Edizioni Le Assassine
Anno 2025
Genere Giallo
208 pagine – brossura e ebook
Traduzione di Simonetta Badioli
Per apprezzare appieno questo romanzo, occorre innanzitutto comprendere che si tratta di un omaggio al lavoro dell’antropologa italiana Paola Tabet e, in particolare, a uno dei suoi scritti, Le dita tagliate (Ediesse Cgil, 2014). Hannelore Cayre stessa, infatti, nelle note in appendice conferma che il suo romanzo deve tutto a quest’opera. Paola Tabet ha difatti documentato una pratica che consisteva nel tagliare le dita delle bambine, nel caso di una tribù della Papua Nuova Guinea, con il solo scopo che gli uomini potessero continuare a usare armi e strumenti, mentre le donne ne erano impedite. Cosa che garantisce il primo “pilastro” del dominio maschile.
Quanto viene presentato nell’opera, è difatti la teoria più importante dell’antropologia femminista, quella che relega il ruolo delle le donne alla riproduzione della specie, impedendo loro di scegliere il proprio stile di vita. Che è proprio il dogma contro cui si batte Oli, il personaggio principale del romanzo di Hannelore Cayre. L’azzardo di Le dita mozzate, se vogliamo, è quello di trasporre i risultati ottenuti da Paola Tabet – grazie al suo lavoro sul campo – in un’epoca di cui, a tal proposito, non esistono prove empiriche. Il periodo Aurignaziano, sviluppatosi 35.000 anni fa, è appunto la prima cultura umana ad aver lasciato tracce significative di elaborata attività artistica.
Le dita mozzate ha inizio con il ritrovamento in Dordogna, nel sud della Francia, di uno scheletro sepolto in una grotta, le cui pareti sono decorate da decine di impronte di mani femminili con le dita mozzate. Adrienne Célarier, l’antropologa che dirige gli scavi, ricostruisce la storia di questo scheletro e della sua tribù, applicando rigorosamente i risultati di Tabet. Nel racconto di Hannelore Cayre, lo scheletro prende vita e diventa Oli, una giovane sapiens, ancora con la pelle nera, membro di una tribù guidata da un capo, Zio Anziano, desideroso soprattutto di mantenere una struttura sociale rigida, violenta e oppressiva. Oli rifiuta questa sorta di patriarcato agli esordi. Vuole cacciare, ma non le è permesso: solo gli uomini lo possono fare. Verrà quindi punita e mutilata e si allontanerà volontariamente dalla tribù, con cui, a un certo punto, rifiuterà addirittura di condividere un’invenzione rivoluzionaria, il propulsore che rende la sua lancia per cacciare molto più efficiente. Il viaggio che Oli compie e le vicende che incontrerà, daranno poco per volta un significato a tutto ciò che è stato ritrovato nella grotta e che viene raccontato a capitoli alterni dall’antropologa, nel corso di una lunga e sofferta conferenza.
La grotta, una specie di santuario dedicato alle sole donne della tribù, assume quindi un ruolo sacrale, un sacrario della memoria femminile in cui è possibile ritrovarsi con se stessi meditando tra le tante impronte di mani con le dita mozzate. Una visione che consente a Oli di prendere coscienza di una storia che si ripete immutabile da sempre e da cui pare impossibile allontanarsi. Spinta dall’intensa presenza spirituale di coloro che l’hanno preceduta, dopo aver lasciato sull’ampio affresco del muro l’impronta della sua stessa mano mutilata, Oli inizierà un suo viaggio iniziatico verso il mare, rifiutando i rapporti sessuali imposti e fuggendo dalla tribù per andare incontro alla “fine del mondo”, popolata da genti straniere e culture differenti dalla sua.
In “Le dita mozzate”, con una scrittura appassionante e a tratti malinconica, Hannelore Cayre svela i dettagli della vita fuori dal comune di Oli. Ci si immerge così in un’alba dell’uomo che l’umorismo incisivo e lo sguardo acuto dell’autrice rendono estremamente appassionante. La storia colpisce per la sua intelligenza e la capacità di stabilire parallelismi tra i ruoli di genere antichi e contemporanei. Benché si possa trovare sconcertante il linguaggio moderno, utilizzato da Oli e dalla sua tribù, la struttura originale e la profondità tematica dei personaggi e degli eventi appare straordinariamente convincente. Pur rivisitando, stravolgendoli, i codici del genere poliziesco, la trama riesce a coinvolgere e brillare, soprattutto se si prende atto del fatto che non si tratta di un romanzo preistorico, ma di un romanzo ambientato nella preistoria.
Enrico Pandiani
La scrittrice:
Hannelore Cayre è avvocato penalista e vive a Parigi. Ha al suo attivo quattro romanzi oltre a La bugiarda e diversi cortometraggi. Pur trattando nei suoi libri temi seri, ha una scrittura pungente, ironica, che ben si adatta al suo temperamento brillante e originale: nella prima edizione francese del libro che pubblichiamo ha voluto infatti in copertina la sua foto, travestita da protagonista del romanzo.












