Intervista a Eraldo Baldini

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foto presa dal profilo dell'autore su Facebook
foto presa dal profilo dell’autore su Facebook

Eraldo Baldini è nato e vive a Ravenna. Nei suoi romanzi e racconti coniuga «gotico rurale», noir e horror in una vena originale. Per Einaudi Stile libero ha pubblicato Medical Thriller (2002), con Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi (riedito nella collana «Super ET», 2006), Bambini, ragni e altri predatori (2003), Nebbia e cenere (2004 e 2012), Come il lupo (2006 e 2008), con Alessandro Fabbri, Quell’estate di sangue e di luna (2008), L’uomo Nero e la bicicletta blu (2011), Gotico rurale (2012), il libro che l’ha consacrato dodici anni fa, in una versione arricchita di nuovi racconti, e Nevicava sangue (2013). Con Giuseppe Bellosi ha scritto Halloween (2006). Ha partecipato inoltre all’antologia The Dark Side (2005). I suoi libri, ristampati più volte, sono tradotti in varie lingue.
Il suo sito Internet è www.eraldobaldini.it

1. Ciao Eraldo e benvenuto. Come si diventa scrittore e da cosa nasce la voglia di scrivere?
E.: Ho sempre amato le storie, sia che me la raccontassero a voce, sia che le potessi seguire in un film o in tivù, sia soprattutto potendole leggere in un libro. Fin da piccolo sono stato un lettore assiduo. Si diventa scrittori, credo, quando si capisce di avere qualche predisposizione a raccontare a propria volta, offrendo a se stessi e agli altri storie che nessuno aveva ancora narrato.

2. Quali sono stati i tuoi esordi? E’ stato difficile essere pubblicati? A cosa hai dovuto rinunciare e di che cosa ti sei arricchito?
Ho cominciato scrivendo saggistica nel campo dell’antropologia culturale, quello in cui mi sono specializzato con i miei studi, ma divertendomi nel contempo a buttare giù racconti. Nel 1991 vinsi la sezione letteraria del Mystfest di Cattolica, e quello mi offrì la possibilità di propormi agli editori con un biglietto da visita un po’ più interessante. Non ho mai avuto grossi problemi a pubblicare, ma forse allora i tempi erano più favorevoli, non si era ancora nella crisi dell’editoria che adesso ci affligge. Non ho mai rinunciato e nulla per coltivare la mia attività, che anzi mi ha arricchito di esperienza e soddisfazioni. Mai di denaro, ma non importa.

3. Meglio essere un bambino e immaginare, dando forme diverse a ciò che ci circonda o essere adulto e usare la stessa fantasia? Sei riuscito a conservare la stessa immaginazione di quando eri bambino?
E.: Credo che ogni scrittore conservi dentro di sé un po’ della propria fantasia di bambino, e la capacità di mettere in atto la “sospensione dell’incredulità” teorizzata prima da Coleridge poi da Stephen King.

4. Esistono innumerevoli forme di scrittura. C’è quella di denuncia, di svago, di riflessione. Come definiresti la tua? So che non ami le etichettature e la mia curiosità nasce dal cercare di capire le tue aspirazioni nei confronti di chi ti legge.
E.: Io racconto storie sperando che piacciano anche agli altri. Storie che inevitabilmente riflettono i miei valori, la mia visione della vita, ma non ho mai preteso di attribuire loro una funzione etica o educativa. Anzi, diffido degli scrittori che si ergono a “maestri di vita”. La mia dunque, se proprio vogliamo definirla, è semplicemente “narrativa”. Se poi le mie pagine riescono anche a suscitare riflessioni e a proporre messaggi, tanto meglio, ma non è quello il loro intento principale.

5. Nella tua esperienza di uomo e di scrittore, quanto è attratto l’essere umano dalla paura e quanto la rifugge?
E.: La paura è un sentimento atavico, inevitabile e spesso salvifico, che soprattutto nelle fasi iniziali della vita (ma non solo) può suscitare emozioni e suggestioni che, se filtrate dall’approccio indiretto con la paura stessa (cioè attraverso la fiction), rende tali emozioni gratificanti.

