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Carla Vistarini ha un curriculum che fa invidia: scrittrice, sceneggiatrice, paroliera e autrice televisiva, teatrale e cinematografica.
Romana, ha scritto canzoni indimenticabili per cantanti come Ornella Vanoni (La voglia di sognare), Mina (Buonanotte buonanotte), Mia Martini (La nevicata del ’56), Patty Pravo, Riccardo Fogli, Amedeo Minghi, Renato Zero… Ha scritto i testi per alcuni dei programmi televisivi di intrattenimento di maggiore successo fra gli anni Settanta e Duemila collaborando, fra gli altri, con Gigi Proietti, Loretta Goggi, Fabio Fazio, Maurizio Costanzo; è autrice di commedie premiate dalla critica come Ugo con Alessandro Haber, e di sceneggiature di film come Nemici d’infanzia di Luigi Magni con cui ha vinto un David di Donatello. «Se ricordi il mio nome» è il suo secondo romanzo pubblicato da Corbaccio dopo «Se ho paura prendimi per mano» pubblicato nel 2014. L’abbiamo intervistata e questo ciò che ci ha raccontato.
1. Benvenuta su Contorni di noir, Carla. Hai avuto una carriera costellata di tanti successi, spaziando dalla musica al teatro, dal cinema alla letteratura. Da dove nasce l’esigenza di comunicare attraverso vari tipi di linguaggi?
C.: Sarebbe bello poter dire che è stata l’Arte a travolgermi varie volte nella vita trasportando, a piacer suo e dell’ispirazione, la mia scrittura in mondi via via diversi: dalla musica al teatro, al cinema, alla televisione, alla letteratura. Sarebbe bello e anche romanzesco, ma in realtà l’esigenza di comunicare attraverso vari tipi di linguaggi per quello che mi riguarda nasce da tante cose molto più pratiche e anche quotidiane, direi. Come per esempio la necessità di lavorare continuativamente. Quindi afferrare al volo le belle e interessanti occasioni di lavoro più diverse. Il mestiere di scrivere è proprio questo, se vuoi viverci: un mestiere che devi fare sapendo che devi lavorare sodo, indefessamente e spesso cambiando ritmo e cadenza, per seguire la danza della vita e della professione, e i suoi alti e bassi, le sue asperità, come un bravo ballerino. Fluidamente, adattandoti.
2. E’ uscito per Corbaccio il tuo secondo romanzo dedicato allo Smilzo e alla nana, intitolato “Se ricordi il mio nome”. Com’è nata l’idea?
C.: “Mi manca Smilzo!”, “Mi manca la nanetta!”, “Mi è piaciuto tanto, e adesso?”, “L’ho finito e non vedo l’ora di leggere il seguito!”… Queste, ed altre dello stesso tenore, sono state le tantissime richieste che mi hanno fatto i lettori dopo aver letto “Se ho paura prendimi per mano”. Mi hanno mandato mail, scritto post su Facebook e Twitter, domandato del “seguito” alle presentazioni e ai festival… E così, io che avevo iniziato a scrivere un altro racconto, un romanzo del tutto diverso, a un certo punto l’ho messo da parte e ho seguito l’invito emozionale e affettuoso dei miei lettori. Che avevano ragione, come sempre. Perché “Se ricordi il mio nome” non vedeva l’ora di essere scritto, così.
3. Perché i bambini spesso sono arrabbiati con gli adulti? Pensi che ormai ci sia un’inversione per cui i piccoli sono più grandi e responsabili dei loro genitori?
C.: Penso che i bambini siano delle persone. Piccole, indifese, in evoluzione, ma delle persone a tutto tondo. E quindi meritano di essere rispettati in quanto persone. Invece mi pare che gli adulti, inclusi i genitori, spesso vedano i bambini come semplici parti di sé, che adorano naturalmente, ma in quanto appendici delle proprie emozioni, delle proprie speranze, e ansie anche. Un bambino non è un “piccolo noi”, ma un “piccolo grande lui”, dalle molteplici e misteriose diversità e unicità. Spesso incomprese. E i bambini questo lo sentono. E si arrabbiano. Ma naturalmente poi è tutto più complesso di così. Però i problemi, temo, cominciano da lì.
4. Avevi già in mente, dopo il primo fortunato romanzo, il seguito con gli stessi personaggi, o la seconda storia è stata concepita solo in un secondo momento?
C.: La seconda storia è nata dopo, e l’ho dovuta inventare di sana pianta. E, come l’altra, è molto complessa nella trama che è disseminata dei colpi di scena classici del giallo e del thriller, generi di scrittura che adoro.
5. Parlaci un po’ dello “Smilzo”, questo personaggio un po’ fuori dalle righe, diventato un punto fermo per la “nanetta”.
C.: Lo Smilzo, di cui prima o poi svelerò anche il vero nome, è un uomo molto interessante, dal passato complicato e dalle disavventure giudiziarie ingombranti, ma dal cuore d’oro e dall’intelligenza profonda, ma spaesata e confusa dell’eroe per caso. Ha combinato tanti guai, nel suo passato, è stato sulle montagne russe della ricchezza e della miseria, fino all’abbrutimento della condizione di senza tetto costretto a vivere sotto i ponti, ma sempre pronto a cogliere l’occasione di riscattarsi e tornare a una vita che valga la pena di essere vissuta.
