
Francesco Acquaroli nasce a Roma nel 1962, dopo il liceo frequenta la Scuola di Teatro La Scaletta dove insegnava Antonio Pierfederici con cui debutta in teatro nel 1987.
Nel 1988/89 è ne La nave di Gabriele D’Annunzio con la regia di Aldo Trionfo. Per proseguire poi con altri grandi registi: Elio De Capitani, Mario Missiroli, Luca Ronconi, Giuseppe Patroni Griffi e molti altri fino al 2016, ne Harper Regan di Simon Stephens ancora con la regia di De Capitani e nel 2019 ne Il naso di Gogol di Pier Paolo Paladino.
Debutta in televisione nel 1997 ne Il rosso e il nero dove interpreta il conte d’Altamira.
Partecipa ad altre serie televisive tra cui Distretto di polizia, L’avvocato Porta, Romanzo criminale – La serie, Squadra antimafia 7. È nella serie Rocco Schiavone I, II e III stagione, per Rai 2 e in Solo per Mediaset.
Al cinema debutta in Diaz – Don’t Clean Up This Blood di Daniele Vicari, cui seguiranno Arance & martello di Diego Bianchi, Pasolini di Abel Ferrara, Era d’estate di Fiorella Infascelli, Mia madre di Nanni Moretti, Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, Gli ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno, Dogman di Matteo Garrone, I migliori anni di Gabriele Muccino, Il mio nome è Mohammed di Pascaljevich, Adulds in the room di Costa Gavras. È il protagonista del corto d’autore di Paolo Sorrentino Piccole avventure romane,
La sua interpretazione in Sole cuore amore di Vicari presentato alla festa del Cinema di Roma, ha riscosso grandi consensi di critica e di pubblico, vincendo il premio Alberto Sordi come Attore non protagonista al Festival di Bari Bif&st.
È la voce narrante in I mille giorni di Mafia Capitale, documentario andato in onda su Rai 3 nel settembre 2017. Su Netflix in Suburra – La serie interpreta Samurai, uno dei protagonisti. Ad Aprile negli US uscirà Fargo season 4 con la regia del primo episodio di Noah Hawley, dove interpreta Ebal Violante.
Dal 2018 sostiene Medici Senza Frontiere, ha prestato la sua voce per lo spot video e radio della campagna “Cure nel cuore dei conflitti” (fonte www.wikipedia.it).
In occasione della sua partecipazione al festival Giallo di Sera a Ortona, il 26 luglio insieme a Tiberio Timperi, alle 21,30, gli abbiamo fatto qualche domanda:
1.Ciao Francesco, grazie della tua disponibilità. La tua carriera cinematografica è arrivata alla soglia dei venticinque anni. Raccontaci un’emozione, un ricordo a cui sei particolarmente legato.
F.: Ciao Cecilia. Non so se sia stata l’emozione più grande, però mi ricordo quando ho fatto il primo casting internazionale che era Il rosso e il nero di Stehndal nel 1997, dove gli unici italiani eravamo Kim Rossi Stuart e io – tra l’altro credo che proprio Kim abbia fatto il mio nome al regista che mi volle incontrare e poi mi prese – fu la piacevolezza di incontrare il grande attore francese Claude Rich, che era nel cast, una persona molto affabile e accogliente. Quindi ero molto emozionato, era la mia prima cosa importante e mi ricordo che questo fu proprio un aiuto concreto a trovare tranquillità e poter fare il mio lavoro al meglio.
2. Quando hai capito che volevi fare l’attore?
F.: Ho deciso praticamente sul finire del liceo, non sapevo bene cosa fare ma siccome sono sempre andato fin da ragazzino con i miei a teatro, mi ricordo che fra le varie ipotesi che stavo vagliando c’era questo fatto che io ancora in teatro e al cinema mi emozionavo e mi coinvolgevo molto. A un certo punto mi sono chiesto: “Vuoi vedere che farò l’attore?” Così sono andato a fare la scuola di teatro.
3. Hai interpretato quasi sempre ruoli da villain, hai avuto difficoltà a calarti nel personaggio, ai tuoi esordi?
F.: Più che la difficoltà di interpretare il ruolo di villain, non so… Io parlerei più di sfida, quello che mi piace di questo lavoro è proprio questo: di interpretare personaggi che sono lontanissimi dalla mia indole, dalla mia natura. Poi tutto è difficile, se tu cominci a fare una cosa, non sai se la porterai in porto, ti devi impegnare ogni volta al massimo. Altrimenti rischi di non arrivare a un risultato per lo meno decente, insomma!
4. Ho letto che sei amante della letteratura russa del XIX secolo, in particolare di Gogol, che hai portato anche in teatro. Uno scrittore e drammaturgo che si distinse per la grande capacità di raffigurare situazioni satirico-grottesche sullo sfondo di una desolante mediocrità umana. Perché questa passione? Trovi forse delle similitudini con la società odierna?
F.: Si, i russi hanno questa particolarità, secondo me. Tutti sono cresciuti sotto il regime assolutista dello Zar e riuscire a trovare il modo per esprimersi in quelle condizioni richiede non solo grande coraggio ma anche una capacità di scrittura eccezionale. Per questo li trovo tutti eccezionali, da Gogol a Puškin, dotati di grande ironia, un pregio inestimabile.
Non trovo similitudini con la società odierna, per fortuna no. Ma le trovo con la condizione ad esempio dell’attore. Noi dobbiamo esprimerci stando dentro una gabbia: la gabbia della scrittura, dell’impostazione registica. In realtà è un gioco paradossale, tu devi trovare la libertà espressiva sotto una serie di condizionamenti molto forti.
Questo, per gli scrittori russi, che invece avevano un condizionamento molto forte dal punto di vista politico, in scala minore potrebbe essere.
Comunque la scrittura è il cinquanta per cento della riuscita di un lavoro. Da una buona scrittura tu puoi rischiare di rovinarla o puoi fare qualcosa di importante e di bello. Mentre se la scrittura è scadente non vai da nessuna parte, anche il miglior attore e il miglior regista non possono fare miracoli. La scrittura è sempre centrale in un racconto, sia esso cinematografico, teatrale o semplicemente di narrativa.
5. Ultima tua interpretazione è in Fargo nel cast della quarta serie. Ci vuoi raccontare come sei stato scelto?
F.: Per Fargo i casting director che sono Barbara Giordani e Francesco Vedovati mi hanno chiamato per fare questo provino e poi gli americani hanno pensato bene di scegliermi, a loro rischio e pericolo!
Intervista a cura di Cecilia Lavopa