6. Ambienti spesso le tue storie in luoghi sperduti come i paesini di campagna, in cui aleggiano ancora superstizioni, detti, usanze spesso ataviche. Pensi che le ristrettezze mentali siano terreno fertile per gli omicidi?
E.: Non è per quello che scelgo tali ambientazioni. Privilegio gli scenari rurali e di provincia intanto perché sono quelli che conosco meglio, poi perché sono quelli in cui meglio si conserva la cultura popolare che è campo dei miei studi antropologici. Inoltre l’ambiente della provincia, dei piccoli paesi, è quello in cui tutti si conoscono e dunque le interazioni umane sono a maglie più strette e interessanti, con l’aggiunta di una dimensione in più, quella della memoria: in simili ambienti si ha infatti maggiore cognizione di genealogie e vicende del passato, pronte a riaffacciarsi in un presente da esse mai svincolato. In più mi piacciono la natura e l’ambiente fisico, importanti ai fini narrativi: l’ambientazione per me non è meno importante della trama o dei personaggi.

7. Ora è uscito il tuo nuovo romanzo, “Nevicava sangue”, edito da Einaudi. Com’è nata l’idea?
E.: Volevo in qualche modo dare voce e memoria agli oltre settantamila soldati italiani che hanno partecipato alla campagna napoleonica di Russia, poi mi interessava raccontare come la guerra, per poveri mezzadri o braccianti analfabeti dei primi dell’Ottocento, abbia rappresentato una tragedia ma anche, a volte, un’esperienza in grado di far nascere in loro una consapevolezza della propria condizione di subalternità e un sentimento di rivalsa.

8. Francesco e Berto: vuoi parlarci di loro? Cosa li accomuna?
E.: Francesco è un mandriano romagnolo che viene costretto ad arruolarsi al posto del figlio del padrone. Nel dramma della guerra in Russia troverà in Berto, un cavallo che ha in dotazione, il migliore e più fedele amico. Li accomuna la semplicità dei buoni e dei giusti.

9. Quale messaggio hai voluto trasmettere attraverso questo romanzo?
E.: Che la guerra è tremenda e chi la vive non sarà mai più la stessa persona di prima. A volte questo cambiamento può essere, però, foriero anche di nuova consapevolezza, come dicevo prima.

10. Si parla di Un impietoso viaggio nel luogo in cui ogni umanità è annientata: dal gelo, dalla fame, da un primordiale istinto di sopravvivenza. Sembra il destino dell’uomo, cercare continuamente di sopravvivere al mondo ostile che ci circonda…
E.: Sì, in qualche modo lo è, anche se l’uomo non può limitarsi a sopravvivere all’ambiente, ma   deve cercare con esso la migliore armonia possibile.

11. Hai pubblicato un romanzo a quattro con Alessandro Fabbri. Quali i pregi e i difetti di condividere la stesura di un romanzo? Come ti organizzi?
E.: E’ piuttosto difficile armonizzare idee e stili, e preferisco di gran lunga la scrittura in solitario. In quell’occasione, cioè la stesura del romanzo “Quell’estate di sangue e di luna” (Einaudi), la cosa si concretizzò perché l’idea iniziale di Alessandro e me era quella di scrivere una sceneggiatura cinematografica. Solo a lavoro in corso cambiammo obiettivo. Certo, in due si può arrivare a una somma proficua di idee e di immaginazioni, ma resta esercizio difficoltoso.

12. Ho chiesto a tanti tuoi colleghi quali motivi pensano ci siano dietro l’enorme crisi editoriale. Vuoi esprimere la tua opinione? Sono davvero così pochi i lettori o c’è una sovraproduzione di pubblicazioni, che non coincide esattamente con una buona qualità?
E.: Si stanno sovrapponendo varie cause. Una è la crisi economica, che fa sì che si rinunci all’acquisto di libri. Un’altra va individuata nel fatto che oggi il tempo libero viene in gran parte assorbito da televisione, internet, social networks. L’editoria inoltre negli ultimi anni non punta molto sulla qualità, non ne fa un obiettivo. Si pubblicano troppi titoli pensando che, puntando in qual modo molti numeri sulla roulette del mercato, qualcuno per qualche imperscrutabile motivo funzionerà a prescindere dalla sua qualità (a cui il lettore viene così disabituato). Ed è quello che succede, come ci dimostrano le classifiche di vendita. Tutto questo però innesca una spirale perversa: quando si rinuncia a cercare e a privilegiare la qualità, si fanno danni che rischiano di essere irrimediabili.

Grazie a Eraldo Baldini per la sua disponibilità!