
Salvo Sottile, giornalista, è vicedirettore news de La7. Ha iniziato la sua carriera a Palermo, giovanissimo, ed è stato testimone delle più importanti vicende siciliane degli ultimi vent’anni, oltre a una lunga esperienza di inviato in Italia e all’estero, comprese alcune zone di guerra. Ha pubblicato il suo primo romanzo, Cruel, edito da Mondadori e lo incontriamo per parlarcene.
1. Benvenuto Salvo e comincio con il chiederti: cosa vorresti sapessero di te i lettori rispetto a quello che si legge?
S.: Beh, che quando scrivo sono uno sgobbone e cerco di darmi una disciplina nella scrittura. Io scrivo soprattutto di notte e poi magari nella vita sono meno disciplinato.
Quando però scrivo lo faccio in maniera militare, seguo ogni dettaglio, sono un po’ maniacale e ipercritico nei miei confronti.
Questa caratteristica ce l’ho sia quando faccio la televisione che quando scrivo un libro. Cruel ha permesso di misurarmi non con i tempi televisivi ristretti, ma con una scrittura più ampia e a più libero respiro.
Forse è quello che si intuisce di meno della mia persona.
2. E’ uscito per Mondadori il tuo romanzo “Cruel”. Raccontaci come è nata l’idea.
S.: L’idea è nata dal fatto che per tanti anni ho raccontato storie di cronaca nera molto distanti da me. Io ero una sorta di mediatore tra le storie e il pubblico. Con questo romanzo cerco di fare una cosa diversa, cioè di scrivere un romanzo che si legge nel tempo di un programma televisivo. Come quando tu guardi un programma di cronaca nera e ti immedesimi nelle storie che ascolti. Cruel, come hai avuto modo di vedere, è il titolo di un crime magazine ed è un giornale in cui le dinamiche della redazione, ma anche le dinamiche dei personaggi, catturano immediatamente l’attenzione del lettore come un gioco di specchi, in cui ogni protagonista fa parte un po’ di se stesso.
Il lettore si può immedesimare in ogni protagonista e ognuno può essere un possibile colpevole.
Due personaggi principali, un giornalista e un poliziotto. Mauro Colesani è cronista di nera un po’ cialtrone il quale, cercando di risolvere il mistero, fa un viaggio attraverso se stesso. Questo per ritrovarsi dopo un fatto di sangue che lo riguarda da vicino. Ho cercato di portare all’interno di Cruel tutte le dinamiche dei programmi televisivi di cronaca nera. C’è l’immedesimazione del pubblico e quella sorta di fascinazione verso storie che guardi come fosse il temporale dietro una finestra.
3. Cosa ti ha spinto a provare a farti conoscere attraverso la tua scrittura e non attraverso le tue parole e quali i pregi o, al contrario, i difetti ad esprimersi in due modi totalmente differenti?
S.: Avendo provato entrambe le cose, posso dire che in televisione ho cercato di esprimermi a parole ma i tempi sono molto risicati e non hai tempo per cercare di raccontarti. La scrittura di un romanzo ti permette di descrivere un po’ di te stesso, perché in ogni personaggio c’è un po’ dell’autore, un po’ di buio o di luce, di male e di bene, personaggi che pescano dalla tua anima, dal tuo modo di essere.
Sono due cose molto diverse, ma entrambe molto affascinanti.
4. Quello che mi ha colpito, nel tuo romanzo, è il fatto di lasciar condurre il lettore verso la scoperta dell’assassino, giocando anche sulla psicologia dei personaggi, cercando di confondere e destabilizzare. Ci accorgiamo del male solo quando ci finiamo contro?
S.: In realtà noi guardiamo il male come se non ci appartenesse. Ma nello stesso tempo ne siamo terribilmente attratti. Quando tu leggi storie di omicidi che riguardano altri, inevitabilmente la tua vita ti sembra migliore. E’ come il processo della favola nei confronti dei bambini.
Tutte le volte che da piccoli ci raccontavano la favola di Pinocchio, ad esempio, in cui c’è sempre il cattivo, il male, l’orco. Però le ascolti guardandole da lontano.
Se tu guardi i programmi cult di cronaca nera, non ti danno mai una notizia, in realtà. Tu li guardi perché senti raccontare la stessa storia.
5. Abbiamo vissuto la spettacolarizzazione di fatti di cronaca, divenuti dei veri e propri talk show nei quali si etichetta il mostro, chiunque esso sia, a prescindere dalla sua colpevolezza o innocenza. Come si fa a rimanerne distaccati?
