Riccardo Ferrazzi – Modus in rebus

376

Editore Morellini
Anno 2023
Genere Giallo
304 pagine – brossura e ebook


Salamanca, centro culturale e storico della Spagna nord-occidentale. Città misteriosa che affonda le sue radici nella storia e nel sangue delle corride, nascondendo i suoi segreti nelle tenebrose architetture gotiche e nell’omertà del suo popolo, ma capace di sorprenderti con la sua vitalità baroccheggiante…se non vieni prima inghiottito nelle fauci delle faide che permeano il tessuto sociale dalla notte dei tempi. Tutto inizia e finisce a Salamanca per Vittorio, tutto inizia e finisce con l’ossessione per Maite, la donna che gli ha fatto perdere la testa e rubato il cuore.

Mentre la Spagna sta uscendo dalla dittatura di Franco Salamanca è teatro dell’omicidio di un prete. Questo assassinio ha delle ripercussioni nella vita del protagonista Vittorio che travolto dagli eventi perde amicizie, affari e l’amore di Maite. L’ossessione per la ricerca della verità, del colpevole tra quanti gli hanno voltato le spalle comportandosi in modo inconsueto, compresa l’amata, lo perseguiterà per oltre venti anni. Tornato a Salamanca per cercare tracce si ritrova catapultato a Milano con un pugno di mosche e sulle spalle altre due morti sospette e l’amore di una donna che lo fa ripiombare in un passato che non è mai stato sepolto! Maite è mai uscita veramente dalla sua vita?

“Est Modus in rebus”, direbbe Orazio, la misura che c’è in ogni cosa, quel confine oltre il quale il lecito si fa illecito e il giusto, per contrapposizione diventa il suo esatto contrario. Ed è proprio la mancanza di questa misura, l’ossessione del protagonista da una parte, l’ambiguità dei personaggi dall’altra ad essere il perno centrale del romanzo. Manca un equilibrio, qualcosa si è rotto, il piatto della bilancia pende verso il baratro dell’incertezza, verso Salamanca, occhio del ciclone della narrazione: tutto è calmo e placido quando si trova nel centro, vorticosamente ancorato dalla forza centripeta quando si allontana.

La narrazione avviene lungo una linea temporale stratificata: il tempo della narrazione lineare degli eventi, al quale si accavalla quello del passato, degli venti accaduti 20 anni prima e a questi due si interpone un tempo indefinito, fermo, ancorato all’ossessione, ai ricordi, immutabile ma costantemente riscritto dalle emozioni. Anche il registro stilistico segue la stessa sorte dell’intreccio: si passa dall’ironia al dramma, al “teatro dell’assurdo” beckettiano dove Vittorio è in costante attesa di qualcosa che non accade mai.

Il vero significato del romanzo, l’indizio nascosto nel titolo si trova nella terza parte, quella forse più drammatica e alienante, dove il sipario si squarcia per rivelare la triste realtà dietro le quinte. La vera misura delle cose è che queste non possono essere misurate dalla nostra percezione delle stesse, la realtà che ci circonda è per lo più incomprensibile, incompiuta, priva di un futuro e con i piedi in un passato che vacilla, che fa fatica a stare su da solo. Un passato fatto di eventi irrisolti a cui ci agganciamo per trovare un senso al presente e provare a trovare una soluzione nel futuro, ma con la consapevolezza che quello che non stava in piedi da sé nel passato non ha alcun senso nel futuro e non può trovare soluzione se non nel passato stesso.

Concludo con la contrapposizione al titolo della locuzione latina “In medio stat virtus”. Spogliando il romanzo dei virtuosismi letterari e filosofici su significati nascosti e utilizzo di registri alternati che gli conferiscono un ritmo incalzante, la storia procede lentamente, è quasi cristallizzata. La seconda parte del romanzo è solo un ponte tra passato e presente, un espediente per raccordare eventi che hanno preso un verso nel passato ma non possono essere ricondotti direttamente alla narrazione delle ultime pagine. Il finale è aperto all’interpretazione e personalmente non l’ho apprezzato: troppo veloce, brusco, scontato dopo il crescendo emozionale. Dicevo “la verità sta nel mezzo”: un ottimo esercizio di stile, scrittura chiara, con richiami culturali, letterari, filosofici continui che danno spunto a riflessioni profonde. Trama debole e personaggi non convincenti, sfuggenti. Un libro da leggere? Sicuramente sì. Un libro che lascerà il segno? Non nelle mie “corde letterarie”, ma anche questa è la misura che c’è in ogni cosa, sbaglio?

Matteo Bordoni


Lo scrittore:
Riccardo Ferrazzi è nato a Busto Arsizio troppo tempo fa. Nel suo passato c’è il liceo classico, una laurea alla Bocconi e una carriera da dirigente d’azienda. Vive sempre meno a Milano e sempre più in un paesino in Liguria. Scrive romanzi e saggi; insieme a Marino Magliani traduce dallo spagnolo. Nel 2000 pubblica con Raul Montanari Il tempo, probabilmente (Literalia). Suoi cinque racconti in Il magazzino delle alghe (Eumeswil, 2010), antologia curata da Marino Magliani. Del 2009 è Gli occhi di Caino (Eumeswil), romanzo con una introduzione di Raul Montanari; Cipango! (Leone Editore) romanzo che mescola realtà e ipotesi sulla scoperta dell’America è del 2013; Liguria, Spagna e altre scritture nomadi (Pellegrini), viaggi e miscellanea, scritto a quattro mani con Marino Magliani esce nel 2015; del 2016 è il saggio sul mito Noleggio arche, caravelle e scialuppe di salvataggio (Fusta).