Intervista a Antonio Fusco

1283


Antonio Fusco è nato a Napoli. Laureato in Giurisprudenza e Scienze delle pubbliche amministrazioni, è funzionario nella Polizia di Stato e criminologo forense. Ha lavorato a Roma e a Napoli. Dal 2000 vive in Toscana, dove si occupa di indagini di polizia giudiziaria. Ha pubblicato con Giunti Editore la serie del commissario Casabona della quale fanno parte Ogni giorno ha il suo male (2014) – La pietà dell’acqua (2015) – Il metodo della fenice (2016) – Le vite parallele (2017) – Alla fine del viaggio (2019).

Oggi esce la sua ultima opera, La stagione del fango e noi gli abbiamo rivolto qualche domanda:

1. Bentornato sul blog, Antonio. Esce oggi per Giunti Editore il nuovo romanzo del commissario Casabona, La stagione del fango. Come è nata l’idea?
A.: Bentrovati a voi e grazie per l’ospitalità. Questo romanzo nasce da una curiosità e da una suggestione. La prima si può riassumere nella domanda: cosa si prova ad essere dall’altra parte di un’indagine? Mi intrigava l’idea di descrivere la situazione di un investigatore, abituato a dare la caccia a criminali e assassini, che una mattina scopre di essere accusato di un grave reato e, per questo, di essere braccato dai suoi colleghi e rinnegato da tutti. La carica emotiva, necessaria per dare un’anima alla storia, me l’ha data la visione del film “Un uomo per bene” che racconta la triste vicenda di Enzo Tortora, travolto da una giustizia che diventò persecuzione.

2. Da sempre esistono per Casabona due universi paralleli che sono la famiglia da un lato e il lavoro dall’altro. In entrambi è avvenuto un tradimento, ma se in ambito familiare il commissario se n’è fatto una ragione, essere accusato dai suoi colleghi di omicidio è un’amara scoperta. Com’è per lui trovarsi dall’altro lato della barricata?
A.: Stare dall’altra parte della barricata è un’esperienza sconvolgente, che lo costringe a fare i conti con quelle che sembravano essere certezze e che invece si dimostrano solo effimere situazioni di comodo. Nello stesso tempo, però, in quella situazione, ritrova il senso dei valori veri e dei rapporti umani che restano, nonostante tutto, ai quali ci si può aggrappare anche durante la tempesta.

3. Spesso, nei momenti di maggiore difficoltà, ci si rende conto di essere soli. Gli amici – o presunti tali – per paura di essere sporcati dal fango che arriva su Casabona stanno a debita distanza. Che sensazione si prova a non essere creduti?
A.: Nella vita, tutti noi, facciamo l’errore di confondere il ruolo che interpretiamo nella società con il nostro essere interiore. Diciamo “io sono il commissario …”, piuttosto che “io sono Antonio Fusco e faccio il commissario”, come sarebbe più giusto dire. La conseguenza è che il venir meno della nostra identità sociale ci travolge completamente e rende la nostra vita priva di senso. Allora, per restare a galla, bisogna ritornare al passato e cercare noi stessi nei rapporti essenziali, quelli che prescindono dalla professione perché sono nati molto prima.

4. Ho trovato in questo libro un Casabona più intimista, sotto l’aspetto personale, una particolare sensibilità all’amore presente e passato. Una maturazione importante, nella quale il commissario afferra la propria vita e non lascia che gli altri prendano il sopravvento. È sempre stato così o è la situazione che lo impone?
A.: Come dicevo prima, è nella difficoltà che si riscopre ciò che è vero ed essenziale. È come quando si viene colpiti da una grave malattia. Il dolore, che sia fisico o morale, sgombra la nostra vita da tanti inutili orpelli e ci riporta alle cose veramente importanti.

5. La magistratura spesso ha dato prova di enormi falle nel sistema, a partire dagli errori giudiziari come quello di cui parli nel libro, alla rimessa in libertà di feroci assassini perché sono piene le carceri, ai permessi premio agli ergastolani. C’è una tendenza a reiterare gli stessi torti? Trovi uno scollamento tra forze dell’ordine e magistratura?
A.: Le istituzioni camminano sulle gambe degli uomini. Si possono scrivere leggi perfette, dal punto di vista teorico, ma saranno sempre le donne e gli uomini che ricoprono determinati ruoli a doverle interpretare ed applicare. Sono le persone che fanno la differenza. La loro competenza e il loro senso del dovere. Non esiste uno scollamento tra Forze dell’ordine e Magistratura. Esistono professionisti più o meno validi, da una parte e dall’altra. Per fortuna quelli poco capaci sono una sparuta minoranza, anche se fanno più notizia. Il problema vero è che non sempre pagano per i danni che causano. Questo perché, in Italia, c’è una certa ritrosia ad applicare il principio di responsabilità. Il merito, e quindi il demerito, non sempre incidono in modo determinante nello sviluppo delle carriere, come invece dovrebbe essere.

