Intervista a Gianluca Morozzi

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Gianluca Morozzi è nato nel 1971 a Bologna, dove vive. Ha esordito con il romanzo Despero (2001) e ha raggiunto il successo con Blackout (2004), da cui è stato tratto un film. Tra i suoi romanzi ricordiamo L’era del porco (2005), Colui che gli dei vogliono distruggere (2009), Lo specchio nero (2015), Gli annientatori (2018), Dracula ed io (2019).

Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo libro Bologna in fiamme con Battaglia Edizioni ed ecco cosa ci ha raccontato:

1.Gianluca, ciò che colpisce più di tutto in questo tuo ultimo romanzo è quanto il tuo stile sembri differente dai tuoi lavori precedenti, cito Dracula e io, ma potrei citarli quasi tutti. Quindi ti chiedo, quanto hai dovuto adattare il tuo modo di scrivere per Bologna in fiamme, e quanto avevi voglia di scrivere proprio questa storia?
G.: Bologna in fiamme è stato scritto prima di Dracula ed io, anche se esce dopo.
Mentre Dracula ed io alternava la terza persona nei capitoli su Dracula e la prima in quelli su Lajos, del quale, dopo tre romanzi, conosco la voce come se fosse la mia, qui avevo l’alternanza di punti di vista tra due personaggi nuovi come Vasco e Simon, da conoscere e rimodellare. In particolare Simon è piuttosto lontano da me, ma penso di averlo reso in modo abbastanza credibile, o quantomeno lo spero.
Questa storia è in rampa di lancio dal 2011 – Dracula da poco meno -, quindi era ora che diventasse un libro!

2. In questo romanzo i personaggi sono tanti e tutti a loro modo interessanti, ma sicuramente restano impresse Linda e Jeanne. La chiara e la scura. Da dove nascono queste donne e a chi ti sei ispirato per definirle?
G.: Questa storia ha avuto una lunga gestazione. All’inizio doveva essere un lavoro un po’ diverso, nato da molti spunti di Serena Scandellari, scrittrice e operatrice culturale, con una soluzione più, diciamo, mistica e meno noir. Poi abbiamo deciso che l’avrei conclusa io dandole una differente piega, ma su molti personaggi, Linda e Simon in particolare, c’è la sua impronta. Linda stessa nasce come un mix tra lei e Jennifer Aniston, poi prende una piega personale, come spesso capita ai personaggi.
Jeanne è un personaggio chiave, quella che sembra la classica musa del regista, ex moglie, attrice preferita… ma poi, come vedrete, ha una sua importante profondità.
In un certo senso comunque la chiara e la scura sono come le due Conchita del film di Bunuel Quell’oscuro oggetto del desiderio.

3. C’è qualche film che ricorda nella realtà qualcuno di quelli che citi nel tuo romanzo come appartenenti al personaggio di Cordova?
G.: Cordova è un mix tra Bellocchio, Gian Vittorio Baldi e Ken Loach. Pensate alla loro filmografia, rimescolatela, ed ecco quella di Achille Cordova.

4. Se non si ama in maniera spasmodica Dino Campana il paese di Marradi non lo rammenta quasi nessuno. Come mai la scelta di farne una location per il tuo romanzo?
G.: Mia nonna paterna veniva da Tredozio, non troppo lontano da lì. Ma il caso vuole che in fase di scrittura stessi leggendo un epistolario di Dino Campana, e Marradi è entrata in via naturale nella narrazione.

5. Lo so che è una domanda scontata ma tu a scuola ce l’avevi un compagno come Vitale? O meglio, per caso lui ha qualcosa di te?
G.: Le Zappa, le mie scuole medie, erano un istituto piuttosto selvaggio nei primi anni Ottanta. O quantomeno così sembravano a me, che ero un ragazzetto zazzeruto, saccentello, di quelli che attirano gli schiaffi dei bulletti da palestra di Educazione Fisica, sempre immerso nei fumetti o in qualche noiosa dissertazione su Isaac Asimov, almeno fino a quando non ho improvvisamente scoperto l’esistenza del Bologna Football Club. I cosiddetti bulli delle Zappa erano come Vasco Vitale: nemmeno dei professionisti del teppismo, dei dilettanti, ma fastidiosi nella loro quotidiana reiterazione dell’idiozia. E siccome durante una gita scolastica all’Isola d’Elba si erano convinti che io fossi gay, anziché il noioso e canonica eterosessuale che già ero allora, hanno architettato qualche scherzo che poi, ampliato, ho fatto ricadere sul povero Simon.

6. A proposito di qualcosa di te…le prozie di Vasco ricordano molto da vicino quella prozia che ti faceva la torta di colore verde quando eri piccolo. Quanto ti piace nascondere nelle pagine dei tuoi libri qualcosa di vero che ti riguarda?
G.: La storia delle prozie in realtà riguarda due persone molto care che da poco non ci sono più, mia nonna e sua sorella, morte, per una bizzarra coincidenza, alla stessa ragguardevole età: novantanove anni e mezzo. Le chiamate di soccorso che riceve Vasco le ho ricevute più di una volta, e anche la prozia – che non è la stessa delle torte verdi – era molto brava a creare pupazzetti di stoffa.

7. A te personalmente cosa piace di più di Bologna in fiamme, la passione o la follia che animano l’intero racconto?
G.: La passione e la follia sono interconnesse, una scatena l’altra… ma più di tutto mi piace la relazione che si crea tra Vasco e il duo Simon-Linda, il modo in cui superano la diffidenza iniziale trovandosi in estremo pericolo. Per una volta credo di poter dire che i miei personaggi siano cresciuti, dall’inizio del romanzo alla fine.

8. Ce l’hai un posto del cuore dove ti metti a scrivere di solito o a raccogliere semplicemente le idee?
G.: Scrivo quasi sempre in casa, e le idee nascono quasi sempre fuori. In qualche locale del Pratello o di via Belvedere, in autostrada di notte, sui treni. Colui che gli dei vogliono distruggere è nato nei bagni della curva Andrea Costa, allo stadio, Blackout in una fogna asciutta di via d’Azeglio (cosa ci facessi io in una fogna di via d’Azeglio è motivo di altre narrazioni), Radiomorte mi è schizzato in testa tutto intero, titolo e trama, mentre camminavo in via delle Belle Arti. Funziona così. E non è male.

Intervista a cura di Antonia Del Sambro