Gabriele Dadati – Nella pietra e nel sangue

1546

Editore Baldini+Castoldi
Anno 2020
Genere Giallo storico
304 pagine – brossura e epub


Al centro e cardine di Nella pietra e nel sangue, emerge subito la drammatica e scioccante immagine che ci rimanda a quasi otto secoli fa: un uomo, che è caduto in disgrazia ed è stato fatto accecare dal suo signore, cammina per le strade di Pisa nella primavera del 1249, guidato per mano da un ragazzino. Quando poi quell’uomo sa di essere di fronte a San Paolo a Ripa d’Arno, come un montone impazzito, si mette a correre e va a sbattere contro la facciata di quella chiesa, con tale voluta e inaudita violenza tanto da fracassarsi la testa e uccidersi. Perché l’ha fatto? Da cosa scappava? Poteva mai esserci qualcosa di peggiore di più atroce di quella fine nella pietra e nel sangue? Forse la certezza di una orrendo futuro che lo vedesse attore, protagonista e mostruoso esempio da esibire per le strade e le piazze italiane, come ammonimento alle genti?

Quell’uomo si chiamava Pier delle Vigne. Fino a pochi mesi prima era stato il braccio destro di Federico II, l’ultimo grande imperatore d’Occidente. Il romanzo di Dadati nasce da qui. Da quella morte, che resta tuttora apparentemente inspiegabile, da quanto se ne sa storicamente. Morte che, secondo Dante fece sprofondare Pier delle Vigne fino al secondo girone del settimo cerchio del XIII Canto dell’Inferno dove il Sommo narra di coloro che si sono tolti la vita di propria mano. Tutti ricordano la macabra storia di Pier delle Vigne o meglio Pier della Vigna imprigionato per sempre nel tronco contorto di un albero e torturato dalle Arpie, Spinto da Virgilio, Dante lo interroga e in cambio della sua storia gli promette di restaurare la sua fama e rendergli l’onore. Il dannato accetta, comincia e si presenta come colui che fu il più stretto collaboratore di Federico II di Svevia, tanto fedele da diventarne l’unico depositario dei suoi segreti. E tuttavia l’importanza del suo incarico era tale da scatenare l’odio e l’invidia degli altri cortigiani, che sobillarono il sovrano, l’indussero a dubitare di lui e l’accusarono di tradimento. Tanto che Pier della Vigna, incolpato e accecato era arrivato a togliersi la vita, ma commettendo tale atto aveva finito per passare dalla parte del torto.

Tutti ormai credevano alla sua colpa. Ma Pier della Vigna giura a Dante di essere innocente. Un mistero del passato. Ancor oggi si ignora come siano andate veramente le cose. Si ignorano le motivazioni, i mezzi, gli sviluppi del tradimento, se ci fu, e certo non si può sapere i perché. Ma perché mai un imperatore, dopo l’amara scoperta del tradimento del suo amico più caro, l’avrebbe lasciato andare libero? Da cosa fuggiva allora Pietro? Un mistero che Dante non ha potuto o saputo risolvere. E, sempre legata a Pier della Vigna, impossibile dimenticare l’immagine di lui evocata dal Boccaccio nel suo Commento alla Commedia. Nel suo romanzo, una colta e approfondita ricerca letteraria che lo costringe a riaprire una specie di cold case, Gabriele Dadati introduce con vivacità i due personaggi fraterni amici e poi in rotta tra loro: Federico II e Pier delle Vigne, rimandandoci puntualmente a quel loro mondo fatto di ideali, immagini, poesia, genialità ma anche di sfrenatezza più assoluta mentre in contemporanea si doveva far politica, stringere indissolubili alleanze, affrontare battaglie, guerre e scomuniche. Avvenimenti che impegnano, coinvolgono, disorientano e intimoriscono.

Rivelati poco per volta, ma mai completamente, che lasciano ampi spazi al dubbio e punti oscuri persino alla fine. Un dramma storico, un mostruoso intrigo a più facce, dunque? Che come ovvia conseguenza ha creato un mistero da risolvere. Per provare a risolverlo Gabriele Dadati ha eletto a suo detective, un giovane dantista che si chiama Dario Arata, è all’ultimo anno di dottorato alla Sapienza di Roma e sta preparando il proprio intervento da tenere durante un convegno alla Normale di Pisa. Intervento focalizzato sulle diverse varianti della narrazione della morte di Pier delle Vigne collegabili ai commenti danteschi. Approfondire e perfezionare la sua ricerca non sarà facile. Dovrà allargarsi, deviare più volte, fronteggiare e superare ostacoli alla ricerca della retta via trasformando il suo studiare in una specie di pellegrinaggio. Perché per arrivare al vero nocciolo di quella realtà bisogna saper andare oltre e leggere nell’essenza più buia dell’identità occidentale, quel qualcosa di volutamente cancellato dalla coscienza. In Nella pietra e nel sangue, Gabriele Dadati mischia, con abilità storia, saggistica e narrazione, pur sottolineando con forza alcuni evidenti tratti da saggio puro. Tratti che saltano agli occhi dalla prosa, spesso intrisa di brani e dotte citazioni, ma non solo.

Basta rileggere quei capitoli che nel loro ritmo e nei l’uso dei vocaboli rimandano al colto fraseggiare del Duecento, quale era probabilmente quello di Pier della Vigna. Anche l’indirizzo concesso da Dadati alla trama moderna con la sua ambientazione inserita soprattutto all’interno del mondo universitario, e in particolare nell’ambito della ricerca e dell’indagine accademica, si aggancia alla inchiesta e alla storia che adopera per costruire il suo thriller. Una speciale citazione spetta al personaggio di Madame Legrand, docente al Collège de France, che nell’arco narrativo partecipa con rigore alla ricostruzione concettuale del protagonista. Tanto da offrirgli ampi motivi di riflessione sui molteplici coinvolgimenti dei pueri o fanciulli in tanta parte della storia. Ma dove stava quella benedetta innocenza dei fanciulli da sempre conclamata dalla religione e dall’ etica? Un romanzo storico e un colto giallo letterario, in cui passato e presente si intrecciano ma è anche, stranamente viene da dire, una bella e normale storia d’amore dei nostri tempi. Quella tra Dario e Lucia, che sanno vivere bene accanto, anche di fronte agli orrori della storia. Dario e Lucia, compagna di studi e nella vita, una coppia unita, forte di una continua collaborazione e complicità, complicità rispecchiata per esempio dall’arrivare a ragionare in assoluta sintonia tanto di concludere l’un per l’altra e viceversa i ragionamenti. In questo romanzo, che riesce a correre armoniosamente su due binari, i capitoli si alternano e mentre i due diversi piani temporali convivono, le ombre del passato si spingono fino ad arrivare a mischiarsi con l’oggi, il presente.

Un presente che la memoria di quei lontani splendori, fa brillare, trasforma così tanto da farlo rivivere donandogli eternità. Una convivenza forzata ma riuscita che si prolunga fino al misterioso intreccio finale, in un azzardato ma felice equilibrio, tra verità storica e finzione letteraria. Tra sogno e realtà? Una realtà molto spesso ben diversa da quella che si è studiata a scuola.

Patrizia Debicke


Lo scrittore:
Gabriele Dadati (Piacenza, 1982) ha pubblicato vari libri, tra cui Sorvegliato dai fantasmi (2008), finalista come Libro dell’anno per Fahrenheit di Radio 3 Rai, e Piccolo testamento (2011), presentato al Premio Strega l’anno seguente. Nel 2009 ha rappresentato l’Italia nel progetto «Scritture Giovani» del Festivaletteratura di Mantova.