Intervista a Patrizia Rinaldi, Pasquale Ruju e Massimo Torre, autori di Youthless insieme ad Alessandra Acciai e Massimo Carlotto.

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Da domani, in tutte le librerie, sarà disponibile il nuovo romanzo scritto a dieci mani da Massimo Carlotto, Alessandra Acciai, Patrizia Rinaldi, Pasquale Ruju e Massimo Torre. Si intitola “Youthless. Fiori di strada” pubblicato da HarperCollins Italia.

Nell’invitarvi a partecipare all’anteprima nazionale della presentazione del libro sulla pagina Facebook di Contorni di noir, questa sera alle 19, abbiamo intervistato tre degli autori: Patrizia Rinaldi, Pasquale Ruju e Massimo Torre, per farci raccontare la nascita di questo progetto.

Benvenuti e complimenti a tutti voi per il nuovo romanzo in uscita che sarà da domani, 25 ottobre 2022, in tutte le librerie.
Grazie, Cecilia.

1 – Partiamo proprio da qui, da questa scrittura a dieci mani. È la prima volta che leggo un libro scritto da così tante persone che non sia un’antologia di racconti. Com’è nata l’idea?
Youthless – Fiori di strada è un romanzo di sei capitoli, scritti in terza persona, con alcune parti in prima, dove ogni ragazza racconta di sé. Ci siamo avvicinati a questo progetto con l’intenzione di confrontarci con un testo collettivo, che non trascurasse i temi e lo stile di ognuno di noi, ma che li trasformasse in unità espositiva. L’idea è nata durante molti incontri, che sono avvenuti in un primo momento in presenza poi online. Le proposte di ciascuno sono state condivise, analizzate, poi, come accade anche quando si scrive da soli, ha prevalso la storia che si è imposta con il richiamo più forte.

2 – Mi viene in mente: “Sei personaggi in cerca d’autore”. Qui i personaggi sono sei ragazze che attraverso un proprio io narrante, si raccontano e descrivono la loro vita da adolescenti, già così tragica seppure ancora così breve. A differenza dell’opera di Pirandello, però, queste ragazze sono interpreti del loro stesso dramma. E la descrizione che ne fanno è terribile. Ci volete parlare di loro?
Le ragazze, tranne Anna e Claudia che sono sorelle, non si conoscono prima dei fatti raccontati. Dopo un grave evento scatenante, si ritrovano a scappare insieme: sono in fuga da circostanze pesanti del loro passato, da una probabile condanna e in parte anche da loro stesse. Provengono da realtà differenti per estrazione sociale, per linguaggi, per origini geografiche e culturali. Hanno in comune vissuti scabrosi e ciò che resta di un’innocenza crudele. Nel corso della storia avranno una trasformazione, che comprenderà la loro evoluzione personale e quella del gruppo a cui oramai appartengono.

3 – Ognuna di queste mi ha colpita (e affondata) per motivi diversi: le sorelle gemelle Claudia e Anna per il senso di protezione di una verso l’altra, Domitilla per il suo senso di inadeguatezza rispetto a un ambiente artefatto, Rachida per aver lasciato un inferno e averne trovato un altro, Léa e Teresa per il coraggio. Tutte e sei per la voglia di riscatto di queste ragazze che per istinto di sopravvivenza si trovano ad agire come forse mai si sarebbero aspettate. Perché la scelta di creare personaggi tutti al femminile?
La scelta è dovuta alla contemporaneità che stiamo attraversando. Ci è sembrato più efficace e realistico addossare al genere femminile la responsabilità di affrontare, di sopravvivere e tentare di vincere, un mondo che muta assumendo sempre più sembianze inquietanti e minacciose. Abbiamo ritenuto che fosse ancor più efficace in questo senso raccontare un manipolo di ragazzette adolescenti che per definizione sono esse stesse in mutamento, alla ricerca di una identità ancora da definire, aiutate in questo paradossalmente proprio dalle difficoltà della fuga.

4 – Come – e se – vi siete divisi, tra autori, per la caratterizzazione di queste figure?
Non abbiamo affidato a ognuno di noi il compito di scrivere una delle ragazzette. Ce le siamo raccontate tutte tutti insieme, ognuno ha contribuito a dare forma ai diversi tipi, le diverse personalità, le diverse oscurità che contengono o che le perseguitano ancor prima che la storia cominci. E da quel momento hanno cominciato a vivere, si può dire in autonomia, cosicché non è stato troppo difficile poi condurle lungo il cammino.

5 – Devo farvi i complimenti per lo stile univoco, un unico coro per un romanzo corale. Come ci siete riusciti?
Dopo le fasi dell’inventio collettiva, delle ipotesi di struttura, delle prime stesure, abbiamo lavorato per molto tempo sulle scritture, per renderle omogenee, e sulle linee narrative. Le competenze di editing della United Stories Agency e della casa editrice hanno contribuito all’intenzione di offrire ai lettori un romanzo corale.

