Intervista a Franck Thilliez

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(foto Cecilia Lavopa)

Nato ad Annecy, Franck Thilliez è un ingegnere informatico. Nel 2004 pubblica il suo primo libro Train d’enfer pour Ange rouge. Ha vinto i premi Prix des lecteurs «Quais du Polar» 2006 e Prix SNCF du Polar 2007 con il libro La Chambre des morts. Giallista di grandissimo successo, i suoi libri hanno venduto un totale di nove milioni di copie e il suo nome compare tra quelli dei dieci autori più venduti in Francia in assoluto. Attualmente vive tra Pas-de-Calais, Antille e Guyana. Fazi Editore ha pubblicato Il manoscritto nel 2019, Il sogno nel 2020, C’era due volte nel 2021, Puzzle nel 2022 e Labirinti nel 2023.

A Milano per presentare il suo nuovo romanzo pubblicato da Fazi Editore, Vertigine, lo abbiamo incontrato insieme a Manuel Figliolini de La Bottega del Giallo. Questa l’intervista alla quale seguirà versione video sul canale Youtube sia di Contorni di noir che de La Bottega del Giallo.

1. È appena uscito il tuo nuovo romanzo psicologico, Vertigine, pubblicato da Fazi Editore. Vuoi raccontarci in breve di cosa si tratta?
T.: Vertigine comincia con la storia di tre uomini e un cane che si risvegliano in fondo a un baratro e non sanno perché sono li. Man mano che il romanzo avanza scoprono la ragione che li vede li. È un romanzo scritto in prima persona, mi sono messo nella testa di uno dei personaggi che è l’eroe del romanzo, di nome Jonathan, un grande alpinista che si ritrova in questo posto molto chiuso. Per lui è molto difficile, dato che è abituato ai grandi spazi all’aperto e questa condizione lo metterà molto in difficoltà.

2. Ho riletto da poco Memorie dal sottosuolo di Dostojevski e quello che mi ha colpito è una certa similitudine nella trama del tuo romanzo, perché tu hai portato l’uomo negli abissi più profondi, lo hai privato di tutto e hai raccontato il cambiamento che è avvenuto non solo in quest’uomo, ma in tutti i personaggi che sono all’interno di questo abisso. Un uomo che si è trasformato a mano a mano che avanzava la sua disperazione. Questo mi ha colpito molto, pensando a cosa potremmo essere capaci, se ci trovassimo in determinate condizioni. In fondo, è la regressione dell’uomo a livello di animale. Cosa ne pensi?
T.: In tutti i romanzi che ho scritto per me è importante che tutti i personaggi si ritrovino trasformati dalla storia che vivono. Questo perché penso che un buon romanzo sia quando un personaggio evolve, entra nella storia in maniera diversa da come ne esce. Un’altra cosa che m’interessa nelle mie storie è il passaggio all’azione, quando compiono qualcosa che cambi l’animo umano – molto spesso dei crimini – e per Vertigine ho voluto provare a spingere l’uomo al limite massimo. Di cosa è capace per sopravvivere? Questo per me è il cervello “primitivo”, ho voluto far vedere che esiste, soffocato da cervelli più evoluti e quando ci sbarazziamo di tutti questi cervelli, ecco che il cervello “primitivo” prende il sopravvento.

3. L’edizione francese di questo romanzo è stata pubblicata nel 2012 ed esce oggi con Fazi Editore a distanza di parecchi anni. Lo hai riletto, ora che è stato ripubblicato? E cosa hai notato di diverso da Thilliez del 2011 e Thilliez nel 2023?
T.: Sapendo che il mio romanzo sarebbe stato pubblicato da Fazi, ho dovuto riprendere in mano la storia per riappropriarmene. Ho scritto molto dal 2012 e sono passati dieci anni da quando lo avevo scritto, ci sono state molte storie tra i due. Ho avuto bisogno di rientrare nella pelle dei personaggi, di risentire l’ambientazione che è molto importante. Non l’ho riletto ma l’ho riaperto e sfogliato e mi sono ricordato subito di tutti i passaggi, ed è così che mi sono rituffato in questo libro molto particolare, scritto in prima persona e al tempo presente, perché volevo che il lettore si sentisse insieme al personaggio nel momento che accadevano le cose.