6. Il tuo esordio letterario, in realtà, fu con “Città sporca” nel 2013. In quel romanzo avevi dato voce a Tano Curreri, ispettore di polizia, il quale si ispira a Simenon e al personaggio creato dalla sua penna: Maigret. Burbero, casinista, animo buono e paladino della giustizia. C’era anche in “Se ho paura prendimi per mano” e lo ritroviamo anche in questo romanzo. Avremo modo di leggere ancora di lui?
C.: Curreri è sempre accompagnato dal suo vice Micci, il giovane agente timido ma dalla cultura pitagorica. E Curreri sarà anche nel nuovo romanzo che ho in mente di scrivere. Lo ritroveremo perché il commissario Tano Curreri, un po’ Maigret di periferia, è il mio Virgilio nella selva oscura dei romanzi che scrivo. Mi guida tra i misteri dei personaggi, nelle bolge spesso spaventose e invisibili delle vite umane e delle tenebre che spesso le circondano, armato della sua onestà e della sua incrollabile fiducia nella giustizia, unite a una testardaggine riottosa ma perspicace, da scarpe grosse e cervello fino.
7. La tua prima canzone che venne pubblicata, “Mi sei entrata nel cuore”, fu incisa dagli “Showmen” per la RCA, nel 1970, avendo un successo incredibile. Com’è cambiato il panorama musicale della discografia italiana rispetto a quegli anni?
C.: E’ cambiato drasticamente. Intanto allora i dischi (esclusivamente in vinile) si vendevano in centinaia di migliaia di copie, e spesso milioni, per un successo da numero uno in classifica. Ora i supporti come i dischi o i cd, non esistono quasi più se non per nostalgici collezionisti, le canzoni si ascoltano in streaming, una volta e via, spesso piratate. Non c’è sedimentazione nella memoria. Succede che, mentre ci si ricorda spesso perfettamente, di una canzone anni ’70 o ’80, un brano dello scorso anno, anche di buon successo è già dimenticato. C’è da dire, poi, che allora, senza pc né telefonini, per collaborare si doveva stare insieme fisicamente, noi autori, parolieri, musicisti, discografici, cantanti…. Bisognava muoversi per incontrarsi, uscire di casa e recarsi di persona nelle case discografiche, negli studi di registrazione, nei luoghi di aggregazione artistica. Oggi si fa tutto o molto col computer, spesso in solitudine, lontano dagli altri, senza confronto, senza risate, senza dialettica, senza un sorriso vero, una pacca sulla spalla, o un esultare infantile tutti insieme di gioia per un provino ben fatto. Non so dire se è meglio o peggio. Certo è diverso.
8. Ho letto che hai vinto anche un David di Donatello per la Migliore Sceneggiatura nel 1995. Il film era “Nemici d’infanzia” per la regia di Gigi Magni. Oggi sei una giurata dello stesso premio. Il cinema italiano sembra soffrire ancora parecchio, anche se proprio di recente è stato premiato Donato Carrisi per il suo film “La ragazza nella nebbia”. Cosa ne pensi?
C.: Il cinema italiano sta cercando un’identità nuova, per tornare, spero, ai fasti internazionali che il nostro cinema visse col neorealismo di Rossellini e De Sica, poi con la generazione Fellini, e oggi anche con la rivalutazione dei nostri B-movies da parte di registi come Tarantino. Credo che dobbiamo recuperare terreno, ma l’idea di cominciare a usare i romanzi come basi per buoni film sia ottima, perché si parte da strutture narrative forti e articolate. Quindi bravo a Donato Carrisi e al produttore del suo film, che il pubblico, oltre che noi giurati del David, ha premiato.
9. Avendo vissuto e lavorato nel mondo del cinema e dello spettacolo in generale, hai pensato che entrambe le tue storie sarebbero un’ottima sceneggiatura per un film o una fiction TV?
C.: Certo che ci ho pensato, visto poi che la serialità sta vivendo in tutto il mondo il suo momento magico. I miei romanzi al momento sono in lettura presso produttori interessati e vedremo cosa accadrà.
10. Hai scritto per il teatro e per i cartoni animati, hai curato la versione italiana delle canzoni di Jack Skeleton in “Nightmare before Christmas” film di animazione di Tim Burton candidato all’Oscar, interpretate da Renato Zero. Quanto ha cambiato il digitale anche questi settori? C’è ancora spazio di manovra?
C.: Il digitale ha consegnato i grandi guadagni nelle tasche dei grandi gruppi internettiani come Google, Youtube, Facebook, Microsoft, ecc. I “contenuti”, ovvero ciò che di creativo troviamo in rete: film, canzoni, musica, teatro, video ecc. è la polpa viva del megabusiness della rete, ciò che consente alla pubblicità di pagare cifre spropositate per inframezzare tutto. In realtà poi ai creatori originali dei contenuti, gli autori quindi, il digitale lascia pochissimo, le briciole, e quindi bisogna organizzarsi diversamente. Fare solo gli artisti non paga. Il mestiere va ripensato in termini aziendali e manageriali. E anche qui si apre un discorso molto complicato in un panorama mercuriale, in continua mutazione.
11. Farai ancora rivivere in altre storie i suoi fantastici personaggi, lo Smilzo, la bambina e la sua mamma, o intendi lasciarli vivere felici in un lontano paese oltreoceano e trovare nuovi personaggi per le tue storie?
C.: Ti dico solo che i miei lettori mi stanno già facendo arrivare messaggi, email e commenti come questo: -Vogliamo il seguito di “Se ricordi il mio nome”-. E come si fa a dire di no ai lettori?
Intervista a cura di Rosy Volta