Dan Turèll – Assassinio di Marzo

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Editore Iperborea
Anno 2016
Genere noir
252 pagine – brossura con alette
Traduzione di Maria Valeria D’Avino
Titolo originale: “Mord i Marts


20160209103309_261_copertina_webWonderful, wonderful Copenhagen, friendly old girl of a town” cantava Danny Kaye (e da noi la versione italiana fu di Gino Latilla e Carla Boni) nel 1952. La citazione d’apertura potrebbe porre falsi indizi sulla mia vetustà, ma è solo un modo subdolo di depistarvi: in realtà ho poco più di .. anni. Ecco. L’ho detto. Dunque, passiamo ad altro dato che non siamo qui per uno speed dating. Come da un po’ di tempo a quest’oggi, esce dalla borsa di Mary Poppins della mia pusher di libri ancora qualcosa di molto interessante. Dev’essere un periodo di bonaccia, approfittiamone. La novità arriva con un formato anomalo – 20 x 10 – molto simile a quello di una guida Baedeker ed è pubblicata da un editore specializzato in letteratura nordica, Iperborea. Visivamente e al tatto è un libro che già intriga anche per una bella copertina, stilizzata e accattivante. Ma com’è dentro? Datemi il tempo di spegnere lo stereo e vi rispondo.

“Assassinio di Marzo” è il quinto di una serie di dodici racconti – che fanno parte di quella che viene chiamata la Mord-serien ovvero la serie-assassinio dato che ogni libro ha un titolo dove la prima parola è “Assassinio”. Protagonista di questa serie è un giornalista che lavora in un giornale che si chiama Bladet – La Rivista – del quale non conosciamo il nome e che si racconta in prima persona. Ideatore di questo anomalo personaggio è uno scrittore che definire tale è riduttivo: Dan Turèll. Premetto che non lo conoscevo prima d’incontrarlo letterariamente in questo frangente, ma dopo essermi documentato su di lui sono rimasto decisamente stupito: poeta, giornalista, musicista… ottantasette (87!) titoli dal 1969 fino alla sua scomparsa nel 1993. Personaggio sopra le righe, animatore della scena culturale danese e uno dei più amati in patria, è stato una piacevole scoperta, grazie anche a una traduzione molto accurata.

Ci svegliamo una mattina di marzo danese in pieni anni settanta, in un giorno di quelli che sembrano finti. Il nostro giornalista freelance – in Danimarca era già una realtà allora – vive una vita apparentemente sregolata, ma molto più legata a delle costanti di quanto lui stesso non desideri. Routine che è necessaria, che lo fa sentire parte della sua città che, non passa volta, lui dimostra d’amare profondamente. Il mistero, il “caso”, arriva per caso (gioco di parole voluto) e irrompe nella quotidianità scandita e regolamentata. Il giornale vuole avere più lettori e allora, puntando al protagonismo che alberga più o meno fortemente in ognuno, lancia lo slogan “Ditelo al Bladet” venendo così “sommersi – giusta punizione – da lettere anonime e telefonate apocrife quasi tutte prive d’interesse per qualunque essere vivente con quoziente intellettivo superiore a quindici” (Ecco, quando sono arrivato a questa frase, nelle primissime battute del racconto, ho capito che mi sarebbe piaciuto). Tra le tante cose che arrivano, una busta con un biglietto anonimo “Dov’è Eric Liljencrone” sarà il punto di partenza per l’avventura del nostro giornalista.

Il racconto in prima persona ci porta in giro per Copenhagen sia di giorno che di notte, spesso la mattina molto presto, e nel suo ritmo più o meno sincopato si intravede la passione musicale di Turèll. I personaggi sono tratteggiati con la vivacità dei vignettisti, come quelli che troviamo nelle città turistiche e che con rapidi tratti di carboncino dettati dall’esperienza, mettono un pezzo di voi su un foglio di carta, traendone l’essenza. Poche parole, ma ben dosate, ci mettono in contatto con l’amico poliziotto, il capo del giornale, una fidanzata più giovane di lui attualmente incinta e così anche i comprimari entrano e escono dal palco sul quale la vicenda si svolge. Copenhagen rimane sullo sfondo, discreta fin quando serve, ma attiva e presente se necessario, come uno dei personaggi del racconto. C’è la Copenhagen monumentale, c’è quella più ferale, le prostitute, i locali equivoci, il sottobosco vivente della metropoli nordica non tanto dissimile da quello di tutte le altre grandi città.

La cosa più evidente di tutte? L’ironia. Turèll ha il raro dono di coniugare humor e situazioni pericolose che, attraverso questa sua lente distorta, paiono tutto fuorché tali. Entrare in un club, essere assalito da qualcuno con una chiave inglese, chiedere l’aiuto di un ex topo d’appartamento (non tanto ex…) per penetrare in una casa… ecco su tutto questo incombe la battuta, il calembour, il paragone assurdo che mette tutto quanto in una prospettiva sdrucciola. Piacevolissimo da leggere, merito anche di una bella traduzione a cui si deve molto, Turèll è consigliato a tutti quelli che vogliono scoprire come il “giallo nordico” sia in realtà nato molto tempo prima di quanto si possa pensare.

Michele Finelli
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Lo scrittore:
Dan Turèll (1946-1993), scrittore, poeta, giornalista e performer, ha attraversato da protagonista la scena culturale danese di fine Novecento. L’inesauribile produttività – 87 titoli dal 1969 alla prematura scomparsa – il sorridente antiautoritarismo e l’inconfondibile sarcasmo stupito ne hanno fatto uno degli autori più amati di Danimarca. Assassinio di lunedì fa parte di una serie di dodici gialli.