S.: C’è una degenerazione della cronaca nera in televisione. Siccome non si inventa più nulla in tv, ormai si spalma la cronaca nera a tutte le ore del giorno. Può essere utile se usata bene ma, al contrario, viene utilizzata spesso in malo modo e crea danni irreparabili.
Ho condotto sempre dei programmi in cui ho cercato di tenere la barra dritta – spero di esserci riuscito – e di avere la distanza giusta tra le cose, perché mostravo la tesi dell’accusa e della difesa e poi lasciavo al pubblico il giudizio.
Il fatto di rimanere distaccati è molto difficile perché racconti delle storie che inevitabilmente ti colpiscono, ti lacerano.
Facendolo tutti i giorni o tutte le settimane, a un certo punto ho proprio sentito il bisogno di disintossicarmi dalla cronaca nera per cercare di scrivere una storia dove potessi mettere tutti gli ingredienti di questo fenomeno: la gelosia, l’invidia, la morte, il male, perfino la morbosità – quella positiva – di quelli che cercano di arrivare alla verità anche tramite compromessi con loro stessi e con tutto quello che hanno imparato nel loro mestiere.
6. Mi hanno colpito i personaggi di Mauro Colesani, questo giornalista d’assalto, forse troppo coinvolto nella storia e Vincenzo Sciuto, un duro ma capace di vedere oltre l’evidenza, studiando in modo maniacale le ossessioni e le abitudini degli assassini. Dimmi qualcosa di loro.
In realtà, Mauro e Vincenzo sono due lati della stessa medaglia: uno è un cialtrone, l’altro è esageratamente pignolo. Uno è un sentimentale, l’altro i sentimenti li lascia a pezzi fuori dall’ufficio. Ma tutti e due sono innamorati del loro lavoro, sono complementari. Sono rotaie dello stesso binario, vanno nella stessa direzione: quella di una passione verso il mistero, verso se stessi che li induce a pensare che la loro strada sia quella giusta. Poi, in realtà, arrivi alla fine della storia e la verità si ribalta ancora una volta. Quando non lavorano insieme, lontano dall’urgenza della cronaca nera, si mettono a giocare con la playstation. Si maltrattano ma poi hanno bisogno uno dell’altro.
7. Il romanzo mi ha dato l’idea di un viaggio attraverso la personalità di Colesani, ma anche di Salvo Sottile. Cosa ne pensi?
S.: Certo, Colesani l’ho pescato un po’ dai miei ricordi. Io sono meno cialtrone di lui, ovviamente! Anche questo suo strano rapporto con le donne, alla fine viene usato da una donna – come spesso succede – per arrivare a un obiettivo.
Alla fine, mi affascinava l’idea di tratteggiarlo così, anche alla fine nel dolore di aver perso una donna, nella consapevolezza di essere stato usato, Colesani trova il suo riscatto in un certo senso.
Fa una ricerca dentro se stesso, è un giornalista che usa il mistero per tornare in auge come era prima. Per me Cruel è stato un viaggio per depurarmi, per levarmi tutte quelle “incrostazioni” che non mi facevano guardare le cose dall’alto, con distacco.
Il romanzo mi permette di vedere come fossi sospeso in aria, come farebbe un osservatore che guarda il quadro nel suo insieme, offrendolo al lettore per quello che è.
8. Quali personaggi che hai conosciuto nel corso della tua carriera ti hanno lasciato un ricordo particolare e quali esperienze ti hanno arricchito?
S.: Mi ha lasciato un ricordo Parolisi – lo intervistai in studio – e mi colpì tantissimo questa sua attitudine a essere un uomo che controllava molto le emozioni, nel bene o nel male. Sicuramente lo hanno aiutato le sue esperienze in Afghanistan. Apriva il rubinetto del pianto a secondo se c’erano o meno le telecamere accese. Quando parlava della moglie, ne parlava in maniera serena e normale, ma quando si accendevano le telecamere, aveva gli occhi lucidi.
Mi ha colpito questa sua la capacità di switchare sulle emozioni, al contrario di me che restavo molto coinvolto dalle storie, soprattutto quando avevo finito di registrare le trasmissioni di Quarto Grado o Linea Gialla, in cui non era facile andare a dormire e disintossicarmi da tutto il male.
E’ un controsenso nella parola giornalismo, che dovrebbe essere testimonianza e distacco, ma quando sono storie emotivamente forti è difficile non restarne coinvolti.
Cruel è stato un modo per fare pace per tutta una serie di fantasmi che mi ha perseguitato per anni.