6 – Il romanzo parla di amore, di dolore, di amicizia, di speranza. C’è molto di tutto questo, c’è anche tanta malvagità. Due poliziotti, il sovrintendente Cristoforo Marino e il vicecommissario Giustina Rebellin, dai quali ci si dovrebbe sentire protetti. È passato il tempo delle favole, nelle quali si riconosceva il mostro?
I mostri sono multiformi come il mondo che li produce. La mistificazione imperante li genera e dà loro la faccia più conveniente alla bisogna. Che in genere è quella di schiacciare tutti quelli che al gioco dell’inganno non ci stanno. Le nostre sei protagoniste sin dall’inizio sono minacciate e poi perseguitate da chi dovrebbe prendersi cura di loro o addirittura dovrebbe proteggerle. Cosa c’è di peggio?

7 – Massimo Torre scrive: “è stato intenso e impegnativo seguire queste sei adolescenti nella loro fuga stare al loro fianco momento per momento, parola per parola.” Questa gioventù spezzata, un futuro già compromesso, colpisce di più pensando che si parla di giovani?
I giovani sono le vittime a allo stesso la speranza. Vittime di un meccanismo che li blandisce ma gli consegna un futuro in cui neppure l’aria da respirare sarà sicura. Come l’acqua da bere se non acquistata a caro prezzo. Non sarà sicuro sopravvivere un giorno in più di quello presente. Allo stesso tempo sta a loro riuscire a fermare tutto questo. Riuscire dove noi abbiamo miseramente fallito. Rendere il mondo migliore e più giusto per tutti. Dei segni di questo ci sono. La speranza è l’ultima a morire. E Rachida, Lèa, Claudia, Anna, Domitilla e Teresa, tutte, la contengono.

8 – All’interno del romanzo leggo anche: “assenza di piena responsabilità nei casi di crimini minorili”. Un sistema per tutelare il loro futuro o minimizzare il problema? Credete che i crimini commessi da giovani siano dettati da una non piena consapevolezza?
Di sicuro la generazione dei sedici/diciassettenni è andata incontro, in un momento molto delicato del percorso di vita, a un periodo storico difficile. Pandemia, difficoltà di comunicazione con gli adulti e con gli stessi coetanei, riferimenti etici, educativi e culturali a volte labili, crisi economica, venti di guerra. È un mondo che cambia rapidamente, anche troppo. E lascia indietro molti di loro. Questo ha conseguenze sul comportamento, e se da una parte c’è un facile accesso all’informazione e all’interazione virtuale, più facile che per ogni altra generazione precedente, dall’altra non sempre c’è piena consapevolezza delle proprie azioni nel mondo reale. Come non sempre esiste consapevolezza delle inevitabili conseguenze.

9 – Patrizia Rinaldi scrive: Abbiamo raccontato la devianza minorile, quella vera. La fuga che queste adolescenti intraprendono è un viaggio attraverso il Paese, da Nord a Sud, che rappresenta anche il loro prendere le distanze con il loro passato, ma anche disintossicarsi da un mondo artefatto composto da finti beni di necessità. Cosa ne pensate?
La devianza delle ragazze esprime la difficoltà di adattarsi a norme comportamentali del loro gruppo di riferimento. I sistemi di valori, a cui le minori dovrebbero attenersi, non sono accettabili. Per esempio a Teresa vengono insegnati i valori di una famiglia mafiosa. Domitilla viene educata al fatto che il valore affettivo può essere assente, mentre non può mai essere trascurato quello del potere economico e dello status. Léa non accetta, come i suoi genitori, di subire un destino cristallizzato in un nucleo sociale privo di qualsiasi mobilità. Le regole, da cui le ragazze deviano, non sono regole giuste.

10 – E questo riporta anche al danno che i social hanno fatto e continuano a fare sulle menti più giovani, al processo mediatico ai danni di presunti colpevoli o, al contrario, alla beatificazione degli assassini, inaugurando perfino vie o piazze. Le stesse ragazze, a un certo punto, dicono: “Siamo famose come la Ferragni.” Dobbiamo riconsegnare ai giovani la vita vera?
La speranza è che siano loro a riconsegnarla a sé stessi. Come ogni generazione, anche questa dovrà fare i conti con le proprie debolezze, con i propri falsi miti, provare a superarli e andare avanti. La vita vera, inevitabilmente, aspetta tutti sulla porta di casa.

11 – Léa a un certo punto dice: “la nostra epoca ci ha allevati con il culto dell’individualità, pontificando sulla necessita di una irrinunciabile libertà personale. (…) È una cazzata. Non vogliono garantirci la libertà personale, ma l’incapacità di aggregarci in un sistema dissidente”. Come sempre succede: “Divide et impera” sembra il motto di questo particolare momento storico o c’è sempre stato?
L’individualismo è più forte oggi che in passato. Anche noi adulti siamo più concentrati su noi stessi, fatalisti, disincantati. E più lo siamo, meno ovviamente diamo fastidio ai “manovratori”. Ma ci sono segnali in moltissimi ragazzi, gli stessi che vediamo in Léa, di una gran voglia di ribellarsi, di lottare per un ideale. Quella voglia che un tempo è stata anche la nostra, e che presto, ci auguriamo, non potrà più essere ignorata.

12 – Il finale aperto anticipa che ci sarà un seguito di questo romanzo e lo aspetterò davvero con molta curiosità. Se c’è qualcosa che ci puoi raccontare…
Per ora, le ragazze sono in giro. Forse in futuro ci diranno dove e perché, come ogni personaggio che continua a vivere nella mente dei suoi autori. In quel momento, di sicuro, avremo altre cose da raccontare. Molte altre cose.

Intervista a cura di Cecilia Lavopa