Editore Atmosphere / Collana Asiasphere
Anno 2018
Genere noir
173 pagine – brossura e ebook
Traduzione dal giapponese di Francesco Vitucci
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“La poltrona umana e altri racconti” è, come il titolo scelto dalla casa editrice suggerisce, una raccolta di racconti firmati nel 1925 da Edogawa Ranpo, considerato il padre del noir giapponese. Si tratta di una selezione fatta dalla casa editrice italiana, motivo per cui – come i più attenti potrebbero aver notato – non indichiamo un titolo originale dell’opera.
Anzitutto, penso sia il caso di dare al lettore che non lo conosca una rapida idea di chi fosse Edogawa Ranpo. Nato con il nome di Tarō Hirai, si appassiona da studente alla lettura dei racconti di Sir Arthur Conan Doyle, che cerca (a quanto pare malamente) di tradurre in giapponese mentre è all’università, e alle opere di Edgar Allan Poe, che ammira tanto da scegliere come nome d’arte una trascrizione fonetica proprio del nome dell’autore statunitense. I suoi racconti e romanzi sono incentrati su casi nello stile di quelli con protagonista Sherlock Holmes, ma profondamente inseriti nella realtà giapponese del suo tempo. Presto creerà anche un personaggio simile a Holmes, che chiamerà Akechi Kogorō.
In questa raccolta abbiamo modo di assistere alla primissima apparizione di Akechi Kogorō, in “Il delitto della salita D.”; il detective dilettante viene coinvolto dal mai nominato narratore nelle indagini su un delitto del quale il narratore stesso è stato testimone, e finisce per cavare le castagne dal fuoco quando la polizia ammette di brancolare nel buio. In questo racconto, tra l’altro, viene menzionato direttamente “I delitti della Rue Morgue” di Poe.
In “Il test psicologico”, lo stesso Akechi finisce per risolvere un caso di omicidio che sembrava non avere colpevole, dimostrando allo stesso tempo un senso della morale che il lettore non può che trovare piuttosto particolare. Qui, l’autore mette in luce uno dei temi da lui più amati: il contrasto tra un Giappone ancora legato al passato, nell’ultimo anno dell’era Taishō (i periodi della storia giapponese vengono definiti a seconda dell’imperatore che regnava in quegli anni), e la modernità, spesso occidentale o comunque occidentalizzante, che inizia a farsi strada nella società, e in particolare il rapporto conflittuale che i giovani hanno con queste novità.
“La banda della mano nera” coinvolge ancora una volta Akechi, consultato dal narratore – che capiamo essere lo stesso individuo racconto dopo racconto – dopo che un suo caro zio è stato derubato, probabilmente da una famigerata banda criminale. Anche qui l’autore gioca molto sul contrasto tra tradizione e modernità, stavolta con un occhio di favore nei confronti dell’influenza occidentale nei costumi che evidentemente, viste le sue letture, Edogawa Ranpo non rifiutava aprioristicamente. La risoluzione di questo caso è complessa, legata agli alfabeti giapponese e cinese, e finisce per risultare almeno un po’ ostica a chi, come il sottoscritto, non ne conosce nemmeno le minime basi.
“Occhi dalla soffitta” è una storia angosciante, che parla di un giovane il quale, trovandosi a vivere in una locanda, scopre un passaggio che porta dall’armadio della sua camera a un sottotetto, grazie al quale può aggirarsi per tutto l’albergo spiando le vite degli altri ospiti. Presto cede a certe tentazioni criminali, che non menziono per non rovinare il gusto della scoperta, a causa delle quali si ritrova – purtroppo per lui – un antagonista d’eccezione: il solito, infallibile Akechi Kogorō.
Il racconto che dà il titolo alla raccolta, “La poltrona umana”, nel quale Akechi non compare, ha come protagonista una scrittrice di successo che riceve una raccapricciante lettera da parte di un ammiratore. Si tratta di una storia sorprendente, in realtà molto meno “splatter” di quanto il titolo possa far pensare, con un finale a sorpresa. Infine “Il bacio” è una storia all’apparenza banale di gelosia e vendetta, scorrevole ma certamente non tra le più memorabili.
Questa raccolta, che – ricordiamo – si limita a un solo anno della produzione dell’autore, ci fa scoprire uno stile particolare, simile in molti sensi a quello degli autori del mistero dell’Inghilterra vittoriana ma allo stesso tempo assolutamente nuovo per quanto riguarda la costruzione di personaggi e ambientazioni. Tema principale, a volte più e a volte meno rilevante ma sempre presente, è il già menzionato conflitto interno dei personaggi, cresciuti in una società estremamente tradizionale che inizia però a subire e spesso accettare, anche di buon grado, le influenze occidentali, in particolare nei costumi. Si tratta di una lettura interessante, senza dubbio piacevole ed estremamente fluida (con l’eccezione della seconda parte del già menzionato “La banda della mano nera”, nel quale racconto è fondamentale una lunga disquisizione sulle scritture cinesi e giapponesi), anche grazie a una traduzione magistrale di Francesco Vitucci. Un libro che piacerà certamente agli appassionati di letteratura giapponese e a chi apprezza gli autori del mistero dell’era vittoriana.
Marco A. Piva
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Lo scrittore:
Edogawa Ranpo, pseudonimo di Hirai Taro (1894-1965), è il fondatore del genere noir giapponese. Ranpo ha dato vita a una vasta produzione letteraria che ha ispirato gli scrittori giapponesi del periodo pre e post-bellico, gettando le basi per una completa fusione tra il mistery di fattura occidentale e la tradizione autoctona. Nel 1963 fonda la “Associazione degli scrittori mystery del Giappone” (Nihon suiri sakka kyōkai) che gli dedica l’omonimo premio Edogawa Ranpo (Edogawa Ranposhō), assegnato ogni anno in Giappone dalla casa editrice Kodansha al miglior scrittore del panorama mistery.