Intervista a Marco Piva Dittrich

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foto di Dusty Eye
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Vorrei inaugurare in vostra compagnia, un nuovo spazio dedicato ai traduttori, il cui lavoro è forse meno conosciuto ed apprezzato.

Oggi conosciamo Marco Piva Dittrich, padovano di nascita e scozzese di adozione. Ha tradotto il romanzo di Victor Gischler “Sinfonia di piombo”, in libreria da poche settimane, e “Dietro le sbarre” di Allan Guthrie, in uscita a marzo, entrambi per la neonata  Revolver Libri , che ci regalerà molte sorprese, a mio avviso!

1. Parliamo di te:
Presentati da solo, magari spiegando con quale lavoro hai cominciato la tua carriera.
M.: Sono cresciuto a Padova e vivo a Fairlie, sulla costa occidentale della Scozia. Sono appassionato di rugby, musica e wrestling. Nel tempo libero mi sono laureato in lingue (inglese e spagnolo) e ho preso l’abilitazione per insegnare inglese in Italia, ma poi mi sono trasferito in Scozia. Scrivo le introduzioni per i progetti discografici della rivista finlandese Colossus e sono un collaboratore fisso del sito di recensioni musicali MovimentiProg. Suono il basso nei Mojo Dodge, una band di hard rock che cerca di essere un po’ fuori dagli schemi. Al momento siamo “in pausa” ma presto entreremo in studio.
2. Come sei approdato alla traduzione e con quale casa editrice?
M.: Come tanti, ho iniziato a tradurre per fare un piacere a qualche amico. Ho poi continuato focalizzandomi su documenti ufficiali, contratti, manuali e articoli vari. Il primo romanzo da me tradotto e pubblicato è quello che hai indicato nella premessa di Gischler, e poi quello di Allan Guthrie.
3. Allora, sei italiano, vivi in Scozia e collabori per una rivista finlandese…curioso, no? Che tipo di musica tratta la rivista? E in quali Paesi è distribuita?
M.: Colossus è una rivista che tratta di progressive rock. Ho scritto per loro qualche recensione, ma adesso mi concentro esclusivamente sui loro progetti musicali. Colossus, con la collaborazione della MUSEA Records pubblica periodicamente CD dedicati a un’opera letteraria (o, in un paio di occasoni, cinematografica) di grande rilievo. Parliamo dell’Odissea, della Divina Commedia, del Kalevala… roba a quei livelli. In molti di questi CD io mi sono occupato di scrivere la presentazione all’opera originale, e in quasi tutti ho tradotto in inglese testi scritti in italiano.
Colossus esce solo in Finlandia (e in lingua finlandese, io scrivevo in inglese e poi venivo tradotto), i CD sono distribuiti a livello internazionale.
4. Visto che ti occupi anche di musica, che ne dici di associare un pezzo ai libri che hai tradotto?
M.: Un solo pezzo è difficile, ma mi piace questo tipo di sfida.
Per “Sinfonia di piombo” serve qualcosa di Johnny Cash, qualcosa con venature country ma che sia anche duro, arrabbiato.
“There’s a man goin’ ‘round takin’ names,
And he decides who to free and who to blame.
Everybody won’t be treated all the same”
Sì, “The Man Comes Around” ci sta bene.
“Dietro le sbarre” è diverso. Senza anticipare niente del libro… forse “Nothing Ever Happens” di Del Amitri. È meno immediato del connubio Cash/Gischler, ma secondo me ci sta.
5. Quali difficoltà incontri nell’approccio di un libro?
M.: Ogni libro è diverso, ovviamente. La cosa più difficile è passare da uno all’altro senza pause, motivo per cui se posso cerco sempre di prendermi almeno due giorni tra l’uno e l’altro. Le prime cinquanta pagine sono sempre le più complicate, anche se si tratta di un autore che magari ho letto, perché devo entrare nel tono, nella storia, nella testa dell’autore. Sono quelle che rileggo e rivedo più spesso mentre procedo con un libro.
6. Come ti organizzi nella traduzione? Raccontaci la tua giornata tipo.
M.: Niente di speciale, a dire la verità. Traduco al mio portatile, in una stanzetta di casa mia adibita a studio. Incollo il romanzo completo su un documento di Word e man mano che un paragrafo è tradotto in italiano ne cancello il corrispondente inglese. Tutto questo mantenendo il testo completo originale a portata di mano, naturalmente. E mi preparo un piano di lavoro, quante pagine devo tradurre ogni giorno.
Avere della musica di sottofondo mi aiuta a concentrarmi a patto che non ci sia del cantato in italiano, che invece mi distrae. A volte uso last.fm (se volete sapere che cosa ascolto mi trovate come MarcoP-D), ma più spesso sono CD. Uso soprattutto dizionari on-line, WordReference e Garzanti sono quelli che sono più abituato a consultare. Ogni tanto faccio brevi pause su Facebook, pause più lunghe per pranzo e cena. Per fortuna che a mia moglie piace cucinare… Ah, e divento matto se non ho niente da bere, tè se è freddo e succo di frutta se è caldo.
7. Cerchi di conoscere bene i personaggi per poterli caratterizzare nel modo giusto?
