William Beckford – Vathek

1505

Editore Skira / Collana NarrativaSkira
Anno 2020
Genere gotico
288 pagine -rilegato e epub
Traduzione di Aldo Camerino e Ruggero Savinio


Se vi doveste mai avvicendare in una sorta di viaggio letterario attraverso il romanzo gotico, una tappa necessaria e imprescindibile sarebbe Vathek. Il suo è un romanzo fuori dall’ordinario sia per ciò che vi è narrato, ricco di magia, irrealtà, fantastico e soprannaturale, ma anche per l’esagerazione, la spregiudicatezza, la poliedricità, il senso deviato della misura che si fondono quasi a nota sublime nell’incedere del racconto.
Beckford è un alchimista che sperimenta, che cerca l’albedo della sua creazione fondendo elementi che suggeriscono connessioni alle Mille e una Notte, ai cicli dei romanzi fantasy, a quel tono decadente ed eclettico tipico del suo tempo, a funambolie kitsch che stillano umori oscuri, quasi horror. Allora entriamo insieme in questo universo.

Per me già il perno fondante della storia è pressoché irresistibile:un califfo orgoglioso e arrogante intraprende una ricerca di potere e saggezza che porta ad atti indicibili e, infine, alla dannazione. Lovecraft stesso ha celebrato Beckford con un lungo capoverso nel suo “L’orrore Soprannaturale in Letteratura”. Già riportarne il suo giudizio varrebbe a stimolarne la lettura, giusto un estratto per diletto:

“[…]Le descrizioni dei palazzi […] della sua torre delle streghe con i cinquanta negressi da un occhio solo, del suo pellegrinaggio verso le rovine infestate di Iskakhar (Persepoli)[…] delle sale ciclopiche di Eblis […] sono trionfi di strane elucubrazioni che elevano il libro a stigma fisso nella letteratura inglese.”

Beckford non si pone vincoli narrativi declinando tutto quanto in una realtà permeata da magia e irrazionale e creandosi così le opzioni per non dover seguire le rigide regole dello spazio-tempo. Anni, luoghi, giorni, distanze, non hanno definizione e passano davanti agli occhi del elettore come pura emissione degli atti di volontà dei personaggi coinvolti più che come misure temporali.
Tutto ciò, comunque, non esime il lettore tra trovare tre punti saldi in tutta questa folle frenesia: la storia del principe Alasi e della principessa Firouzkah, quella del principe Barkiarokh (che ha al suo interno una lunga serie di sottotrame interconnesse tra loro) e infine la storia della principessa Zulkais e del principe Kalilah.

Le Mille e una Notte hanno lasciato un potentissimo segno nella letteratura occidentale e gli omaggi sono immediatamente riconoscibili: il nobile ricco ed egoista viene umiliato e acquisisce saggezza solo dopo atti orribili; il principe è immaginato come un giovane arrogante i cui difetti condannano non solo lui, ma anche il suo regno. Beckford segue questo tema vasto con coscienza, sebbene il Califfo Vathek si dimostri molto meno simpatico di Shahryar o il Principe di Persia delle Mille e una Notte (e badate che Shahryar ha ucciso ben tremila mogli prima di sposare Sherazade…). Tutto il romanzo segue i tentativi sempre più orribili (e talvolta comici) di Vathek di guadagnare l’accesso al Palazzo Del Fuoco Sotterraneo e la conseguente distruzione del suo regno, dei suoi sudditi e della sua anima. Quello che – al netto di tutto il corredo fantasmagorico orchestrato – il Califfo mostra è il grande scorno dell’uomo che si rifiuta d’accettare la sua mortalità e vuole superare i limiti impostigli cercando di forzare la sua volontà sul mondo e sulla vita, ma soccombendo, come inevitabile. E le parole di Beckford lo sanciscono:

“Tale fu, e tale deve essere, il castigo delle passioni sfrenate e delle azioni atroci; tale sarà la punizione della cieca curiosità, che vuole penetrare oltre i limiti che il Creatore ha posto all’ umana conoscenza; dell’ambizione, che volendo acquistare scienze riservate ai più puri intelletti, non raccoglie altro che un orgoglio insensato, senza vedere che la condizione dell’uomo è di essere umile e ignorante.”

Michele Finelli


Lo scrittore: