Meyer Levin – Compulsion

2909

Editore Adelphi Collana Fabula
Anno 2017
580 pagine – brossura e ebook
Traduzione di Giovanni Pannofino
Con una Premessa di Marcia Clark e un’Introduzione di Gabriel Levin
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Lavorando a tempo pieno, devo organizzare letture e recensioni, interviste e presentazioni del blog cercando di incastrare tutto. Le richieste che arrivano sono tante e non sempre riesco a soddisfare chi vuole essere letto. Sarà che sempre più spesso la pubblicazione dei libri ha un ritmo tale da essere frenetico, isterico, condizionato (troppo) dalle astine delle statistiche, che ogni tanto ho bisogno di una pausa. Mi faccio incuriosire da una copertina, da un titolo, da un commento e vado a cercare il libro che, mi chiedo spesso per quale motivo, non viene pubblicizzato, non fa clamore.Se ne sta nel suo angolino, con una potenzialità folgorante, senza fare chiasso.

Ecco che sono entrata subito in empatia con “Compulsion”, romanzo pubblicato da Adelphi, scritto da Meyer Levin, scrittore nato nei primi del Novecento di origini ebree e ricordato in particolare proprio per questo libro di narrativa non-fiction nel quale riporta alla ribalta un delitto terribile nella Chigago degli anni Venti ai danni di un ragazzino di tredici anni, per mano di due studenti universitari ebrei, Nathan Leopold e Richard Loeb. Giornalista, scrittore e sceneggiatore, Levin ricostruisce con dovizia di particolari una storia che ricorda per certi versi il celebre romanzo di Truman Capote scritto dieci anni dopo, “A sangue freddo”. Entrambi i romanzi, infatti, si basano su storie vere. E’ forse questo che attrae maggiormente: leggere storie realmente accadute e ripensare a fatti di cronaca accaduti anche in questo Paese.

Dopo aver letto un accenno di trama, non ho potuto non ricordare l’omicidio Scattone ai danni di Marta Russo, noto come Il delitto della Sapienza. Era il 1975 quando la ventiduenne studentessa di giurisprudenza morì a seguito di un colpo di pistola partito dalla pistola di Giovanni Scattone con la complicità di Salvatore Ferraro. Come per Compulsion, le indagini furono complesse sia per il clamore dell’avvenimento, che per l’assenza di un movente da parte dei due studenti. Meyer Levin ha voluto scrivere nel 1956 il caso che seguì quando faceva il giornalista al Chicago Daily – e infatti il personaggio che parla in prima persona è Sid Silver, diciottenne giornalista del Daily Globe – dopo aver avuto la possibilità di intervistare Nathan Leopold in carcere.

Tradotto da Giovanni Pannofino, i protagonisti del libro hanno i nomi di Judd Steiner e Artie Straus, due ragazzi ebrei di famiglie milionarie, molto conosciute a Chicago. Erano gli anni di Al Capone, accusato dell’omicio di Joe Howard, crivellato di colpi da un’auto affiancata alla sua. Anni di gangster e gangs non potevano certo far minimamente immaginare che due assassini potessero albergare nella casa di persone facoltose.

Era come se quel giorno il delitto avesse aperto una piccola crepa nella superficie del mondo, attraverso la quale potevano intravedere un male che ancora doveva emergere.

L’omicio era stato aggravato dai motivi futili per il quale fu compiuto: un esperimento. La spiegazione di Judd Steiner era l’esistenza del superuomo, tratta dalla filosofia di Nietsche. Un essere elevato, esentato dal rispetto delle leggi ordinarie che governano gli uomini comuni.Un uomo che non è tenuto a rendere conto delle proprie azioni se non nel caso dell’unico delitto che potrebbe compiere: un errore. Ed ecco che di errori ce ne furono molti, si sa che il delitto perfetto non esiste.

La narrazione fluida di Meyer è folgorante. Lo è quando racconta in prima persona il suo ruolo nella veste di giornalista e lo è mentre descrive la personalità contorta di entrambi i ragazzi. Colpisce anche il fatto che, nel momento in cui Steiner e Straus confessano le loro colpe, le voci si interrompono e i personaggi perdono vigore, visibilità. Protagonista è il processo, il giudizio popolare e non, la psicologia delle menti criminali che hanno tolto la vita. Lo è quando descrive il dramma dei genitori alla scoperta del lato oscuro di quei figli tanto amati, o quando si sofferma sul riscontro mediatico che ebbe l’omicidio ma, ancora di più, il processo nel quale gli stessi giudici ricevettero minacce di morte se il verdetto fosse stato diverso dalla pena di morte.
C’è tanto altro – ho scritto così tanti appunti per la recensione da uscirne un altro libro… – ma preferisco fermarmi qui.

Certo Adelphi non ha bisogno della recensione del mio blog per sapere di avere avuto fiuto nella ripubblicazione di questo libro, ma io sono qui per i miei lettori e il consiglio che vi do è di dare retta al vostro istinto, al vostro sesto senso. Ogni tanto cercate qualcosa che va al di là di fascette accattivanti o di copertine scenografiche.
Rimarrete sorpresi di quanto c’è ancora da scoprire e questo non può assolutamente mancare, con la speranza che non resti l’unico ad essere ripubblicato.

Cecilia Lavopa
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Lo scrittore:

Meyer Levin (Chicago, 7 ottobre 1905 – Gerusalemme, 9 luglio 1981) è stato uno scrittore, giornalista e sceneggiatore statunitense.