Editore Mondadori
Anno 2012
317 pagine – rilegato con sovraccopertina
La trama:
Torino, una giornata come tante, se non fosse che all’incrocio di due strade in pieno centro, mentre un freddo pungente congela le ossa, un centauro a bordo di una moto scura si affianca a un’auto e spara al conducente, con un unico colpo di pistola, sparendo subito dopo a forte velocità.
Testimone della scena, la professoressa Camilla Baudino che, sotto shock, è costretta a raccontare ogni minimo particolare all’ultima persona che avrebbe voluto rivedere: il commissario Gaetano Berardi.
Qualcosa di sospeso era rimasto fra loro, nonostante fossero passati tre anni (per la precisione, due anni e undici mesi) dal loro ultimo incontro. Camilla era alle prese con un matrimonio traballante e una figlia in piena crisi adolescenziale e entrambi provavano un sentimento molto simile all’amore, rimasto sopito da una coltre di dubbi e timori.
Anche la giornata della dottoressa Francesca Gariglio non comincia sotto i migliori auspici: in un appartamento di Chivasso, viene ritrovato il cadavere di un pensionato, ucciso con un colpo di spranga. Era un suo ex paziente. Inoltre, lo stesso giorno si trova a soccorrere una donna, investita da un’auto scivolata sul ghiaccio, eclissatasi subito dopo senza neanche rallentare.
E meno male che Chivasso dicevano essere una cittadina tranquilla!
Camilla e Francesca, due donne diverse ma in qualche modo simili, nella loro quotidianità e nel modo di affrontare la vita privata e i fatti di cronaca che coinvolgono Torino e Chivasso, unite dall’amicizia e dalla solidarietà femminile.
Molta carne al fuoco all’interno del romanzo di Margherita Oggero, sia come giallo, sia come riflessione sui rapporti interpersonali, sulle relazioni.
Si parla di relazioni, tra uomini e donne, tra madri e figlie, tra vicini di casa, tra polizia e criminalità. Un equilibrio difficile e precario, in cui la comunicazione risulta essere lo scoglio più difficile da superare. Non ci si comprende, non ci si mette nei panni della persona che abbiamo di fronte. Francesca è alle prese con una figlia “problematica” – quasi peggio che prendere in mano un porcospino, mi verrebbe da pensare.. – la quale tende ad avere atteggiamenti aggressivi e a non comprendere che la madre, una volta, è stata anch’essa giovane e adolescente.
Si parla anche di solitudine, di una vecchietta ricoverata in ospedale che, all’età di novant’anni, torna ad essere bambina e chiama “mamma” la dottoressa Gariglio, che la accudisce e la asseconda.
Si parla di attrazioni improvvise, di amori mai sbocciati, di storie ormai finite. Il fatto è, considera tra sé, che scegliamo soggetti cui affezionarci obbedendo a impulsi misteriosi, indecifrabili razionalmente anche se cerchiamo sempre l’appiglio della ragione.
Un monito della scrittrice a riprendere il dialogo tra generazioni passate e presenti. Anche se i tempi sono differenti, le problematiche sono identiche.
In tutto questo, c’è ampio respiro anche per le indagini, che si intersecano fra clandestinità e omertà, a Torino come a Chivasso, in chiave ironica, divertente. Un richiamo ai piatti tipici torinesi e alle bevande dimenticate, forse con una punta di nostalgia – o semplicemente di orgoglio delle proprie origini.
Consigliato.
La scrittrice:













