Intervista a Roberto Morassut

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Foto di Salvatore Contino

Roberto Morassut è un politico italiano, facente parte del Partito Democratico. nell’attuale legislatura è componente dell’VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici). È stato segretario regionale del Pd del Lazio dal 2008 al 2009.
Vi chiederete cosa ci fa un Deputato sul nostro sito..: ha pubblicato un libro con la casa editrice Ponte Sisto,”Il pozzo delle nebbie. Il caso Bracci. Un delitto a Primavalle nell’Anno Santo 1950″.
Un caso di cronaca che scatenò l’opinione pubblica e che, a distanza di decenni, risulta ancora irrisolto.
Ne parliamo direttamente con lui.

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1. Benvenuto su Contorni di noir. Comincio con il chiederle chi è Roberto Morassut e dove vorrebbe arrivare come scrittore e come politico.
M.: Sono attualmente Deputato e ho compiuto un percorso politico ed istituzionale che mi ha portato ad essere, tra le altre cose, Assessore all’Urbanistica al Comune di Roma durante la sindacatura di Walter Veltroni. Scrivo per dare un po’ di espressività ai miei pensieri, alle riflessioni e alle passioni che coltivo in politica e nei miei interessi culturali. Da questo nascono i libri che ho scritto e pubblicato in questi ultimi tre anni. Mi piace scrivere e cercherò di misurarmi ancora con altri due o tre progetti che ho in mente e sui quali ho cominciato già a lavorare. Non ho obiettivi specifici, per la verità, se non quello di fare, fintanto che sarà possibile, delle cose che mi diano motivazione e che possano essere minimamente interessanti se non utili per altre persone alle quali mi rivolgo. Sia come “politico” sia come “scrittore”. Anche se non mi considero, onestamente, uno “scrittore”.

2. Ci racconti del suo approccio alla scrittura e del percorso prima della pubblicazione.
M.: Tutto nasce da una idea, da un pensiero che è il tema fondamentale di quello che poi diventa un libro. Questo pensiero deve avere un tempo intimo di maturazione e di messa a fuoco. Sia che si tratti di un libro politico che di un libro a carattere narrativo. Dopodiché inizia la faticosa messa in opera. Che per me è come un cantiere. Affastello documentazione sul tavolo e cerco di ordinarla e comincio a scrivere un semilavorato che poi mano a mano sistemo con integrazioni e tagli. Durante la scrittura, poi, sorgono nuovi stimoli, nuovi pensieri, nuove possibilità di evoluzione narrativa o di riflessione. Il campo si allarga e questa forse e la fase più bella. Alla fine c’è un momento in cui si deve decidere di chiudere. E dare una forma finale preoccupandosi che chi legga possa essere catturato dalle cose che dici…… Almeno questo è il mio percorso…

3. Ora esce il suo nuovo libro, “Il pozzo delle nebbie” per Edizioni Ponte Sisto. Com’è nata l’idea?
M.: “Il Pozzo delle Nebbie” non è un romanzo. Forse è un testo di narrativa di inchiesta. Non so classificarlo. É una storia vera. Racconta la scomparsa e la uccisione di Annarella Bracci, una tredicenne di Primavalle, il giorno di Carnevale del 1950. Non si è mai scoperto il colpevole di quel fatto. Ma fu una vicenda che colpì a fondo il sentimento popolare e che suscitò una catena di reazioni politiche e culturali su temi ancora molto attuali. In sostanza attraverso la storia di questa bambina ho cercato di ritrovare certe tracce della storia di una lontana periferia romana che non sono del tutto scomparse. Non so quando è nata l’idea di fare un libro su Annarella. Fatto sta che molti anni fa sfogliando una raccolta ingiallita del Messaggero del 1950 ho intercettato questa storia e non sono più riuscito a staccarmene. Mi è rimasta dentro. Scriverla e approfondirla ha avuto quasi una funzione catartica per me. Mi ha in parte liberato da un tormento. Anche se non lo ha risolto. Come è possibile morire a tredici anni senza un perché? Come è possibile che la più importante Questura d’Italia sia stata sconfitta nello scoprire la verità all’interno di un contesto apparentemente senza molti segreti come quello di una borgata popolare romana? Ecco. È stato questo il mio spunto.

4. Come si è documentato per approfondire un fatto avvenuto così tanti anni fa?
M.: Le fonti sono state reperite presso il Tribunale penale di Roma dove sono depositati i fascicoli relativi alla istruttoria delle indagini e agli atti processuali della vicenda. Poi ho recuperato molti documenti utili presso l’Archivio di Stato dell’Eur e infine ho raccolto la documentazione della stampa e diverse testimonianze dirette di persone che vivevano a Primavalle in quel tempo.
C’è anche una discreta bibliografia specifica sulla vicenda e più generale sull’Anno Santo del 1950 e sul quartiere di Primavalle.

5. Che sensazione si prova a ripercorrere un fatto di cronaca così brutale ed efferato?
Personalmente ho avuto un coinvolgimento emotivo molto forte. È una storia che, come ripeto, mi ha catturato. Poi l’alone di mistero che la accompagna è talmente denso che non può non coinvolgere. È una storia vera che sembra però scritta da un autore di noir. Ci sono delle coincidenze, delle simbologie, delle allegorie che colpiscono ad occhio nudo. A volte, ti domandi, il destino e il caso della vita sembrano avere un copione scritto da qualche mano. Ma è una illusione. Siamo noi a vedere dei simboli nel destino ma non capita spesso di vederli in modo così nitido come in questa vicenda. Per questo devo confessare che la emotività mi ha molto preso.

6. Tanto si è scritto sul caso, i giornali ne parlarono per molto tempo, monopolizzando i quotidiani e ci furono interventi in prima pagina di Curzio Malaparte sul Tempo e, in risposta, di Pietro Ingrao sull’Unità, nonché una serie di monografie, di cui una quasi agiografica. Il programma televisivo “Delitti” trattò l’evento in una puntata, Luchino Visconti ne trasse un cortometraggio e Roberto Rossellini ambientò proprio a Primavalle il suo Europa ’51, con Ingrid Bergman. Crede possa servire scriverne ancora per non dimenticare?
M.: Sì. Come ho già detto le fonti documentali sono molte. Ma non c’è stato mai un tentativo di ricostruzione organica e dettagliata della storia. Io l’ho tentata. È l’unico delitto accaduto a Roma dopo la guerra sul quale è calata una sorta di oblio. Forse perché i protagonisti della vicenda appartenevano al popolo delle borgate. Non erano parte della borghesia intellettuale romana o del generone romano. Come per esempio nel caso della vicenda Montesi o Fenaroli o Graziosi….. Una vicenda lontana quasi cancellata dalla memoria. Ma non del tutto perché appena se ne riparla – ed io lo ho verificato – saltano fuori le domande e gli interrogativi che si sono fermati alle ore 22 del 18 febbraio 1950, quando Annarella scomparve…

7. Vi sono stati, nel corso della storia, innumerevoli casi di omicidio irrisolti. Crede che, se fossero avvenuti al giorno d’oggi, avrebbero avuto un destino diverso?
M.: Non lo so…. La tradizione dei casi irrisolti – a Roma in particolare – è molto ricca e si allunga fino quasi ai giorni nostri. Certo si è, tuttavia, che oggi la tecnologia e la scienza offrono strumenti assai più utili ai fini investigativi del solo fiuto dei poliziotti, che allora predominava. Se nella vicenda di Annarella ci fosse stato di mezzo un telefonino o la possibilità di esaminare un Dna molte nebbie sarebbero state certamente fugate…

