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Dolores Redondo è una scrittrice spagnola che ha venduto oltre un milione di libri e tradotti in 35 lingue. Ha conquistato le classifiche con La trilogia del Baztàn e torna in libreria con Tutto questo ti darò per la casa editrice DeA Planeta. Vincitrice del premio planeta 2016 e definita da Carlos Ruiz Zàfon come la regina del literary thriller, l’abbiamo incontrata insieme ad altri blogger per un’intervista esclusiva.
1.Ha scelto la Galizia come ambientazione del romanzo, un territorio molto bello e particolare. Ce lo può descrivere con le sue parole?
D.: In tutti i miei romanzi lo scenario è importante, è ben più di uno sfondo che fa da cornice allo svolgimento dell’azione. Per me deve dare qualcosa alla storia, in questo caso volevo parlare dei privilegi che ancora vivono alcune famiglie come quella che ritraggo nel libro. Inspiegabilmente per me, la popolazione intorno a loro continua ad essere servile anche se non richiesto.
Detto questo, non volevo neanche dare un’immagine univoca della Galizia improntata sul servilismo verso le famiglie nobili, d’altro canto queste dimore esistono e sono spesso proprietà di famiglie nobili o benestanti, oppure di imprenditori.
Un altro aspetto su cui volevo soffermarmi è la cultura del lavoro, il senso e lo spirito dell’onore, l’orgoglio di lavorare una terra molto difficile, come la coltivazione delle vigne della Ribeira Sacra impiantate dai romani, da duemila anni a questa parte coltivate in maniera manuale visto che hanno un’ inclinazione fino al 70%. C’è un senso d’orgoglio dei contadini, che seppure con piccole estensioni di terreno – il raccolto non è significativo in termini economici o commerciali – ne fanno una questione di onore.
2.Nel corso dei romanzi si è notata una maturità nello stile della scrittura. E’ una nostra impressione o è cambiato qualcosa?
D.: Io ho sempre scritto in lingua castigliana ed è vero che ho usato alcune parole in lingua basca, dell’euskara, per la trilogia del Baztàn. Il mio stile è sempre lo stesso, i miei romanzi sono una sorta di risonanza, una combinazione di diversi generi. Ufficialmente rientrano nella categoria del noir, anche se in Spagna i puristi del genere mi direbbero che non lo è, perché è anche una storia d’amore, una saga famigliare, una storia di amicizia, è un viaggio, una critica sociale. L’elemento del giallo c’è, orbita intorno a un delitto e alla sua indagine. Prende il via come un poliziesco, salto poi da un genere all’altro perché questo è il mio sistema per raccontare la storia. Nei precedenti romanzi partivo da una società matriarcale, un mondo squisitamente femminile e dagli aspetti della maternità, delle buone e delle cattive madri. Ho parlato dell’infedeltà femminile. Argomenti tabù, di cui non si poteva parlare, parlo di un mondo in cui sono cresciuta. Le donne hanno sempre vissuto da sole, perché gli uomini erano spesso fuori casa, o in America in cerca di fortuna o facendo i marinai. Per questo le donne hanno rafforzato il carattere ed erano indipendenti. Proprio in queste terre si sono tenuti molti processi contro diverse donne per presunti reati di stregoneria.
Una donna che decideva di non sposarsi e di vivere da sola in mezzo alla foresta era vista malissimo, sospettata di essere una strega. Questa volta volevo dare un’impronta maschile. Quattro i protagonisti del romanzo, ma anche qui le donne, seppure non protagoniste, tengono le fila.
3.Com’è stato costruire i protagonisti maschili? Come si è messa nei loro panni?
D.: In realtà nei miei precedenti romanzi benché ritraessero una società matriarcale e la protagonista fosse una detective donna, questa donna si muove nel mondo poliziesco tradizionale, ha una squadra al suo comando integrata da quasi tutti uomini, quindi io ero già entrata in una prospettiva maschile.
E’ stata un’esperienza affascinante scrivere di questi tre uomini molto diversi, questa volta: Manuel, lo scrittore, ha degli aspetti in comune con me, forse non nella scrittura ma il modo in cui lo ritraggo è in un momento nella sua vita di romanziere in cui il coinvolgimento su ciò che scrive non è totale. Alvaro, suo marito, vorrebbe che tornasse a scrivere con la stessa passione che aveva prima. Ci sono aspetti legati alla creatività di Manuel che sono molto simili ai miei.
Il tenente Nogueira, appena andato in pensione, ha visto il lato più cupo dell’esistenza del mondo ed è stato divertente per me calarmi nei panni del suo personaggio. Tra l’altro, si è evoluto nel corso del romanzo fino ad amarlo profondamente, rimane uno dei miei personaggi preferiti insieme ad Alvaro. Poi c’è Padre Lucas, il sacerdote che rappresenta la lealtà, l’amicizia che si costruisce nell’infanzia, che si mantiene forte e solida nel tempo. Mentre scrivevo, volevo che i lettori attraverso i dialoghi che i personaggi pronunciavano capissero chi stava parlando in quel momento. Quindi ho fatto leggere parti di dialogo senza precisare a chi si riferisse a un lettore di fiducia e ho avuto la dimostrazione che il carattere di ognuno era stato definito perfettamente.
