Derek Raymond – Stanze nascoste

2989

Editore Meridiano Zero
Anno 2011
Genere noir
352 Pagine – brossura
Traduzione di Federica Alba e Pamela Cologna

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Nato nel 1931, “Sir” Robin Cook, in arte Derek Raymond, da una famiglia dell’alta borghesia inglese, cresciuto tra Eton e il Kent, tra domestici e lusso. Deplorò fin da subito la vita noiosa e etichettata che i genitori conducevano, per dedicarsi a quella più pittoresca dei sottoposti, con la speranza di assorbire il più possibile dalle vite difficili e travagliate. Era ancora un ragazzino quando, nel 1940, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, ma aveva le idee ormai chiare sul suo futuro: crescere il più velocemente possibile e allontanarsi da una famiglia che ormai gli stava stretta. Frequentò la scuola a Eton, ma il suo Tutore sentenziò che, di lì a poco, Cook sarebbe stato “l’unico ragazzo che avesse mai conosciuto, su cui Eton fosse passato come aria fresca”.

In realtà, il concetto di istruzione negli Istituti era, a quell’epoca, di tipo generalista, senza soffermarsi troppo a concepire la letteratura come “passione”, ma imbinariare e, al contrario, tarpare idee che esulassero dalle regole comuni. Questo Cook non lo accettava. Una delle sue grandi passioni era scrivere poesie, ma il padre, che temeva ogni comportamento che differisse dal suo (era una persona molto insicura), non accettava un figlio che non rientrasse nei canoni prestabiliti di “bravo ragazzo”. Al contrario, lo considerava uno “scapestrato” e gli bruciò i suoi componimenti, cercando di riportarlo..sulla retta via. Ma in realtà, le origini della famiglia di Cook riportavano a un passato da contadini e loro erano semplicemente degli arricchiti.

Questa ribellione portò Cook a un’analisi profonda del proprio io, alla ricerca della conoscenza attraverso la sofferenza, perché solo attraverso la concretezza della vita reale si può prendere atto dei nostri limiti. Spesso ci comportiamo bene al di là di come siamo realmente, perché ciò che vogliamo essere è diverso da ciò che siamo e rifuggire dal nostro vero essere. Ci sono tanti passaggi del libro che ho dovuto appuntare, perché sono spesso momenti di riflessione su ciò che rappresenta scrivere noir per Cook, ma che porta alla conclusione che il noir è un percorso che conduce ad una riflessione sulla vita dell’autore, ma anche nostro, su una vita che forse non ci appartiene, comportandoci come ci viene imposto dalla Società, causando una percezione distorta di noi stessi. Il noir è anche un modo di parlare di vite disperate, che vengono trattate alla stregua di un po’ di polvere sotto il tappeto.

La scrittura è vista anche come strumento di terapia, per riuscire a raccontare in terza persona omicidi o atti violenti per esternare la propria rabbia e la propria violenza tramite carta e penna. Canalizzare le proprie frustrazioni attraverso la scrittura. E’ cresciuto con Dostojevski e Orwell, Chandler e Himes, con poeti come Paul Sartre e Bernard Spencer. Ha fatto suoi i motti “Il delitto è l’inizio del castigo”.
Conosce una crisi profonda nello scrivere “Il mio nome era Dora Suarez”, romanzo che non ho letto (e non so se lo leggerò..), storia brutale e spietata di una bellissima donna, assassinata a colpi d’accetta e la sua anziana amica Betty, anche lei uccisa in modo spaventoso. Il punto di rottura tra la ragione e la pazzia. L’immedesimazione con il racconto era talmente radicata, da considerarsi un assassino.

Inizialmente, avevo pensato a Cook come un Siddharta di Herman Hesse, con la netta contrapposizione fra i due che li rende simili e dissimili allo stesso tempo, uno che decide di allontanarsi per studiare se stesso attraverso un percorso filosofico e meditativo, l’altro invece alla ricerca dei valori reali di una società edulcorata, facendo della strada la sua casa, provando sulla propria pelle ciò che è bene, ma soprattutto ciò che è male. Ci sono frequenti riferimenti a “1984”, capolavoro di Orwell in cui la storia viene manipolata a tal punto da non conoscerne la vera origine. In cui ogni persona è sotto l’occhio vigile del “Grande Fratello” ed è così che lo scrittore ci porta alla sua verità. Credo che questo sia conseguenza anche del tempo che Cook ha passato in Francia, nel Paese dove Jean Claude Izzo, maestro della scrittura noir, ha vissuto e scritto i suoi capolavori.
Difficile restare illesi, difficile uscirne senza provare un senso di inadeguatezza e di interrogativi che, forse, meglio rimangano senza risposta ma…siamo poi sicuri che ciò che sappiamo di essere è realmente ciò che siamo?

Cecilia Lavopa

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Lo scrittore:
Derek Raymond era lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook, nato a Londra nel 1931 e ivi morto, al ritorno da una peregrinazione durata una vita, nel 1994.
Sottrattosi ben presto all’educazione borghese impartitagli dalla famiglia, ha iniziato a viaggiare vivendo, tra gli altri posti, in Marocco, in Turchia, in Italia, improvvisandosi nei lavori più improbabili: dal riciclaggio di auto in Spagna all’insegnamento dell’inglese a New York, dall’impiego come tassista alla carriera di trafficante di materiale pornografico. I suoi esordi nella carriera letteraria risalgono agli anni Sessanta, con opere chiaramente influenzate dall’esistenzialismo di Sartre. Un’influenza che riemergerà a partire dagli anni Ottanta nella sua serie noir della Factory a cui questo romanzo appartiene. L’opera di Raymond vive di assoluta originalità nel panorama dell’hard boiled internazionale.