Gregory David Roberts – Shantaram

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  • Editore Neri Pozza / Collana Le tavole d’oro
  • Anno 2003
  • 1184 pagine – brossura
  • Traduzione di V. Mingiardi

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Ma l’anima non ha cultura. L’anima non ha nazione. L’anima non ha colore, accento, stile di vita. L’anima è per sempre. L’anima è una. E quando il cuore prova un momento di verità e di dolore, l’anima non sa restare immobile. Uno dei motivi per cui abbiamo un terribile bisogno d’amore e lo cerchiamo disperatamente, e perché l’amore è l’unica cura per la solitudine, la vergogna e la sofferenza. Ma alcuni sentimenti si nascondono così profondamente nel cuore che solo la solitudine può aiutarti a ritrovarli. Alcune verità sono così dolorose che solo la vergogna può aiutarti a sopportarle. E alcune circostanze sono così tristi che solo la tua anima può riuscire a urlare di dolore.
Premesso che di romanzi oltre le mille pagine ne ho letti davvero pochi – tra i quali Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas e IT di Stephen King – avevo da tempo la curiosità di leggere il romanzo di Gregory David Roberts dopo aver letto e sentito commenti che ne esaltavano il contenuto e, approfittando della pausa estiva, l’ho letto. L’India mi ha sempre affascinata, dai tempi de La città della gioia di Dominique Lapierre. Luogo di contrasti, di lotte quotidiane per la sopravvivenza, ha un potere carismatico tale che – nel bene o nel male – ti colpisce.
Gregory David Roberts approda a Bombay, nella zona di Colaba, in cui si trovano gli alberghi più economici. Il suo non è un viaggio di piacere, ma una fuga dall’Australia, evaso dal carcere di Pentridge.
Aveva cominciato a scrivere a vent’anni e pubblicato il suo primo libro. Con il successo, arrivò anche il fallimento del suo matrimonio, perse la custodia di sua figlia e la sua esistenza fu sconvolta da droga, delitti, prigione e fuga.
Lo spettacolo che si presenta ai suoi occhi è incredibile: accanto a romantici edifici inglesi dell’epoca del Raja svettano moderni grattacieli ricoperti di vetrate a specchio. Catapecchie fatiscenti pencolano sopra a sontuosi bazar colmi di frutta, verdura e sete preziose ma, soprattutto, Bombay era libera. E lui la ama dal primo istante.
Arrivato in città, conosce Prabaker – Prabu – che diventa il suo Virgilio. Lo accompagna tra gli slum, gli fa conoscere ogni suono e ogni immagine della città, trascinandolo nel dolore e nell’amore che sprigiona ogni angolo, senza esserne un testimone distaccato, ma parte integrante di quei luoghi.
Immagini curiose e sconcertanti della città vorticavano nella mia mente come foglie spinte dal vento, e il mio cuore era così eccitato dalla speranza e dalle nuove prospettive che mentre giacevo nella penombra non riuscii a trattenere un sorriso. Nessuno, nel mio nuovo mondo – Bombay – sapeva chi ero. In quel momento, fra quelle ombre, ero quasi al sicuro.
Un uomo che ha dovuto scrivere nuovamente la sua vita e che sperava in un cambiamento totale. Ha imparato le lingue locali, tra cui l’hindi e il marathi. Un americano all’esterno, ma indiano nel cuore.
Chiunque lo sentisse parlare, restava affascinato da quell’uomo dalla pelle bianca che spiccava come un bagliore nella notte.
Gli affibbiano il soprannome di Shantaram – siccome giudicavano che la sua indole fosse benedetta da una serena felicità – che significa uomo di pace, o anche uomo della pace di Dio.
Visita i lebbrosi, cura i malati e i feriti negli slums – le baraccopoli indiane – insieme a Prabaker. Aveva bisogno di sentirsi vivo e spezzare quella catena di solitudine che lo avvolgeva. Aveva perso tutto fuggendo dall’Australia. I suoi affetti più cari, gli amici. Cercava nuovi punti di riferimento, un approdo che lo facesse sentire parte di qualcosa. Voleva dare un senso alla sua vita, martoriata dai sensi di colpa.
Ma sembra che un destino tiranno lo perseguiti e viene incarcerato, a causa di una maitresse di Bombay, alla quale aveva creato problemi. Ci resta quattro mesi, i peggiori della sua vita: lo ridurranno in fin di vita a seguito dei maltrattamenti e delle violenze subite.
Grazie a Abdel Khader Khan – capo di uno dei più potenti clan mafiosi, ne esce vivo per miracolo e comincia a lavorare per lui per il riciclaggio di denaro e per la contraffazione dei passaporti.
Quell’uomo non era solo un criminale, ma un filosofo, un saggio al quale Gregory affidò il suo cuore come fosse un padre. Dissertavano sull’esistenza di un essere superiore, sulla Complessità Suprema. Sulla definizione oggettiva universalmente accettabile del bene e del male. Finché non la troveremo, continueremo a giustificare le nostre azioni e a condannare quelle degli altri.
Per quell’uomo, Gregory andrà a combattere una guerra non sua in Afghanistan, ma tornerà senza il suo guru, ucciso durante uno scontro a fuoco. Perderà gran parte dei suoi amici, compreso Prabaker.
Proprio per questo motivo, dopo un periodo di depressione, capirà che solo il bene aiuta ad essere vivi e a riscattarci con noi stessi.
Perché la vita è così, procediamo a piccoli passi
Rialziamo la testa e torniamo ad affrontare il volto feroce e sorridente del mondo. Pensiamo. Agiamo. Sentiamo.
Alla fine del romanzo, mi sono chiesta come un uomo abbia potuto sopravvivere a tutto questo. A non soccombere a se stesso, vittima delle sue scelte, dei suoi grossolani errori..Ma chi dice che questo percorso non sia stato necessario?
Sebbene la prosa sia mirabile, vi sono veramente tante – troppe – vicende concentrate in un solo libro e la marea di sensazioni contrastanti non appaga l’occhio, quanto il cuore.
E’ un inno alla vita e all’amore, ai profumi e ai sorrisi, un binario da percorrere per raggiungere un obiettivo comune, a prescindere dalla razza e dalla religione.
Crudo, violento, avvincente, meraviglioso.

Lo scrittore:
Gregory David Roberts è nato a Melbourne, in Australia, nel 1952. Dal 1972 al 1975, è uno dei leader del movimento studentesco. Nel 1977 compie la sua prima rapina con una pistola giocattolo. Viene catturato nel 1978 e, nello stesso anno, scappa dal carcere di Pentridge. Nel 1982 è a Bombay, poi tra i combattenti mujaheddin in Afghanistan, dove viene ferito in azione e trasportato in Pakistan. Nel 1990 è arrestato a Francoforte e imprigionato nel carcere di massima sicurezza di Preungesheim. Estradato in Australia, dopo due anni di confino e quattro di reclusione, scrive Shantaram, best seller nei numerosi paesi in cui è stato pubblicato. I diritti di riproduzione cinematografica del romanzo sono stati acquistati da Johnny Depp.