Ivy Low Litvinov – La canzone di Saljapin

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Editore Ago Edizioni
Anno 2025 Prima edizione italiana
Genere Noir
298 pagine – brossura e ebook
Traduzione di Susanna Marrelli Ricci
Revisione della traduzione Michela Dentamaro e Caterina Miracle Bragantini


Dopo decenni di oblio approda nelle librerie italiane, edito da Ago, La canzone di Saljapin di Ivy Low Litvinov, un’autrice britannica dal destino straordinario che ha vissuto in prima persona i drammatici cambiamenti della Russia del Novecento.
Dopo aver sposato nel 1916 Maxim Litvinov, rivoluzionario russo in esilio che diventerà ministro degli Esteri di Stalin, si trasferisce nell’ URSS stalinista a seguito del marito. La sua esperienza diretta della realtà sovietica conferisce ai suoi romanzi e, in particolar modo, a La canzone di Sajapin un’autenticità e una profondità uniche.

Questo romanzo si inserisce perfettamente nel filone noir politico. Siamo nella Mosca degli anni Venti. Una donna di servizio porta, come ogni mattina, la colazione all’ospite dell’appartamento al piano superiore. Ma quella mattina la routine si spezza: l’uomo, Arkadij Petrovic Pavlov, giace riverso su un grammofono con un coltello conficcato nel torace.
Spetterà al commissario distrettuale Nikulin dipanare la matassa della vita alquanto oscura della vittima per trovare il suo assassino e consegnarlo definitivamente alla giustizia.

Ivy Low Litvinov è riuscita, con immensa maestria e intelligenza, a costruire un trama noir avvincente e coinvolgente, colma di colpi di scena, facendo provare al lettore, dall’inizio alla fine, quella “sensazione” di suspence, fondamentale per il genere, che gli permette di partecipare quasi attivamente allo svolgersi degli eventi e delle indagini come se fosse anch’egli uno dei protagonisti delle vicende narrate.
Un approfondito lavoro di studio e analisi della psicologia umana da parte dell’autrice trapela nell’eccellente caratterizzazione dei personaggi. Ognuno di essi rappresenta non solo una tipologia di personalità ben precisa ma soprattutto vuole essere il rappresentante delle diverse classi sociali di cui era costituita la società russa in piena fase rivoluzionaria mettendo in evidenza tutte le loro debolezze, contraddizioni e falsità.
Pavlov era stato uno di quei tipici russi la cui bontà copriva una moltitudine di peccati…era un bon vivant, un sopravvissuto appartenente a quella classe che in Russia era caduta in rovina.

Ma ciò che rende questo romanzo noir un’opera degna di nota e di essere considerata a tutti gli effetti parte di spicco della letteratura anglo-russa è la scelta della Low di voler offrire al lettore una descrizione e un’analisi particolareggiata e per quanto possibile obiettiva della situazione politico sociale della Russia stalinista così da fornirgli gli strumenti per una riflessione necessaria e doverosa in merito.
Davvero toccanti sono i passaggi in cui l’autrice tratta della piaga della criminalità giovanile post rivoluzione.

Già nel 1926 gli sforzi dello Stato avevano ottenuto un considerevole smembramento delle fila dei derelitti e degli abbandonati delle città russe, quegli orfani della tempesta, i bambini lasciati alla deriva alcuni anni prima della carestia e della guerra civile, aumentando così le truppe della criminalità giovanile, una minaccia nelle strade di notte, un problema quasi irrisolvibile per le autorità scolastiche e municipali.
La figura che fa da tramite tra questi giovani derelitti e le istituzioni è il giornalista Julij Caesarovic Itkin, un tempo anche lui fu uno di loro, che amorevolmente è riuscito a guadagnarsi la loro fiducia ma soprattutto la loro stima. In fondo non sono altro che delle vittime che vogliono atteggiarsi a piccoli adulti ma che in realtà non sono altro che degli adolescenti bisognosi di amore, considerazione e consigli per poter cambiare il loro destino e diventare giovani meritevoli.
Infatti, i ragazzi si accalcarono in cerchio per “una storia” che ascoltarono con la concentrazione avida dei bambini che rimandano il momento di andare a dormire. Itkin si era procurato una copia sgualcita di Jules Verne e lesse fino a quando non gli fece male la gola.

Un piccolo grande gesto che li ha fatto sentire considerati, “guardati” e stimati e che ha dato loro la possibilità di essere solo dei “semplici ragazzi” con le loro speranze, con le loro passioni, con la loro semplicità e tenerezza almeno per qualche ora per, poi, rindossare la loro maschera di ferro.
Il personaggio del giornalista Itkin è molto interessante anche perché conduce un’indagine parallela ma non in conflitto con quella del commissario Nikulin così da rendere l’azione maggiormente intrigante e offrire un modus operandi e punto di vista diversi.
La figura del commissario distrettuale Nikulin è ben costruita e caratterizzata. Era un uomo alto e ciondolante di quarantacinque anni, ma sembrava più vecchio, forse per via della sciatteria nel vestirsi o forse per la dieta disordinata e lo scarso esercizio fisico. Per il resto, aveva degli occhi buoni e stanchi che illuminavano un viso piuttosto grande e sbattuto.

È un commissario buono, gentile e umile con una grande capacità introspettiva e di osservazione che non può non intenerire il lettore perché lo percepisce così “umano” con tutto il positivo o il negativo che ne comporta e con cui può facilmente immedesimarsi così da comprendere meglio il suo punto di vista.
Decisamente un romanzo di immenso spessore sotto molti punti di vista: dall’accurata ricostruzione storica alla sottile critica sociale politica che passano attraverso una perfetta composizione della trama “gialla” con tutte le sue principali e importanti caratteristiche e una costruzione e delineazione ineccepibile dei personaggi. Il tutto scritto in una lingua semplice, chiara, precisa e delicata mai sopra le righe, mai fuori luogo ma che colpisce il cuore di chi sa mettersi “in ascolto”.

Benedetta Borghi


La scrittrice:
Ivy Low Litvinov (1889-1977) non è solo una scrittrice, ma una testimone privilegiata della Storia. Nata a Londra da famiglia ebrea, nel 1916 sposa Maxim Litvinov, rivoluzionario russo in esilio che diventerà ministro degli Esteri di Stalin. Dal 1920 vive nell’URSS stalinista, seguendo il marito nei suoi incarichi diplomatici fino a Washington durante la Seconda Guerra Mondiale, dove inizia a collaborare con il New York Times. La sua esperienza diretta della realtà sovietica conferisce ai suoi romanzi un’autenticità e una profondità uniche.