Intervista a Solène Bakowski

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(c) Cecilia Lavopa

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La casa editrice Le Assassine è nata dalla passione per i libri e dal fatto che la titolare – Tiziana Elsa Prina – voleva chiudere un cerchio: è stata accompagnatrice turistica viaggiando in tutto il mondo, ha vissuto in Germania e poi in Inghilterra, ha fatto la traduttrice, ma ancora non era soddisfatta. Nel ruolo di agente letteraria, ha proposto in Italia una scrittrice saudita: molto coraggiosa, non porta il velo e parla liberamente della società wahabita e di tutte le ipocrisie che ci girano intorno.
Ancora non ha trovato una casa editrice disposta a pubblicarla e Tiziana ha pensato che, se fosse stata lei un editore, l’avrebbe pubblicata subito, proprio per la volontà di comunicare storie così diverse dalle nostre, trasmettere delle realtà e non solo letture di intrattenimento.

Il suo secondo obiettivo è riscoprire scrittrici pre-Agatha Christie, gli hard-boiled americani degli anni ’50 e riuscire a portare in Italia le Morderische Schwestern
Questo il suo annuncio: “Donne del mondo che scrivete gialli o thriller, vi portiamo qui e vi facciamo conoscere, non sia mai che si allarghino un po’ gli orizzonti!
Ha letto il libro di Solène Bakowski senza consultarsi con nessuno, ma non ha avuto incertezze sulla sua pubblicazione. E’ così che è stato pubblicato “La borsa“, titolo originale “Un sac”. E noi l’abbiamo incontrata per intervistarla, insieme a pochi blogger.

Bakowski è il nome di suo marito. Vive a Parigi, e a casa sua non c’erano molti libri, ma ha sviluppato un amore feroce per la lettura, e anche per la scrittura, già a partire dai sette anni: scriveva pezzi teatrali che faceva interpretare ai suoi compagni di classe.

1. Scegliere il self-publishing è sempre un rischio. Qual è la ragione per cui non hai voluto provare a seguire l’iter tradizionale? Anche in Italia pochi autori riescono a passare dal self-publishing alla casa editrice.
S.: Questo è il mio secondo libro che avevo in un cassetto e nessuno mi voleva pubblicare. Ho quindi deciso di provare il self-publishing, raggiungendo un successo incredibile di vendite. Anche Amazon, forse per essere maggiormente credibile, ha indetto un premio della giuria e Un sac è entrato nella classifica dei primi dieci.

2. Com’è nata l’idea di questo romanzo? Non sembra una storia raccontata da una scrittrice giovane come te.
S.: Ho dei demoni da esorcizzare, nella mia testa vivono personaggi e storie incredibili che ho necessità di canalizzare nelle mie storie. Una sorta di psicanalisi, attraverso la scrittura riporto sulla carta le mie paure e dopo mi sento meglio!

3. Come hai costruito la storia?
S.: Ho una serie di quaderni perché i miei personaggi mi parlano e le storie mi vengono addosso, ho delle conversazioni con loro. Anne Marie è venuta da un litigio banale con mia madre e, in quel momento, ho deciso di esprimere quel senso di oppressione che può avvenire tra rapporti familiari intensi. Poi, ho smesso di scrivere poiché ero incinta e questo argomento mi scuoteva. Poi l’ho tirato fuori nuovamente dal cassetto e ho ricominciato a scrivere.

4. In questo libro non ho trovato personaggi che siano solo vittime o solo carnefici. Credo che ognuno di loro siano entrambe le cose. Mi concentrerei su Anne Marie, che parla in prima persona, considerata un mostro sia per come si comporta ma anche per la macchia sul viso che la rende inguardabile. Ce ne vuoi parlare?
S.: I mostri sono quelli che le stanno intorno. Lei fa un percorso inverso ed è coerente in questo. Tutti gli altri si comportano in maniera negativa, lei è vittima della sua storia.

5. Ho letto che hai vissuto in Cina e sarei curiosa di sapere se la tua esperienza in Oriente tu l’abbia trasposta nello stile dei tuoi romanzi.
S.: Prima ancora di andare in Cina, ho studiato il cinese e ho letto letteratura cinese per un sacco di tempo, quindi non riesco più a scindere l’aspetto orientale da me stessa. Ho interiorizzato questo modo di scrivere. Il mio primo libro pubblicato si svolge per tre quarti in Cina, non è un noir. E’ la storia triste di una donna che ha perso marito e figli, che decide di andare in Cina per rifarsi una vita.

6. Ho trovato che in questo libro, oltre al senso di emarginazione, si parli del concetto della maternità a più livelli. Nel romanzo si dice che qualcuno non si meritava di avere figli mentre chi si li meritava non li aveva. Il personaggio di Monique Bonneuil ha il senso della maternità?
S.: E’ una via di mezzo tra proteggere se stessa e il senso di maternità. Non si può considerare del tutto cattiva, ma sicuramente non aiuta Anne-Marie a vivere, la tiene reclusa. D’altro canto, è affettuosa con la bambina e le insegna delle cose. Quindi, è un po’ ambigua come figura.

7. Ci sono due personaggi principali in questa storia. Vorrei capire a quale ti sei più affezionata.
S.: Il filo conduttore di tutta la storia è Elisa, traumatizzata dal trovare il cadavere del marito. Quasi tutti i personaggi che descrivo nel romanzo li ho incontrati nella vita reale e il descriverli mi è servito per farci i conti. Ho scritto cinque libri e tutti i protagonisti principali sono donne. Forse dipende anche dalla mia famiglia poiché l’aspetto femminile è prevalente.

8. Tu parli di un mondo che non ti appartiene: il mondo emarginato di Anne-Marie Caravelle. Come sei riuscita a non cadere nel banale, a scrivere di situazioni al di fuori della realtà?
S.: Non è una conoscenza diretta, ma una parte empatica. Io conoscevo una commissaria di polizia che mi ha procurato un paio di esperienze: una è stata quella di essere rinchiusa in una cella di sicurezza per un’ora, di una violenza incredibile…
L’altra è quella dei sans-papier, gli immigrati sprovvisti di documenti di cittadinanza e di identità. La sua amica commissaria le ha confermato la veridicità della situazione e le ha dato alcuni suggerimenti su come rendere credibile la storia.

9. Com’è il giallo in Francia? In Italia si parla spesso di giallo “regionale”, è la stessa cosa?
S.: Sì, è la stessa cosa. Anche in Francia ci sono addirittura Saloni del libro dove è presentato il giallo regionale, è molto attuale. Addirittura ci sono case editrici regionali che pubblicano gialli atlantici, della zona nord della Francia. E’ rassicurante leggere questi libri, perché uno ritrova i propri luoghi, l’ambiente sociale in cui si vive.

10. Non so se in Francia Gigi Marzullo è conosciuto, perché è un conduttore televisivo che fa domande complicate. Ormai è diventato un marchio di fabbrica per il blog di Contorni di noir. C’è il male conosciuto e il male sconosciuto. Bisogna temerli entrambi o è più facile combattere il noto rispetto all’ignoto? 
S.: Direi il male sconosciuto, perché dal male conosciuto ci si può attendere le conseguenze.

Cecilia Lavopa