra meno importante. Il lockdown mi ha sorpreso in montagna. Una vacanza di qualche giorno con la famiglia è durata due mesi in una valle dove il virus non è mai arrivato. È stato strano osservare quanto accadeva da lontano. Sono riuscito a lavorare molto poco, però ho letto romanzi che non avrei mai letto prima e come tutti mi sono dedicato al cibo. La cucina altoatesina è una vera tentazione.

Intervista a cura di Cecilia Lavopa