4. Parliamo ora dei personaggi, al di là del protagonista principale, Jonathan Touvier. Come sono stati creati e come li hai personalizzati? Perché proprio con quelle caratteristiche? Soprattutto perché aggiungere anche come personaggio un cane…
T.: Io sono molto affascinato dal mondo dell’alpinismo, non lo pratico ma lo seguo, mi affascinano molto le persone che spingono il loro limite per salire sulle montagne, persone che rischiano la propria vita per conquistare una vetta. E su questo ho costruito la personalità del protagonista dal carattere molto forte, capace di resistere in situazioni estreme. Volevo anche far capire come un carattere così potente possa sgretolarsi, qual è il momento o il passaggio che spacca il protagonista.
Poi, sul numero dei personaggi ci ho riflettuto molto, ho pensato che tre fosse il numero giusto, quello che permette di creare tutta una serie di emozioni, alleanze e tradimenti. È veramente il triangolo che ritroviamo in tutte le tragedie greche, due che si alleano contro uno, se ci fosse una votazione ci sarebbe una maggioranza e questo secondo me era perfetto.

Mi ha permesso di giocare con tutte queste situazioni. Il cane è stato un particolare che ho voluto inserire perché è l’animale più fedele e crea un rapporto stretto con l’uomo, portando anche il padrone a proteggerlo a rischio della propria vita. Sapevo quindi, con molta cautela, di poter giocare anche con questo aspetto ed ero cosciente che il lettore verso questo animale avrebbe provato una forte emozione. È stato anche un paragone con l’uomo che si avvicina molto all’animale in questa situazione, il cane cerca da mangiare, fa parte del suo istinto e ci si rende conto durante la lettura del romanzo che la cosa che avvicina l’uomo all’animale, in condizione estrema, è la ricerca del cibo. Gli uomini ritrovano i loro istinti primitivi che erano quelli degli antenati, molto simili a quelli degli animali.

5. Tu ci hai abituato nei tuoi romanzi all’aspetto psicologico, sempre preponderante nelle tue storie. In questo romanzo la cosa che ho notato molto bella è anche la psicologia del cane. Come ci sei riuscito?
T.: Zanna bianca di Jack London è il mio romanzo preferito, tutto il romanzo viene raccontato partendo dalle azioni del cane e con lui viviamo tutti i suoi drammi. Poi io faccio parte delle persone che credono che gli animali abbiano delle emozioni. Dunque mi sono messo nei panni del cane, facendo delle ricerche su questi animali che sono molto fedeli verso il loro padrone e che farebbero tutto per difenderli. Così ho cercato d’immaginarlo in questa situazione, non è stato semplice. È stata una delle parti più difficili ma allo stesso tempo interessante perché alla fine ho pensato che tutti i cani possono reagire in maniera diversa e che ognuno di loro ha il proprio carattere. Ho scelto l’interpretazione che più mi apparteneva.

6.: In una intervista del 2011, ti chiesi perché volevi incutere la paura attraverso i tuoi romanzi. Mi dicesti che eri affascinato dal paradosso di paura e attrazione e ti piaceva creare questa sensazione attraverso i tuoi libri. Sono passati parecchi anni, pensi che raccontare la paura sia in qualche modo cambiato per adattarsi alle nuove generazioni?
T.: No, questa è una cosa che non cambia. Il mondo cambia, evidentemente, e anche le paure reali cambiano. Basti vedere le guerre, quelle paure che vent’anni fa non c’erano anche se sono sempre esistite le guerre. Ma invece penso che la paura che noi possiamo provare nelle opere, nei libri, nel cinema, nella musica, quella invece è sempre la stessa e ha sempre lo stesso funzionamento. Noi scrittori richiamiamo quei meccanismi che possano generare paura ma che non è una paura reale ma “gradevole”, perché sappiamo di essere in un ambiente protetto. Sappiamo che avremo sicuramente paura ma la dominiamo. Ed è la stessa paura che si aveva a cinque anni, quando i genitori ci leggevano una favola e oggi risentiamo della stessa paura, una paura infantile, piena di angosce e verso lo sconosciuto. Quando si è bambini quella paura si cerca di dominarla, lo si vede bene quando poi si chiede ai genitori di rileggere la stessa favola, ad esempio Cappuccetto Rosso: la prima volta avevamo molta paura, poi conoscevamo la storia e sapevamo cosa sarebbe accaduto. Potevamo controllare un po’ questa paura. E in effetti è quello che facciamo quando chiudiamo un libro, riprendiamo il controllo sulla paura. Facciamo altro, le nostre vite continuano. E lo troviamo molto in Vertigine che è un romanzo che genera molta paura “gradevole” nel lettore.

7. Quest’anno sono usciti con Fazi Editore due libri tuoi: Labirinti, uscito in Francia nel 2022 e Vertigine, uscito nel 2012 e arrivato ora in Italia, quindi dopo undici anni. Com’è cambiato in Franck Thilliez nella scrittura? Vertigine, se lo avessi scritto oggi, sarebbe diverso?
T.: Bella domanda, alcuni miei romanzi li avrei scritti in maniera diversa oggi rispetto a dieci anni fa. Ad esempio, nei miei primi romanzi anche prima di Vertigine, descrivevo molto il lato sanguinario. Questo oggi non lo farei più perché penso che sia molto più forte far lavorare l’immaginazione del lettore e ho cominciato a farlo proprio con Vertigine, che è un romanzo molto psicologico. Penso che da quel momento non ho più scritto un romanzo così psicologico. Forse Vertigine oggi lo riscriverei così, e forse nel 2012 non avrei scritto cosi Labirinti. Oggi conosco i miei lettori e posso prendere certi rischi, Labirinti è un romanzo complesso che richiede riflessione, ci sono molti personaggi e questo non l’avrei potuto fare dieci anni fa. Oggi lo posso fare perché i miei lettori mi conoscono e posso spingermi un po’ di più, tentare di essere originale. Vertigine, avendolo riletto, forse lo avrei modificato nello stile, ma la storia l’avrei lasciata così, perché funziona.

8. Mi piace sempre cercare similitudini tra i romanzi e proprio riferendomi a Labirinti, mi è piaciuto molto il romanzo nel romanzo, enigmi, indizi nascosti tra le righe. essere “dentro” e trovare il modo di uscire. In questo, Vertigine, i tuoi protagonisti sono “dentro” e prima ancora di pensare a una via di uscita, pensano alla sopravvivenza. Ti piace questa sperimentazione nei tuoi romanzi, questi aspetti di mettere l’uomo in una condizione di esasperazione? E perché?
T.: A me piace molto sperimentare, adoro i romanzi della “camera chiusa”. Ho voluto provare a scriverne uno ed è molto complicato. Per uno scrittore come me che ha scritto romanzi polizieschi che permettono di fare tante azioni, indagare, sventare crimini, nascondersi, perdersi, qui si hanno tre personaggi nella situazione più semplice, dove non hanno niente. Quello che ho voluto è stato veramente sperimentare questo genere, e come nel cinema puntare una luce. Loro hanno solo un accendino che utilizzano e lì io posso raccontare una storia. È stato creare una storia dal nulla, far nascere la paura nel lettore durante tutte le pagine. Per me è stata una sfida.

9. Cosa ti hanno fatto i libri? In ogni romanzo che scrivi all’interno c’è un altro libro.
T.: In ogni romanzo c’è una riflessione su cos’è il lavoro dello scrittore, raccontare delle storie e qual è l’origine di queste storie come si creano, come si inventano delle storie così. Per questo che si trovano spesso dei romanzi all’interno dei romanzi, o delle biblioteche, perché mi piace, perché fa parte del mio modo di raccontare delle storie. Quello che si chiama “calarsi nei panni” e mi piace molto. Fa parte del mio modo di scrivere, d’inventare delle storie e di essere originale. C’è una citazione, che ho messo nel primo romanzo, di Borges che dice che una fotografia esiste solo se la si guarda. Un romanzo esiste solo se lo si legge, fin quando non si legge una storia non esiste ed io lo trovo molto affascinante.

Intervista a cura di Cecilia Lavopa e Manuel Figliolini