Editore La Nave di Teseo / Collana Oceani
Anno 2023
Genere Thriller
384 pagine – brossura e epub
Traduzione di Andrea Silvestri
Diciamo la verità, quanti libri abbiamo letto sul razzismo? Ricordo uno tra i più belli: Il buio oltre la siepe di Harper Lee, un viaggio nell’America del Sud degli anni ’30 trasfigurato poi in un meraviglioso film con Gregory Peck nel 1962. Ma ne potrei citare tantissimi altri fino ai giorni nostri. Il razzismo è qualcosa che non si riesce a estirpare, si tramanda di generazione in generazione e solo attraverso un duro lavoro di scolarizzazione e di educazione civica si potrà migliorare il futuro che si prospetta per i nostri ragazzi in un’ottica di integrazione.
Molto più raramente, si sente parlare nei romanzi di linciaggio o, forse, il problema è solo mio (ricordo solo di recente Femi Kayode con “Il cercatore di tenebre”). Ma quando ho letto la trama de “Gli alberi” di Percival Everett, ero curiosa di leggere come l’autore avesse affrontato l’argomento utilizzando il genere thriller.
Inizialmente, lo stilema mi ha ricordato quel fare un po’ ironico e pungente di Joe Lansdale, la capacità di descrivere scene raccapriccianti con una battuta che quasi fa sorridere, ma che cela in sé tutta la rabbia che si nasconde come brace sotto la cenere, all’apparenza sembra non bruciare finché non la tocchi.
E io la tocco, quella rabbia, la sento. Una storia che nasce nel profondo Sud in America, un paese chiamato Money, nel Mississippi. Il mistero di due omicidi: due uomini bianchi, letteralmente massacrati, mutilati. A fianco dei loro corpi, un nero, anch’esso morto, che pare essere un ragazzo di nome Emmett Till, linciato per motivi razziali nel 1955. Seguendo le tracce del romanzo, scopro che Till è realmente esistito. Aveva quattordici anni e fu rapito, pestato brutalmente e dato in pasto a una folla di uomini bianchi che lo gettarono nel fiume Tallahatchie. Così come è realmente esistita anche Caroline Bryant, la donna che accusò Till settant’anni fa (nel romanzo è Nonna C.).
A distanza di più di cento anni e duecento tentativi di approvare un disegno di legge che classificasse il linciaggio come un crimine d’odio federale, punibile fino a trent’anni di carcere, il presidente Joe Biden ha firmato il documento che prende il nome Emmett Till Anti-lynching Act proprio in onore del ragazzo ucciso. Sicuramente è un primo passo verso un cambiamento che spero non preveda tempi così lunghi, ma non basta. Alla stregua del femminicidio, non basta una legge per fermare questo fenomeno. Anche perché come al solito si tende a perseguire anziché prevenire questi delitti.
Tornando al romanzo, Everett compie un’azione quasi chirurgica elencando, a un certo punto, una serie di nomi che all’apparenza sembrano inventati, ma ognuno di questi ha subito un linciaggio. Immergersi nell’orrore di questi avvenimenti, ha il potere di osservare a 360 gradi un fenomeno che non ha avuto pause, anche se i metodi ora si sono modificati. I personaggi che vengono descritti risaltano attraverso i dialoghi che l’autore ha creato i quali da un lato fanno sorridere (anche ridere, a volte), dall’altro sono sintomo di una mentalità, di un modo di vivere, che sembrano molto lontani da noi, mentre invece rischiano di essere (lo sono) sempre attuali.
Conosciamo i detective dell’MBI (Mississippi Bureau of Investigation) Ed e Jim, che vengono inviati per risolvere il caso, lo sceriffo di Money insieme alla sua combriccola di agenti, la curiosa Mama Z, dell’età di centocinque anni e che rappresenta la parte esoterica ma che in realtà alla stregua di una meticolosa ragioniera, ha creato un archivio con tanto di schedari per catalogare tutti i linciaggi avvenuti dalla sua nascita. Tutti contribuiscono a evidenziare quanto il razzismo, il pregiudizio, abbiano influenzato l’innocenza o la colpevolezza delle vittime.
A parte un inizio subito coinvolgente, ho fatto fatica a entrare nel mood della storia, aspettandomi da un momento all’altro qualche colpo di scena che non è mai arrivato, come a voler creare una routine nell’atto violento del linciaggio senza che questo venga mai percepito come qualcosa di eclatante, ma quasi che facesse parte della vita degli abitanti. Un adattamento che si forma dalla nascita e si consolida nel tempo, un atto che sembra inciso sulla pietra e che niente potrà scalfire, se non attraverso la comunicazione alle nuove generazioni.
Sono dell’avviso che, a volte, al di là di come si voglia trattare un argomento all’interno di un romanzo, è come il messaggio che lo contiene venga recepito forte e chiaro. E su questo concetto, Everett ha fatto centro: una volta chiuso il romanzo, la storia sedimenta e si cementa. Ho immaginato la vita di questi neri (o negri, come non politically correct indica l’autore e guai alla #cancelculture che non ci metta le mani), ai soprusi, agli stenti, alle occasioni mancate, alle offese ricevute, alle morti per futili motivi, ai sogni spezzati. A quanto siamo fortunati.
Proprio a febbraio di quest’anno, è arrivato in Italia il film “Till – Il coraggio di una madre” per la regia di Chinonye Chukwu. Il focus è incentrato sulla battaglia che la madre di Emmett fece per coinvolgere l’opinione pubblica nel perseguire i responsabili. Forse avrei evidenziato maggiormente, ed Everett lo compie nel suo romanzo, come il fenomeno del linciaggio continui a trasformarsi ma non a scomparire, come un virus nel sangue della popolazione. Spero trovino presto un vaccino.
Libro da leggere, e poi rileggere.
Cecilia Lavopa
Lo scrittore:
Percival Everett (1956), autore e professore presso la University of Southern California, ha scritto numerosi libri, tra i quali: Cancellazione (2001), Deserto americano (2004), Ferito (2005), La cura dell’acqua (2007), Non sono Sidney Poitier (2009), Percival Everett di Virgil Russel (2013). Ha ricevuto lo Hurston/Wright Legacy Award e il PEN Center USA Award for Fiction. Vive a Los Angeles.