8. Come potrebbe descrivere la città capitolina degli anni ’50 rispetto ai giorni nostri? Il tessuto sociale di allora poteva essere ricettacolo di una criminalità più “popolare” e meno organizzata di quella attuale?
M.: I funerali di Annarella si svolsero presso la Basilica di San Lorenzo fuori le mura l’8 marzo del 1950 e vi parteciparono 300 mila romani. Fu una manifestazione di massa dei cittadini della periferia che si ritrovarono al Verano e scoprirono di essere tanti e di avere tutti gli stessi problemi. La periferia non era conosciuta. Veniva nascosta. La morte di Annarella squarciò il velo dell’ipocrisia e fece irrompere nel dibattito sulla città il tema sociale e anche urbanistico di quelle periferie sorte durante il fascismo. Pezzi di abitato buttati nelle campagne per aprire i viali e le piazze della Roma imperiale degli anni Trenta. In questi quartieri c’era la piccola illegalità diffusa che si genera quando c’è disagio sociale e c’erano la sofferenza ed il bisogno che sfociano nel degrado e nell’abbassamento della dimensione umana: prostituzione, incesto, malattie… Ci fu, dopo i fatti di Primavalle, una inchiesta sulla Miseria che fu condotta dal Parlamento. A rileggere quei documenti vengono i brividi. Oggi la criminalità ha assunto forme complesse, organizzate, imprenditoriali, tecnologiche…. Ma resta il dato di fondo: che la periferia delle metropoli può essere aggredita da fattori degradanti se non c’è una azione costante che consolida e rafforza il tessuto sociale, le relazioni umane, la struttura civile, le opportunità di cultura e di formazione. È la grande sfida della dimensione urbana introdotta dallo sviluppo industriale e che resta ancora il tema centrale delle città…

9. E’ passato molto tempo da quell’omicidio, eppure molta strada c’è ancora da fare. Basta leggere la cronaca per rendersi conto che fatti del genere continuano ad accadere. Sicuramente i mezzi oggi a disposizione degli inquirenti sono migliorati, ma quanto si potrebbe ancora fare? Purtroppo in Italia non esiste la certezza della pena. Cosa ne pensa?
M.: Non so… Certe storie sono oggettivamente complicate. Le strutture investigative a volte non sono all’altezza. Qualche volta ci sono e ci sono stati deragliamenti indotti da condizionamenti… Quando c’è un fatto di sangue, un omicidio, probabilmente contano molto le primissime fasi dell’indagine. In quelle ore possono accadere cose che fanno imboccare piste dalle quali non si può più tornare indietro. In linea generale penso che il perfezionamento degli strumenti tecnologici è molto importante ma altrettanto importante è il rigore e l’etica investigativa di chi è chiamato a gestire la lettura dei fatti. La certezza della pena è un obiettivo che deve restare sempre alto. Purtroppo non sempre raggiungibile a quanto pare…

10. In questo blog si parla di libri e non di politica ma, mi corre l’obbligo di chiederle il suo parere sugli interventi attuati per riqualificare le periferie cinquant’anni fa, rispetto a quanto svolto negli ultimi anni. Cosa è cambiato? Può la politica, attraverso la trasformazione urbana, offrire meno spunti ad azioni criminose?
M.: Le periferie a Roma sono tante e diverse. Con problemi specifici diversi, intendo. Perché sono sorte in momenti differenti e sulla base di diverse condizioni e di diversi strumenti urbanistici. Oggi la periferia di Roma, se si vogliono rintracciare delle cose comuni, è segnata da una grande energia. Ha un tessuto economico denso, pulsante. Arricchito dall’arrivo di tanti nuovi italiani che vengono da Paesi lontani e che hanno voglia di fare e di migliorare con il lavoro la propria condizione. Ma ha anche i problemi della lacerazione dei rapporti umani e sociali aggravata – per certo aspetti – dall’irrompere delle tecnologie di comunicazione di massa che vengono tendenzialmente usate in funzione dell’isolamento delle persone e non della loro elevazione. Per questo occorre costantemente tenere attenzione alla quantità e qualità dei servizi primari, secondari e delle strutture che sono rivolte alle persone, all’assistenza, alla cultura, alla formazione. È una sfida costante. Perché appena si molla la presa tutta la condizione di vita in periferia arretra. È una sfida sempre al limite e di frontiera. Ma è una sfida che può essere condotta con buoni risultati. Dipende dalla qualità delle classi dirigenti, dal loro disinteresse e dal senso di missione che dovrebbe ispirarle. Oggi la politica spesso ci da altri esempi. Ma nei quartieri ci sono tante esperienze associative e volontarie che sono un serbatoio incredibile di positività. E che bisogna stimolare. Combattendo costantemente per costruire un tessuto civile più fitto e più denso proprio laddove la contemporaneità che viviamo tende a slabbrare e diradare…