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foto di Valerio Varesi |
Oggi ospitiamo sul blog di Contorni di noir Valerio Varesi!
Valerio Varesi ha vinto il Premio Franco Fedeli e il Premio del Giallo e del Noir Mediterraneo con il romanzo Oro, incenso e polvere.
Valerio Varesi ha vinto il Premio Franco Fedeli e il Premio del Giallo e del Noir Mediterraneo con il romanzo Oro, incenso e polvere.
Nel 2009 ha ricevuto il premio alla carriera Lama e Trama (Per avere impresso al giallo italiano suggestioni paesaggistiche e complessità psicologiche degne della grande letteratura). Nel 2010 vince il Premio Serravalle Noir. Nel 2011 è finalista al Premio CWA International Dagger con il romanzo River of Shadows, versione inglese di Il fiume delle nebbie e vince il premio del Festival del Giallo e del Noir Mediterraneo con il romanzo “E’ solo l’inizio, commissario Soneri” il quale, con il volto di Luca Barbareschi è approdato in Tv nella serie di sceneggiati Nebbie e Delitti su Rai Due nel novembre 2005 (al fianco di Barbareschi c’era anche Natasha Stefanenko).
1. Ciao Valerio e benvenuto. Hai una lunga biografia e vorrei ne parlassi tu. Chi sei e cosa fai?
V.: Ma io sintetizzo rapidamente: sono uno scrittore che ama definirsi eclettico in quanto salto da un genere all’altro. Ho scritto romanzi noir con il personaggio del commissario Soneri, protagonista anche di una fortunata serie tv (“Nebbie e delitti”, 14 puntate su Rai2), romanzi che prescindono da trame di questo tipo (“Le imperfezioni”) e romanzi storici come l’ultimo, “La sentenza”. Faccio il giornalista a Repubblica, sono nato a Torino, ma sono di origine parmigiana e Parma è la città in cui sono cresciuto anche se adesso vivo in provincia.
2. Hai cominciato parecchio tempo fa a pubblicare romanzi, il primo nel 1998 intitolato Ultime notizie di una fuga, in cui compare per la prima volta il commissario Soneri. Come ti è venuta l’idea e perché scrivere un giallo?
V.: L’idea nasce da un fatto di cronaca (la scomparsa della famiglia Carretta) che ho seguito per alcuni giornali nel corso di nove anni. Così, m’è venuta voglia di raccontarlo come un romanzo. Ho scelto il giallo perché, soprattutto negli anni ’90 in Emilia, questo genere narrativo aveva espresso forti capacità di rappresentazione della realtà. Tuttora credo nella potenzialità del giallo-noir di scavare, attraverso l’indagine su un delitto, nelle tensioni sociali e del giorni nostri. In questo, il giallo assurge al ruolo di romanzo sociale.
3. Di thriller, gialli ecc. sono piene le librerie, cosa ne pensi? Credi ci siano ancora storie da raccontare?
V.: Storie da raccontare ce ne sono sempre, il problema è il come si raccontano. Noto che la tendenza prevalente è quella di creare personaggi un po’ strampalati che divertano il lettore interpretando indagini che ricalcano il giallo conandoliano ad andamento enigmistico. Oppure, altra tendenza molto in auge, si scrivono romanzi molto sanguinolenti dove accadono tanti delitti tipo serial killer. Io non credo a queste strade anche se fanno vendere parecchio. La mia idea di giallo-noir è quella che ho esposto prima: delitti che permettano uno scavo archeologico alla ricerca del perché capita che qualcuno uccida. Cercare la ragione del male significa indagare sul nostro malessere sociale, sul nostro disagio. Inoltre credo che si sia formata una bolla speculativa su questo genere narrativo: ci sono troppi scrittori che si avventurano nel giallo con poca consapevolezza.
4. Come si fa a colpire i lettori attraverso la propria scrittura e quale elemento dei tuoi romanzi vorresti loro imprimere?
V.: Carla Tanzi, che fu presidente della Frassinelli-Sperling, la mia casa editrice, disse che io scrivevo “gialli letterari”. E’ la definizione che tuttora ritengo più calzante. I miei romanzi ambiscono a una scrittura letteraria dove il paesaggio è protagonista assoluto e dove predomina un’atmosfera che considero una sorta di “correlato oggettivo” dello stato d’animo dei protagonisti. In realtà, io uso il giallo per raccontare altro. Un mondo e le sue contraddizioni che si appalesano attraverso l’indagine.
5. Hai ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. A quale di questi sei più legato e per quale motivo?
V.: Tutti i riconoscimenti hanno avuto motivazioni che considero calzanti con la mia scrittura, ma se dovessi dare una preferenza direi il premio Scerbanenco del centenario assegnatomi nel dicembre scorso. Non perché gli altri siano inferiori, ma per il semplice fatto che mi ritengo uno scrittore nella scia di questo grande misconosciuto. Anche per lui la tensione prevalente nei libri gialli era la ragione del male e le sue scaturigini.
6. Che cosa vorresti trasmettere attraverso i tuoi romanzi? Raccontare una bella storia, caratterizzare i personaggi, o esprimere una morale, un disagio sociale, un’emozione?
