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foto tratta da Marsilio Editori |
1. Mi piace che siano gli scrittori a raccontare qualcosa di loro. Lascio quindi a Lei la presentazione di chi è Domenico Cacopardo, le sue origini.
DC: Figlio di un siciliano (Letojanni) e di una emiliana(Monticelli d’Ongina) sono vissuto nell’isola sino a undici anni. E ci sono poi tornato ogni anno sino al 2006, quando ho venduto la casa di famiglia. Giudicavo invivibile il luogo soprattutto dal punto di vista delle relazioni umane.
2. Magistrato, scrittore, conduttore radiofonico. In quale misura queste attività incidono nella Sua vita, nel Suo quotidiano?
3. Ho letto che, per lavoro, è vissuto in varie città italiane. Ce n’è qualcuna a cui è rimasto particolarmente legato e perché?
DC: Roma è la città che amo di più. E dove torno sempre volentieri. Certo, amo molto Parigi, moltissimo Budapest, molto New York. Ma Roma è un’altra cosa.
4. “Il caso Chillè”, romanzo storico pubblicato nel 1999, è stato promosso a pieni voti dalla critica letteraria, che lo ha etichettato come un vero e proprio giallo. Com’è scaturita l’idea? Quanto ha contribuito la definizione assegnata al romanzo, per proseguire nella scrittura del genere giallo?
DC: Non credevo di avere scritto un libro giallo, quando ho pubblicato “Il caso Chillé”. Avevo raccontato fatti veri accaduti prima e dopo la prima guerra mondiale con protagonisti reali, appartenenti alla mia famiglia (in senso lato). Il primo giallo è “L’endiadi del dottor Agrò” e nasce da un ricatto. Il ricatto di Cesare De Michelis, allora padrone della Marsilio. Gli avevo dato il romanzo storico poi pubblicato con il titolo “Carne viva”. Mi disse: “Mi piace. Te lo pubblico se mi fai un giallo.” Io avevo, tra i novantasei racconti, romanzi brevi e lunghi, e semplici abbozzi, una storia “La strana storia di Catenio La Strada”. La misi in condizioni d’essere pubblicata. E il libro andò ancora meglio de “il caso Chillé”.
5. E’ stato difficile farsi pubblicare i Suoi romanzi?
DC: No. Inviai “Il caso Chillé” a Gianarturo Ferrari e a Cesare De Michelis. Il primo lo accettò salvo dichiarare che sarebbe uscito di lì a un paio d’anni. De Michelis lo prese e lo pubblicò subito.
6. La Sicilia ha “regalato” alla letteratura scrittori illustri che hanno fatto la storia: da Sciascia, a Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Giovanni Verga ecc.
Come si è evoluto – se lo è, ovviamente, secondo Lei – il modo di scrivere? Oggi forse si punta il dito su problematiche diverse?
DC: Si tratta di una domanda alla quale non so rispondere. Gli scrittori che lei cita hanno raccontato quello che ritenevano di raccontare senza tesi precostituite. La loro poetica è personale, ma non meramente tematica. Raccontano l’uomo e, quindi, l’umanità.
Temo molto coloro che scrivono scegliendo una ‘tematica’. Di recente mi chiesero un racconto di genere ecologista: declinai l’invito spiegando che non sono capace di scrivere ‘su ordinazione.’
7. I suoi romanzi si svolgono prevalentemente in Sicilia e raccontano uno spaccato della vita di questa regione. Quanto pensa sia stato fatto e quanto si potrebbe ancora fare per la Sua terra? Può la letteratura coinvolgere il lettore sugli aspetti politici e burocratici reali senza trasformare il romanzo in un libro denuncia?
DC: Il libro libero senza tesi precostituite è quello che può in realtà fare riflettere più dei libri a tesi. Il libro libro racconta la meta storia d’Italia molto più indicativa di mille trattati a tesi o storiografici.
8. Italo Agrò, il personaggio dei Suoi romanzi, è un personaggio controverso. Da un lato, malinconico e negativo “..saggezza di Sicilia, ammantato di pessimismo cosmico..”, dallo sguardo gelido e distaccato. Dall’altro, è un uomo romantico e prodigo di attenzioni verso la sua donna. Ma qual è la sua vera natura? E’ qual è il suo rapporto con le donne?
DC: È una persona sensuale e con una onestà di fondo.
9. Quali aspetti ha in comune con il suo personaggio?
DC: Non so. Chi conosce me e Agrò può risponderle.
10. Ho letto con interesse le citazioni di Quasimodo sparse nelle trame. Una, in particolare, tratta dal Suo ultimo romanzo “Agrò e la scomparsa di Omber”, dove scrive: “L’uomo si prova eroe d’astuzia e d’ingiustizia”. Pensa davvero che l’uomo sia un eroe positivo e negativo? In che modo, secondo Lei?
DC: La categoria ‘uomo’ ha di recente espresso Bagarella e Riina, Falcone e Borsellino. Le basta?
11. Altra citazione del Suo libro: “I delinquenti sono prevedibili..Basta essere attenti e osservare e osservare.” Ma noi italiani siamo osservatori? Ci accorgiamo di quello che succede intorno a noi?
DC: Tremendamente provinciali, osserviamo solo ciò che succede a un metro da noi. Il mondo ci sfugge. Per fortuna che c’è una massa sempre crescente di giovani che va a studiare e a lavorare all’estero. Aprono la loro mente e aiutano ad aprire quella di coloro che vivacchiano nel bel Paese.
12. Cosa ne pensa dell’editoria italiana? Crede dia abbastanza spazio agli scrittori per esprimersi?
DC: L’editoria italiana è affetta da un insano familismo che la rende sclerotica e incapace di rinnovarsi (come le università). Ancorata a vecchi schemi (vedi QT), ormai opera, al netto del familismo, come il Milan football club: centinaia di calciatori sotto contratto e se qualcuno emerge ci si lucra sopra. A ciò si aggiunga che è scomparso il ruolo tradizionale di lettore e di editor di casa editrice. Operano editor in comparaggio con agenti e con direttori editoriali. Un altro circuito vizioso che monopolizza larga parte del mercato editoriale.
Grazie di essere stato con noi e alla prossima!
Qui la recensione di Agrò e la scomparsa di Omber