
Barbara Baraldi, originaria della Bassa Emiliana, è autrice di thriller, romanzi per ragazzi e sceneggiature di fumetti, tra cui la serie «Dylan Dog». Il suo esordio nella letteratura poliziesca avviene sulle pagine de «Il Giallo Mondadori» con La bambola di cristallo. In contemporanea con l’uscita del romanzo in Inghilterra e negli Stati Uniti, viene scelta dalla BBC tra i protagonisti del documentario Italian noir sul giallo italiano.
Abbiamo letto per voi il suo ultimo romanzo, intitolato “L’ultima notte di Aurora“, appena pubblicato da Giunti Editore ed eravamo curiosi di farci raccontare qualcosa di lei e del suo personaggio, Aurora. Ecco cosa ci ha risposto:
1. Ciao Barbara, benvenuta su Contorni di Noir e grazie per la tua disponibilità. Iniziamo subito con la prima domanda che ormai è una sorta di rito. Com’è nata l’idea sviluppata nella trama di questo terzo romanzo?
B.: Grazie a voi, è un grande piacere essere vostra ospite.
L’ultima notte di Aurora nasce da una frase che ho letto in un romanzo dalla scrittrice irlandese Iris Murdoch, i cui romanzi erano intrisi di riflessioni etiche e filosofiche: «Non c’è romanziere, non c’è filosofo, che sia riuscito a spiegare di cosa è davvero fatta questa strana cosa chiamata coscienza umana». Insomma, diamo per scontato la nostra esperienza cognitiva, ma se cerchiamo di scavare a fondo sulla struttura della coscienza a livello cerebrale, ecco che si spalancano diverse teorie, nessuna delle quali ha ancora trovato un riscontro oggettivo. La coscienza umana è ancora oggi materia difficile da maneggiare per i neuroscienziati. Era inevitabile, per un’indagatrice della mente come Aurora, confrontarsi con questa tematica.
2. Durante la stesura dei precedenti libri avevi già un’idea di come sarebbe evoluto il personaggio di Aurora, di come si sarebbe modificato il suo quotidiano o è stato una consapevolezza che si è sviluppata gradualmente?
B.: Scrivo ogni libro come se fosse l’ultimo. Seguo la voce dei personaggi e l’idea di programmarne l’evoluzione è lontanissimo dal modo in cui concepisco il mestiere dello scrittore. Nel caso di un personaggio sfaccettato come Aurora, tuttavia, ero consapevole che la sua crescita personale avrebbe richiesto una narrazione a più ampio respiro. Solo quando ho terminato la stesura di questo romanzo, tuttavia, mi sono resa conto di quanto Aurora fosse cresciuta dentro (e fuori) di me, di quanto si sia evoluta, sia dal punto di vista umano che come investigatrice.
3. Il romanzo inizia con il probabile suicidio di una ragazza poco dopo aver parlato con la stessa Aurora. Quanto è difficile chiedere aiuto?
B.: È difficile chiedere aiuto, soprattutto mentre siamo sottoposti a un’infinita serie di condizionamenti da parte della società che detta cosa sia “giusto”, cosa “sbagliato”, cosa sia “normale” e cosa no. Non c’è mai una risposta facile che si possa dare a chi prova un disagio interiore, ogni caso è a parte. Io stessa l’ho provato sulla mia pelle, ma il primo passo, credo, avviene attraverso l’accettazione del sé, della propria unicità. Dei propri difetti, persino. Che poi a volte, a guardarci bene, quelle che consideriamo debolezze possono diventare i nostri punti di forza.
4. Mentre il secondo caso è quello di un uomo brutalmente ucciso e con gli occhi bendati. Cosa volevi rendere visibile ai nostri occhi impedendolo ai suoi?
B.: Viviamo nella società dell’immagine e dell’apparenza in cui, forse, non ci soffermiamo quanto dovremmo a riflettere su quanto possa essere vasto un universo di percezioni invisibili agli occhi.
5. Sia Aurora che Bruno, suo collega poliziotto, sono stati all’inferno in passato. Ne sono usciti ma cosa si portano dietro?
B.: Lo dice Bruno: «Non si può tornare indietro dall’inferno senza che l’inferno torni indietro con te». Ogni personaggio, come ognuno di noi, credo, deve imparare a convivere con i propri errori, e trovare il modo per far pace con il passato; una delle imprese più ardue.
6. Il personaggio di Curzi torna con il suo fascino ambivalente. Quali trovi che siano le caratteristiche principali che lo tengono in equilibrio ai nostri occhi senza farlo precipitare nell’abisso del male?
B.: Credo sia la sua disarmante umanità. L’intelligenza di Curzi non ha evitato la seduzione del male, il che mi ha spinto a riflettere su una domanda: siamo davvero in grado di controllare le nostre emozioni?
7. Tra le pagine del tuo romanzo viene affrontato l’argomento, eterno dilemma di molti, se sia possibile che la coscienza sopravviva al corpo. Come ti poni di fronte a questo interrogativo?
B.: Ho letto numerosi articoli scientifici in materia durante la fase di documentazione del romanzo. L’ipotesi, seppur controversa, è considerata attendibile in numerosi ambiti accademici. Viene tuttavia spontaneo pensare che, al momento, sia una questione di fede. Non necessariamente quella religiosa, ma quell’impulso irrefrenabile che spinge ogni essere umano al di là dei propri limiti.
8. Inoltre si parla del valore soggettivo ed oggettivo della verità. Di come possa essere influenzata dalle esperienze vissute. Tu hai saputo maneggiare la verità durante la scrittura o ci hai lasciato sopra le tue impronte digitali?
B.: Mi appello alle parole di Georges Bataille: «La verità, credo, non ha che un volto: quello di una violenta smentita».
9. Il romanzo è uscito da poco ma hai già qualche progetto futuro? Magari con un personaggio o addirittura un genere diverso?
B.: Lo confesso: sono una persona scaramantica e difficilmente parlo dei progetti futuri. Quello che posso anticiparvi è che sono al lavoro su un romanzo breve che abbraccerà una questione etica di grande attualità. Ma il thriller e l’universo di Aurora sono costantemente nei miei pensieri e spero di poter annunciare presto un’importante novità.
Intervista a cura di Federica Politi












