Intervista a Bruno Morchio

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Foto di Bruno Morchio

 

Oggi sul mio blog un ospite d’eccezione, Bruno Morchio. Classe 1954, vive e lavora a Genova come psicologo e psicoterapeuta. Si è laureato in letteratura italiana con una tesi sulla Cognizione del dolore di Gadda. Ha pubblicato vari articoli su riviste di letteratura, psicologia e psicoanalisi. È autore di tre romanzi che hanno per protagonista il detective Bacci Pagano, più volte ristampati (Bacci Pagano. Una storia da carruggi; Maccaia. Una settimana con Bacci Pagano; La crêuza degli ulivi. Le donne di Bacci Pagano).

1. Benvenuto. Presentati da solo, magari raccontandoci chi era Bruno Morchio prima di diventare scrittore e chi è ora, a distanza di parecchi libri pubblicati.
B.: Un professionista che trascorreva la maggior parte del suo tempo con i pazienti, nel servizio e nello studio privato. Con una moglie e due figli ormai abbastanza grandi da cominciare a compiere le scelte importanti della loro vita. Appassionato del mare, della pesca e della politica. Però, evidentemente, qualcosa mancava…

2. In quale definizione a te attribuita dalla stampa ti riconosci maggiormente e perché?
B.: Autore di noir mediterranei: perché credo che questo sia il genere di letteratura più congeniale alla mia scrittura.

3. Com’è nato il personaggio di Bacci Pagano, così amato dai tuoi lettori?
B.: E’ figlio della letteratura, soprattutto dei grandi detective le cui storie che mi hanno appassionato: Marlowe, Carvalho e Fabio Montale; naturalmente queste lezione magistrali si sono imbevute della mia storia, della mia gente e della mia città, al punto che Bacci Pagano presenta tratti originali, unici, non è una copia di nessuno dei personaggi creati dai maestri che ho citato.

4. Hai ambientato le sue storie sia all’estero, che in Italia, nella tua Genova. Quali gli ostacoli e quali i vantaggi di queste scelte?
B.: Raccontare la città resta per me un punto fermo, una sorta di stella polare della narrazione. Due romanzi presentano viaggi all’estero: Le cose che non ti ho detto (dove la Thailandia è tutta letteraria, mutuata da Vazquez Montalban) e Colpi di coda, dove invece descrivo una Berlino che conosco e amo molto, e dove non perdo occasione di ritornare.

5. Leggo una spiccata predilezione per il noir e per l’attenzione alla persona, ancor prima della società. Quale impatto emotivo ha su di te questo genere? Credi che in qualche modo sia stato influenzato dalla professione di psicologo?
B.: Non direi. La scelta del noir è istintiva, legata al fatto che ormai la gabbia del genere è saltata e il procedimento di indagine consente di affrontare i grandi temi del nostro tempo scandagliando ambienti, personaggi e meccanismi sociali senza aprioristiche costrizioni formali o di contenuto.

6. Quanto è importante la storia e quanto l’interiorizzazione dei personaggi?
B.:  La storia è sempre importante, perché rappresenta il nucleo drammatico che permette ai personaggi di mostrare la propria interiorità non descrivendola in astratto ma “facendola danzare” (come diceva Isadora Duncan) nei dialoghi e nell’azione. Inoltre l’uso della prima persona mi consente di filtrare il tutto attraverso il punto di vista di un personaggio, Bacci Pagano appunto, senza appesantire il racconto con psicologismi che nel noir vanno sempre evitati. In fondo concordo con Manchette sul fatto che un certo tasso di “behaviorismo” giova alla scrittura e che il mondo interno dei personaggi vada solo suggerito al lettore attraverso il loro muoversi sulla scena.