6. Per chi vive in strada il rispetto è tutto. Si ammazza e si viene uccisi per il rispetto. È l’abito che veste il potere. Quanto – e se – è cambiato oggi il modo di agire da parte di queste “famiglie” camorriste ai giorni nostri rispetto a come agivano in passato? Più brutalità e meno codice d’onore, più tecnologia e meno proiettili?
A.: Io non ho mai creduto molto a questa storia del “codice d’onore”. Il termine “onore”, per il suo alto significato etico, non lo ritengo applicabile e chi non ha rispetto per la vita umana e usa la violenza e la sopraffazione per affermare sé stesso sugli altri. Ogni mattina, migliaia di napoletani si svegliano all’alba e vanno a lavorare, spesso facendo mestieri umili e mal pagati, per sostenere le proprie famiglie. Quelli sono “uomini d’onore”, dal mio punto di vista, e meritano il nostro rispetto.

7. Parlando sempre di rispetto, cosa rappresenta per Casabona?
A. Per chi fa questo mestiere, il rispetto non può derivare dal timore dell’autorità che si rappresenta. Il rispetto vero è quello che Casabona descrive nel romanzo: “Il rispetto, per quelli che stavano dalla mia parte, non era legato alla ferocia e alla violenza, come avveniva nel loro mondo. Noi ce lo guadagnavamo osservando le regole, non giocando sporco, non parteggiando per una parte piuttosto che per l’altra, non abusando del nostro ruolo. Potevamo colpire duro, questo non era un problema, ma senza colpi bassi”.

8. Casabona e la sua anima nera a un certo punto si trovano ad avere dei dubbi e prevale la metà negativa, quella che lo mette in guardia dal male infiocchettato che lo circonda. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio?
A.: Io penso che “fidarsi è meglio”, ma solo dopo aver fatto una serie di attente verifiche.

9. Chi va via ci cambia irrimediabilmente. Lo dice Casabona parlando di sua moglie Francesca. Per cambiare occorrono questi strappi, questi traumi?
A.: La fine di un rapporto importante impone sempre un cambiamento. Un mondo si chiude e se ne apre un altro, che non sarà mai uguale a prima. Perché quel mondo che finisce non apparteneva solo a noi e senza l’altra persona non potremmo mai ricrearlo nello stesso modo.

10. C’è un altro passaggio che mi è piaciuto molto: In fondo, tutti abbiamo vite non vissute che si sono perse nel passato. Facciamo le nostre scelte e il resto svanisce. Si vive di illusioni? Di rimpianti pensando alle scelte sbagliate?
A.: Le vite possibili sono infinite, ma a noi, purtroppo, ne tocca solo una. Questa è la grande crudeltà della condizione umana: il non poter tornare indietro per vedere dove ci avrebbe portato una scelta diversa fatta ad un certo bivio. “La vita ci obbliga a rinunciare a ogni cosa tranne che al nostro destino”, dice Casabona nel romanzo.

11. Siamo la stessa cosa, ma figli di un’opportunità diversa. Da poliziotto e da scrittore, cosa ne pensi quando ti dicono che per catturare o scrivere di un criminale bisogna pensare come un criminale?
A.: Penso che sia vero. Il criminale non è una specie vivente a parte. Il criminale è un essere umano che, in una certa situazione, non ha saputo o non ha potuto trattenere una pulsione atavica della quale non riusciamo a liberarci definitivamente.

12. Pur avendo creato un personaggio seriale, il tuo commissario ha ancora molto da raccontare, secondo me. Ma non hai timore di rimanerne intrappolato? Ci sono altre storie che magari ti frullano per la testa?
A.: È già da un bel po’ che sento il bisogno di scrivere una storia diversa, Spero di riuscire a farlo quanto prima. Casabona non me ne vorrà, lui sa che resterà sempre il mio preferito.

Intervista a cura di Cecilia Lavopa