Editore Zaffre
Anno 2025
Genere thriller/noir
416 pagine – brossura e ebook
Questa recensione si basa sulla lettura della versione originale, in inglese, del libro, che non è ancora stato tradotto in italiano.
Liam McIlvanney, figlio del noto William McIlvanney considerato da molti il padre spirituale del noir scozzese, pubblica con questo “The Good Father” il suo quinto thriller. Nessuno dei suoi lavori è mai stato tradotto in italiano ma, dopo aver letto questo libro, mi auguro che questa mancanza venga presto rettificata.
“The Good Father” ci presenta il personaggio di Gordon Rutherford, un ricercatore universitario che ha una vita felice. Vive con la moglie Sarah e il figlio di sette anni Rory (e il labrador Bonnie) nello splendido villaggio di Fairlie, nella contea scozzese del North Ayrshire, in una bella casa proprio sulla costa; è perfettamente inserito nella comunità locale, e frequenta spesso l’unico pub del centro abitato.
Ma un giorno d’estate il cane, che stava giocando sulla spiaggia con il bambino, torna a casa da solo; Rory sembra sparito. Gordon si sente in colpa, perché avrebbe dovuto tenerlo d’occhio dalla finestra. Ma Fairlie è un villaggio così tranquillo…
Dopo una breve e infruttuosa ricerca, i Rutherford chiamano la polizia. Ma Rory non si trova.
Quando le ore cominciano a diventare giorni, che a loro volta diventano settimane, la realtà dell’assenza di Rory comincia a farsi sempre più concreta.
McIlvanney ci accompagna con attenzione e nel dettaglio nel profondo della testa di Gordon, tra le sue paure, le sue speranze, i suoi dubbi, le sue reazioni logiche e illogiche, il suo rapporto con la moglie che cambia profondamente. Ci presenta altri abitanti del villaggio, gli ufficiali di polizia più coinvolti nel caso, persone che offrono un aiuto o un supporto a Gordon, il tutto senza mai lasciare il punto di vista di Gordon, del “buon padre” del titolo.
Dopo un centinaio di pagine, forse centocinquanta, ho cominciato a domandarmi come l’autore aveva saputo riempire il resto del romanzo che, ricordiamolo, il “Times” ha scelto come libro del mese per il luglio di questo 2025, mese in cui è stato pubblicato. Come a rispondere alla mia domanda, o meglio, di certo consapevole che serviva un cambio di passo, McIlvanney ci regala la prima di una serie di sorprese, dando alla trama una sterzata che mi ha fatto considerare questo “The Good Father” non più un interessante ma lento romanzo psicologico ma un thriller a mille all’ora, a tratti anche terrificante.
Devo ammettere una cosa: per me, questo romanzo ha un’attrattiva in più. Infatti, tra i 1.490 abitanti di Fairlie (dato del censimento del 2020, ma non penso che ci siano stati grandi cambiamenti), ci sono anch’io. E allora, quando Gordon risale Jetty Road, passa al Mudhook da Brian o si addentra nel boschetto, so perfettamente a cosa si riferisce. E anche l’autore lo sa, perché suo cognato vive qui, a un paio di strade da me. Ma non credo che questo mio conoscere molto bene i posti sia quello che mi ha fatto godere questo romanzo.
No, si tratta senza dubbio della costruzione della figura di Gordon, il perno dell’intera narrazione, colui intorno al quale si svolge tutta l’azione. E anche l’assenza di azione è incentrata su di lui. È lui che si addossa – o si sente addossata – la colpa per la sparizione del figlio, è lui che riceve le parole di supporto di vicini e parenti, è lui che tratta con la polizia e con i gruppi di supporto. O almeno, questo è quello che ci viene dato a vedere. Perché, pur essendo scritto in terza persona, questo “The Good Father” ci fa vedere e sentire solo quello che vede e sente lui. Ma l’autore ci rende comunque chiaro che Sarah, la moglie, sta vivendo il suo inferno personale, un inferno personale che Gordon non riesce a penetrare.
E poi i colpi di scena che McIlvanney ci regala qua e là, sempre inattesi. La tensione che si sente. La bellezza dell’ambientazione che contrasta brutalmente con l’orrore che la famiglia Rutherford sta vivendo.
Un romanzo che mi auguro vivamente verrà pubblicato in italiano, e che amerei avere l’occasione di tradurre. Chi si sente a proprio agio a leggere in inglese, si procuri subito “The Good Father”. Chi invece preferisce aspettare la traduzione… speriamo!
Marco A. Piva
Lo scrittore:
Liam McIlvanney è nato in Scozia e ha studiato alle università di Glasgow e di Oxford. Il suo primo libro, “Burns the Radical”, ha vinto il Saltire Award per la miglior opera prima. I suoi thriller hanno vinto numerosi premi, tra cui il William McIlvanney Prize (dedicato a suo padre) e il Ngaio Marsh Award. È anche stato candidato al premio per il thriller dell’anno del Theakston Award. È docente di cultura scozzese all’università della regione di Otago, in Nuova Zelanda; vive a Dunedin con la moglie e i loro quattro figli.