7. Raccontaci di Genova. E’ una città che si presta facilmente ai tuoi racconti? Pregi e difetti.
B.: In due parole: Genova è un paradosso. Chiusa e insieme tollerante, provinciale e aperta al mondo, decadente e vecchia e piena di entusiasmi. Chi la salva è il porto, che la costringe a guardare fuori da se stessa; anche la lunga storia operaia ha lasciato una traccia profonda che però temo sia destinata ad esaurirsi.

8. Le trame dei tuoi libri, toccano spesso tematiche sociali quali l’immigrazione e la situazione degli stranieri in Italia – in “Bacci Pagano cerca giustizia” – o quello della prostituzione, donne che vivono ai margini della società e provate di qualsiasi diritto – in “Rossoamaro”. Quanto è importante la denuncia sociale, attraverso la scrittura dei romanzi, rispetto ad una storia di pura finzione? Pensi che in qualche modo i lettori si sentano più coinvolti, quando si tratta di vita vera? Può servire a dare maggiore sensibilizzazione?
B.: Penso che chi scrive sia investito di una qualche responsabilità morale verso il pubblico e la società. La scrittura è anche un atto politico. Non inteso come propaganda, ma come conoscenza. La letteratura e la fiction (quando sono buone) costituiscono strumenti di conoscenza della realtà molto più efficaci della cronaca, perché raccontano le vicende umane dall’interno, a partire dal vissuto di chi vi è implicato.

9. Secondo te, quanto è conosciuto ma, soprattutto, rappresentato il noir in Italia e quali scrittori, a tuo avviso, meglio lo tratteggiano.
B.: Il noir ha portato i libri nelle case della gente, non come oggetti di culto da esibire o per arredare ma essere letti (divorati, mi viene da dire), ha dato a milioni di persone il gusto di leggere narrativa. In un paese poco alfabetizzato come il nostro questo non mi sembra poco. Tra i migliori scrittori del desolante panorama italiano (ed europeo e americano, pur meno desolanti) ci sono autori che scrivono o hanno scritto noir: basti pensare a Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Giancarlo De Cataldo e, naturalmente, Camilleri.

10. L’ultimo romanzo che hai pubblicato, per Garzanti Editori, è “Colpi di coda”. Ce ne vuoi parlare?
B.: E’ una spy story ispirata agli ultimi libri del più grande autore del genere: John Le Carré. Scriverlo mi è costato lacrime e sangue, perché la spy story ha le sue regole e, volendo scrivere un libro breve, ho finito per scriverne uno di quasi 500 pagine. Affronta il tema del cosiddetto “scontro di civiltà” e si svolge nel periodo tra l’elezione di Obama e il suo insediamento alla Casa Bianca. Ha un respiro internazionale, anche se la vicenda si svolge quasi per intero a Genova. Mi interessava affrontare il tema dei rapporti tra mondo arabo e occidente senza preconcetti facendo emergere il carattere ideologico e mistificatorio delle guerre scatenate dagli Stati Uniti durante la sciagurata era Bush.

11. Che rapporto hai con i tuoi lettori? Ti hanno mai influenzato sulle tue scelte?
B.: Con i lettori ci parliamo alle presentazioni e quasi quotidianamente su Facebook. Non prendo mai sottogamba i loro suggerimenti, non per ragioni commerciali ma perché credo che un personaggio letterario seriale finisca per diventare una specie di “bene comune”, qualcosa che non appartiene più esclusivamente al suo autore, e chi lo ama e lo aspetta in libreria meriti di essere ascoltato. Nel prossimo romanzo, per esempio, Bacci “will fall in love” e questa è una sollecitazione venuta da tempo dai lettori: il problema era che io non ero pronto per affrontare il tema.

12. Se dovessi associare una canzone al tuo libro, che titolo le daresti? (Questa è facoltativa…è un gioco che faccio con tutti gli scrittori che intervisto)
B.: Se il libro è “Maccaia” senz’altro Genova per noi di Paolo Conte.

Grandissime risposte per un grande scrittore, a cui faccio un grande in bocca al lupo per il suo ultimo romanzo!