M.: È necessario. Certo, ovviamente meglio un libro è scritto più facile è caratterizzarne i personaggi ma spesso mi trovo a tornare indietro a cambiare qualcosa, man mano che vedo un personaggio prendere forma. Mi faccio un’idea prima, il più chiara possibile, ma la forma definitiva la prendono solo alla fine della traduzione, quando la rileggo.
8. Conosci gli scrittori per i quali traduci i libri? Ci deve essere una sorta di “simbiosi” tra il traduttore e lo scrittore per rendere il giusto significato del romanzo? E come fai a mantenerne il carattere?
M.: Sarebbe bello poterli sempre conoscere di persona. Victor Gischler lo ho incontrato al festival SugarPulp di Padova quando avevo appena iniziato a tradurre “Sinfonia di piombo”. È stata una splendida esperienza visto che Victor è una persona simpaticissima e molto disponibile, ma non mi ha aiutato troppo nella traduzione del suo romanzo. Trovo più importante apere qualcosa dell’autore, ma per quello basta una ricerca un po’ approfondita su Google. E ovviamente avere almeno un’idea degli altri romanzi che ha scritto.
La “simbiosi”, come la chiami tu, si crea appunto sforzandosi di mantenere il carattere del testo. È importantissimo capire in che stile l’autore scriva, quindi bisogna leggere il romanzo, anche in fretta, prima ancora di pensare ad iniziare a tradurlo. Se possibile è utile leggerne anche almeno un altro, tanto per farsi un’idea. E poi, quando si è di fronte al romanzo, bisogna cercare di attenersi il più possibile alla forma originale.
9. Ho avuto modo di leggere praticamente tutto di Gischler, oltre ad averlo conosciuto ad una presentazione a Milano. Com’è tradurre per lui? Usa un linguaggio tipo “slang” nei suoi romanzi o è facile da interpretare?
M.: Gischler non usa troppo slang. Certo, ci sono espressioni che magari mi hanno creato dei problemi, ma più che altro perché non sapevo come tradurle, non perché non le capissi. I giochi di parole sono molto difficili da rendere, così come gli insulti razzisti nei confronti degli italiani. Una lingua di solito non ha insulti rivolti al popolo che la parla, quindi ho dovuto usare espressioni leggermente ridicole come “mangiapasta” e “mangiaspaghetti”.
10. E Allan Guthrie? Essendo scozzese, presumo sia stato più facile per te. E’ così?
M.: Sì, anche quando usa espressioni regionali mi è venuto più facile tradurle. Per carità, io abito dalle parti di Glasgow e lui a Edimburgo, che anche se sono a meno di cento chilometri di distanza è come dire Milano e Roma dal punto di vista del dialetto, ma sicuramente la lingua di Guthrie è più vicina a quella che sento parlare al pub rispetto a quella di Gischler.
11. Dopo tante storie da tradurre, hai mai avuto voglia di scriverne una tua?
M.: In realtà ho iniziato a scrivere molto prima di essere in grado di tradurre, già a quattordici anni ho scritto un breve giallo. In quel periodo avrei voluto scrivere come Agatha Christie, Isaac Asimov o Stephen King. Nel tempo libero dalle traduzioni scrivo noir e fantascienza e partecipo al Glasgow Science Fiction Writers’ Circle, mi ispiro a Joe Hill, Neil Gaiman e Joe Scalzi. E a Matteo Strukul. Purtroppo finora ho visto un solo, brevissimo racconto pubblicato: “The Creation”, nel booklet del CD “Disorganicorigami” dei DAAL.
12. Ti è capitato di portare avanti la traduzione di vari libri contemporaneamente? Se si, come riesci a tenere separate le varie storie?
M.: No, non mi è mai successo con la narrativa. Se capita ti faccio sapere.
13. Raccontaci qualche aneddoto su un pezzo che hai tradotto.
M.: In “Sinfonia di piombo” – anzi, in “Shotgun Opera” – c’è un personaggio soprannominato Jack Sprat, un ometto magrissimo, la cui moglie è un donnone. Il soprannome viene da una filastrocca, “Jack Sprat could eat no fat/His wife could eat no lean/And so between them both, you see/They licked the platter clean”. In italiano una filastrocca del genere non ce l’abbiamo. Allora ci ho pensato per un po’, e alla fine ho chiamato lui Acciuga e lei una balena. Almeno il senso è lo stesso…
14. Quanta gratificazione c’è nel vedere la pubblicazione di un libro tradotto da te? E, a tuo avviso e ascoltando anche l’esperienza di tuoi “colleghi”, il lavoro del traduttore viene sempre riconosciuto appieno?
M.: La cosa migliore per un traduttore è leggere le critiche e le recensioni del romanzo e non vedersi nominati se non nei crediti del libro. Il traduttore è come il bassista di una band rock (e indovina che strumento suono): lo si nota davvero solo quando fa una grossa cappella. Nella mia esperienza il lavoro di traduttore è riconosciuto a sufficienza dalle case editrici, e mi ha fatto molto piacere ricevere un ringraziamento da Victor Gischler. Personalmente, se vedo che un romanzo che ho tradotto piace, sono soddisfatto del mio lavoro. Certo, “Sinfonia di piombo” è un bel romanzo perché l’autore è un genio del suo genere, ma sono contento di essere stato in grado di rendere al meglio la sua voce.
Alla prossima traduzione, grazie Marco!