Spettri di Frontiera – Ambrose Bierce

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Editore Adiaphora Edizioni
Anno 2019
Genere Gothic, Horror
280 pagine – brossura
Traduzione di Matteo Zapparelli Olivetti


C’è stato, senza ombra di dubbio, un tempo in cui la letteratura, lo scrivere del fantastico, ha attraversato quella che con termine ritrito potremmo definire la sua Era D’Oro. Un momento, una congiuntura, che nello spazio di una cinquantina d’anni tra fine ottocento e inizio del ventesimo secolo, ha visto proliferare un genere, ma soprattutto ha visto le figure di Poe, Lovecraft, Machen, Hogson, Rhode James, Blackwood, Bloch, Conan Doyle – e mi fermo onde evitare un articolo più simile a un appello scolastico. Scrittori che hanno saputo cercare dietro al mondo in cui vivevano le motivazioni per una letteratura del fantastico alla quale tutt’oggi ci riferiamo e che ha tracciato uno spartiacque. Oggi figure con questa potente visionarietà latitano. Sono veramente sporadiche – e per questo ancor più preziose – e credo sia per via del fatto che allora la conoscenza del mondo e dell’uomo fosse ancora in crescita e che le suggestioni fossero da cercare, non che venissero spiattellate dall’onnipresenza digitale (che è necessaria, ma mostruosamente invadente). Così Adiaphora decide di riportare alla nostra attenzione uno scrittore molto speciale: Ambrose Bierce, o “Bitter Bierce” come l’avevano soprannominato i suoi contemporanei data la causticità dei suoi giudizi.

Paralizzanti derive psichiche che portano verso una morte inspiegabile, l’improvviso materializzarsi di oscure presenze mentali, testimoni medianici di inconfessati crimini domestici: questi sono alcuni dei materiali grezzi che Bierce utilizza per realizzare i suoi racconti fantastici. Uno scrittore che conosceva profondamente la tecnica del racconto e l’arte dello scrivere, assimilate fin dall’infanzia quale lettore bulimico, ma che era anche attento lettore psicologico dei suoi contemporanei, psicologia che aveva sperimentato in modo diretto durante la Guerra Civile come soldato, poi come giornalista. Sebbene antitetiche, le due realtà si sono rese complemento in lui dandogli prova della brutalità umana che ne decretò il cinismo, ma fornendogli della medesima umanità la cialtroneria e la vitalità.

Questa contraddizione viene colta e riproposta nella sua letteratura con il modello semplice, ma subdolo, del racconto fantastico popolato di spettri, omicidi oscuri, scheletri dissotterrati, apparizioni macabre. La scelta della stranezza, l’inserimento del dubbio che genera esitazione, spinge il lettore a doversi confrontare con tutte quelle fantasie che ha accumulato e nascosto in un angolo della sua mente, ma che sono pronte a ricomparire se illuminate dal fascio di una torcia. A questa fonte inesauribile di immaginario Bierce si rivolge con l’istinto del cacciatore che entra in una foresta. Non è casuale il fatto che la foresta diventi uno dei suoi ambienti prediletti, il luogo deputato al Male per antonomasia nella puritana cultura americana, che già altri prima di lui (il sommo Poe, ma anche Hawthorne) avevano eletto a sancta sanctorum di tutte le implicazioni simboliche oscure.
Così Bierce scova come prede i sensi di colpa rimossi dalla gente comune muovendoli come fantocci o ancor meglio facendoli fluttuare come spettri.

Ecco allora come la maggior parte dei suoi racconti ruoti attorno a quelle strane sensazioni d’angoscia che pervadono coloro in cui riaffiorano alla coscienza immagini o persone del passato che inizialmente si profilano quasi idilliche, ma che inevitabilmente mutano in maligne trascinando con sé i malcapitati a una fine già scritta.
I racconti hanno come sfondo l’America rurale a lui contemporanea fatta di avventurieri (la corsa all’oro è ancora in auge), ma anche di improbabili venditori ambulanti che sciamano nei territori dell’Ovest dove vive una piccola borghesia fatta di monotone cittadine prive di storia. Qui si agitano i suoi protagonisti che sono incapaci di dominare gli eventi e restano preda delle forze arcane fino a venirne annientati (possiamo leggervi una sorta di critica sociale del suo tempo).

Altro topos è il confronto con il mondo dei morti che è uno dei terreni più fertili da cui traggono linfa le sue storie fantastiche: è il mondo che più di ogni altro fa presa sull’immaginario popolare e scaturigine di quelle sensazioni d’angoscia di cui poc’anzi.
Nei racconti soprannaturali Bierce si balocca con il modello dell’indistinguibilità tra sogno e realtà, sfumandone i contorni in modo da presentare personaggi che si ritrovano invischiati via via in una serie di situazioni, dèjà vu e assurde corrispondenze che mettono a tappeto le loro già provate risorse razionali. Scambi, banali errori di valutazione, malasorte fatale: tutti ingredienti che Bierce usa nella pozione con cui stermina divertito, ma mai indulgente al morboso, i suoi protagonisti, conscio che l’uomo è privo di speranza.

Ancora poco, per darvi conto di una capacità che mette in luce uno dei fondamenti della tecnica scrittoria di Bierce (che sarà maestro in questo a un certo Hemingway…), modernamente orientata a costruire il testo per sottrazione. Una scelta in antitesi con i suoi verbosi contemporanei, ma funzionale – quasi esiziale – per quella necessaria essenzialità di cui le sue improvvise e subdole soluzioni decretano l’esito della vicenda causando a loro volta un contr’effetto sul lettore. Chiarezza ed esclusione.

Ultimissimo: grazie ad Adiaphora per aver inserito nella pubblicazione anche il testo originale inglese, e graze a Matteo Zapparelli Olivetti per la qualità della traduzione. Buona lettura.