Intervista a Gianni Simoni

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Gianni Simoni è una mia vecchia conoscenza. Quando, parecchi anni fa, venne a Genova al Festival del Giallo, mi trovai per caso a rispondere ad un quesito (giallo) da lui posto, ed indovinai. Il premio era un suo romanzo: “Lo specchio del Barbiere”. Quale migliore regalo di un libro? Da quel preciso giorno io sono diventata una sua” fan” e non mi perdo un suo romanzo.
Così ho seguito tutte le avventure di Petri e Miceli; poi ho conosciuto il suo commissario Lucchesi. Brescia è la co-protagonista dei suoi romanzi, molto apprezzati ormai da un sempre più vasto pubblico di lettori.
L’ho quindi intervistato per Contorni di noir:

1. So di porle una domanda scontata, avendo avuto, per di più , l’onore di conoscerla a Genova e perciò di avere ricevuto una risposta a viva voce. Per tutti gli altri: quanto ha inciso il suo lavoro di magistrato sulle storie che ha raccontato?
G.: Naturalmente. Fare il magistrato per tutta la vita significa essere stato direttamente a contatto con il bene ed il male. Con la loro contiguità e con il crinale sottile che li divide, oltre che con una miriade di personaggi e di episodi che si trasformano in spunti che chiedono solo di essere sviluppati in chiave narrativa.

2. Il fatto di avere scelto come protagonisti due persone “mature”, in età da pensione, è sempre per una comunanza di età e di situazioni? O è casuale?
G.: La scelta anagrafica di due protagonisti come Petri e Miceli non è casuale. Petri è decisamente autobiografico e biografico è anche l’anziano commissario. E poiché le mie storie si svolgono ai giorni nostri, è abbastanza logico che i due personaggi vivano in una realtà che è quella attuale e che vi si calino direi “naturalmente”.

3. La sua città, Brescia, è anch’essa protagonista delle storie che racconta. E’ un suo modo affettuoso, immagino, di renderle omaggio. Se dovesse ambientare una storia con gli stessi protagonisti ma in un’altra città, quale sceglierebbe e perché?
G.: Brescia è la mia città d’origine, quella che meglio conosco e Petri e gli altri protagonisti dei miei polizieschi vi trovano la loro ideale collocazione che non potrebbe essere diversa.

4. L’accoppiata Petri-Miceli è ormai collaudatissima, quasi un matrimonio; per quale motivo ad un certo punto del suo percorso da scrittore ha pensato di cambiare protagonista?
G.: Non ho cambiato protagonista. Quando da Brescia mi trasferii a Milano per ragioni professionali, mi trovai di fronte a una realtà socio-economica diversa, nella quale il numero degli abitanti faceva da moltiplicatore alle contraddizioni e alle intolleranze che continuano a connotare una società ancora culturalmente arretrata come la nostra. Non si è trattato quindi di cambiare protagonista, ma di creare un nuovo personaggio che in quella diversa realtà vivesse, facendosene interprete e “voce”.

5. Ho letto con interesse le storie del poliziotto Lucchesi. E’ un personaggio così difficile, diametralmente opposto ai due tranquilli investigatori dei primi romanzi. Cosa l’ha spinta a questo giro di boa?
G.: Lucchesi non ha costituito un giro di boa e rispetto ai personaggi bresciani è diverso solo caratterialmente, costretto com’è ad affrontare difficoltà e problematiche che Petri e Miceli non conoscono. Ma come questi ultimi è una persona per bene, che ha rispetto per il proprio lavoro e per gli altri. Come Petri si capisce bene da che parte sta, ma nonostante tutto non vive questa sua collocazione (ideale, politica) come una “divisa” che lo include escludendo chi la pensa diversamente. Anche Lucchesi non è un “eroe”, ma semplicemente una persona  convinta del fatto che la politica, intesa in senso lato, sia anzitutto esercizio quotidiano di “attenzione civile”.

6. Come mai la scelta di farlo mulatto? Forse per aggiungergli un tormento in più ai numerosi che già lo travagliano?
G.: La scelta di averlo creato di pelle scura non è stata una civetteria e neppure la ricerca di un’originalità a tutti i costi. Si tratta solo di una diversità che meglio gli fa comprendere e vivere tutte le diversità con cui viene a contatto.

7.Ha in progetto ancora delle storie con il commissario Lucchesi? Magari un’alternanza di protagonisti?
G.: Lucchesi sarà il protagonista di tante altre storie, alcune delle quali di prossima pubblicazione.

8. Troverà prima o poi Lucchesi un po’ di pace, almeno dal lato sentimentale? O lei preferisce presentarcelo sempre tormentato e vagante da una storia all’altra?
G.: Il mio commissario di colore è tormentato anche perché questa è la sua natura. Le sue difficoltà e le sue “deviazioni di percorso” riguardano anche l’universo femminile che lo circonda (ama le donne e le donne sono portate ad amarlo). Una certa pacificazione riuscirà però a trovarla per merito di una donna, la collega Lucia Anticoli, che lo comprende e con il suo amore riuscirà, fino a un certo punto, a pacificarlo anche su questo versante.

9. Tornando a Petri e Miceli, l’ultima storia “Fiori per un vagabondo” ha , secondo me, una marcia in più delle precedenti. La storia di questo barbone trovato morto per strada ,con un mazzo di fiori di campo deposti ogni giorno , mi ha appassionata. Si è ispirato a qualche fatto -anche minimo- accaduto, o è una vicenda inventata di sana pianta?
G.: “Fiori per un vagabondo”, a parte qualche spunto autobiografico a cui un autore non riesce a sottrarsi, è sostanzialmente frutto solo della mia fantasia.

10. Per concludere, domanda di rito. Ha già qualcosa in cantiere per il futuro? Petri e Miceli o Lucchesi?
G.: Come ho già detto, esistono già delle nuove storie, sia del filone milanese, sia di quello bresciano, che attendono solo il beneplacito della mia editor.

Intervista realizzata da Rosy Volta