V.: Rispondo spiegando quali sono i requisiti che io chiedo a un libro quando mi metto nella parte del lettore. Indirettamente è un po’ la mia poetica. Per primo chiedo che il libro abbia una trama ben vivida che resti impressa come può rimanere impresso un apologo. Poi che esprima dei personaggi in grado di “bucare” la pagina e presentarsi come persone di fronte al lettore. Il terzo requisito è che lo scrittore mi rappresenti un’idea di mondo, una decodificazione della realtà magmatica dal suo punto di vista. Insomma, la sua visione delle cose con la quale si può essere d’accordo o polemizzare, ma che sia un’interpretazione originale in grado di fare riflettere. Infine chiedo una scrittura letteraria che si opponga alla “peste del linguaggio” e sappia dar forma alla storia. In letteratura la forma è il contenuto.
7. In una tua intervista, ho letto che avresti voluto scrivere il libro “Casa d’altri” di Silvio D’Arzo. Ci spieghi perché?
V.: Le ragioni sono quelle che ho appena esposto. Mi sembra perfetto come un caso di scuola. E si badi bene che, in sé, potrebbe sembrare una storia banale: una vecchia stanca di una vita grama va a chiedere al parroco il permesso di suicidarsi. Detta così è al massimo una stravaganza, ma nelle mani di D’Arzo diventa una storia straordinaria.
8. I lettori si sono affezionati al commissario Soneri, protagonista delle tue storie. Tanto che è approdato in Tv nella serie di sceneggiati Nebbie e Delitti, nel 2005, con il volto di Luca Barbareschi e la partecipazione di Natasha Stefanenko. Ce lo vuoi descrivere? Punti di forza e di debolezza.
V.: Soneri è un personaggio che si può amare o detestare, ma resta comunque ben caratterizzato con le sue manie e le sue fisime comportamentali. Barbareschi l’ha rappresentato molto bene. Le debolezze, narrativamente parlando, sono legate alla serialità che può indurre dipendenza sia nel lettore che nell’autore, e alla struttura del giallo che costringe chi scrive dentro una gabbia obbligata. Proprio per questo, il giallo è poco adatto a raccontare storie in cui non ci sia un delitto o una vicenda nera. Infatti, io ne sono evaso spesso. Da ultimo con “La sentenza”, romanzo storico su una vicenda di guerra partigiana con riflessi sull’oggi.
9. Cosa ne pensi dei lettori di oggi? Sono attenti, selezionano i romanzi, onnivori o svogliati?
V.: Credo che negli ultimi vent’anni il gusto degli italiani si sia notevolmente involgarito per l’azione della televisione spazzatura che ha ammanito programmi stupidi e telefilm che hanno affermato una realtà fittizia spacciandola per quella reale. In questo includo le grandi serie poliziesche americane in cui succedono cose inverosimili e dove tutto avviene a velocità supersonica. Tutto questo condiziona il lettore che ha smarrito il gusto per la letterarietà e per le cose che richiedono impegno e fanno riflettere. Per fortuna c’è uno zoccolo duro che resiste e continua a scegliere la qualità in un mondo in cui predomina la leggerezza, non quella del Calvino delle “Lezioni americane”, ma quella che è parente col vuoto. Se oggi nascesse un nuovo Proust non troverebbe un editore che lo pubblichi.
10. Vizi e manie di Valerio Varesi quando scrive..sempre che tu abbia voglia di svelarlo!
V.: Ti sembrerà strano, ma il fatto che faccio il giornalista e quindi sono abituato a scrivere in fretta di tutto e ovunque, mi mette al riparo da tic e vizi. Scrivo in ogni luogo appena ho un po’ di tempo: in montagna, al mare, a casa mia e a casa d’altri. Mi basta avere il computer.
11. Immaginiamo che tu abbia a disposizione uno spazio in cui pubblicizzare i tuoi romanzi..dì una frase per convincere i lettori.
V.: Gli spazi sono pochi per tutti. Il libro è una “merce” senza avere la prerogativa delle altre merci, prima di tutto la pubblicità. Se uno ha la fortuna di andare in un programma tv molto visto, va bene, sennò si affida al passaparola e al lavoro di presentazione dell’autore che va incontro ai lettori. Io faccio 70-80 presentazioni all’anno, ma non so usare bene i social network anche perché temo di essere invadente. Per convincere i lettori dico che io non scrivo mai niente se non sento profondamente la storia che voglio raccontare. C’è una genuinità di fondo in quello che pubblico.
12. Concludiamo chiedendoti a quali progetti stai lavorando.
V.: Sto consegnando un romanzo molto corposo che parla di un comunista rivoluzionario il quale ha attraversato gli anni dal ’45 agli Ottanta, vale a dire il periodo che va dalle grandi speranze politiche del dopoguerra alla fine della politica con l’avvento del liberismo economico imposto dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra. Lì la politica come arte dell’organizzare una comunità secondo regole è morta per lasciare campo libero all’economia e al pensiero unico del mercato, dello spread e del Pil. Tutto questo ambientato a Bologna, a Mosca e in Mozambico.
E con questo si conclude questa bella chiacchierata. Alla prossima, Valerio!