In questo incontro tra questi tre uomini così diversi troviamo la luce più bella, visto che il romanzo affronta una storia cupa.
4.Riesce a spingersi fino in fondo nella caratterizzazione dei personaggi. Quanto sono cambiati e quanto hanno cambiato lei?
D.: Mi hanno cambiata molto. I personaggi evolvono in modo intenso per tutto il corso della narrazione. Quello che volevo dimostrare è che tutti hanno dei pregiudizi. Sull’argomento ci lavoro quasi di nascosto, per esempio il fatto di scegliere che Manuel e Alvaro siano una coppia omosessuale può essere il modo di parlare di una prospettiva della società spagnola moderna dove da dodici anni a questa parte si possono sposare persone dello stesso sesso. Ma ci sono degli ambienti più rurali, più raccolti, dove una situazione di questo genere puo costituire una sorta di tabù. Io volevo sottolineare attraverso il romanzo che anche il lettore più libero da pregiudizi avrebbe pensato: “Tutto questo succede perché Alvaro è omosessuale”. Ma io non volevo parlare in primis dell’omosessualità, ma della sottomissione degli esseri umani all’avidità.
Il romanzo mi cambia attraverso la reazione dei lettori, come mi viene restituito. Una donna mi disse che suo figlio si sarebbe sposato con un uomo dopo poco tempo e suo marito non voleva andare al matrimonio. La donna, arrabbiata, ha preso il mio libro e gliel’ha fatto leggere. Sembra che dopo essersi fatto un bel pianto, il marito ha cambiato opinione. Questo mi ha commossa e gratificata.
5. Il suo rapporto con la scrittura è simile a quello di Manuel? Ci sono passaggi molto belli dove lui descrive la necessità di scrivere. Si è ispirata a se stessa?
D.: In parte è vero, ma ci sono alcune differenze: io ho cominciato a scrivere nell’adolescenza, invece Manuel ci arriva in età adulta, in seguito a un periodo cupo della sua esistenza e dopo un lutto. Anch’io ho conosciuto il dolore del lutto nella mia prima infanzia, mi ha segnata ma non mi ha spinto a scrivere, ma ad avvicinarmi alla lettura. Questo è il modo in cui la scrittura debba funzionare, scrivere con tutte le nostre emozioni. Se non scrivo mi sento come un angelo che ha perso il paradiso, a cui sono cadute le ali. Alcune volte la realtà mi sembra intollerabile, troppo dolorosa, quindi ho bisogno di questi filtri per poterla raccontare e metabolizzare. Io credo che la scrittura debba essere un gesto di onestà nei confronti di noi stessi, delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti. Quindi il romanzo a volte deve cominciare ad essere scritto dalla ferita che ci fa più male.
So che da parte di chi legge e soprattutto chi fa parte della stampa, è assolutamente percepibile che lo scrittore scrive con un certo coinvolgimento, ma deve con cautela. Mostrare ai giornalisti la nostra pelle ferita non è necessario, ci sarebbe da parte loro il tentativo di investigare sulle ragioni delle nostre scelte, diventerebbe pornografia emotiva che credo non debba appartenere agli scrittori. Questo modo di scrivere può essere una vera miniera se utilizzato nella maniera giusta.
6. Scrive sull’amore, sulla morte e sul lutto e degli effetti che questi creano sulle persone. Scrive anche di tradizioni, sia nei romanzi precedenti che in questo. Quanto sono importanti questi fenomeni per lei e quanto è importante inserire la tradizione all’interno dei suoi libri?
Adoro la magia e l’aspetto magico che ruota intorno alle storie. Ci sono tante cose reali su cui non dubitiamo, ma impossibili da spiegare, come l’amore e le amicizie, o altre credenze che cerco di descrivere da una posizione di rispetto. Oggi le chiamiamo leggende, ma erano quelle che supportavano la vita dei nostri avi, che vivevano più vicini alla religione e alla volontà di Dio, si davano una spiegazione che era poi una consolazione. Oggi c’è una separazione netta da queste credenze e la realtà che ci circonda. A volte liquidate con commenti dispregiativi, secondo alcuni doveva esserci per forza una ragione scientifica e dimostrabile.
Dobbiamo essere empatici per capire gli altri, dobbiamo entrare nella loro mente, credere in quello che credono loro. Penso che gli investigatori lo sappiano bene: mettersi nella testa di un assassino o in quella della vittima aiuta a capire meglio perché vengono commessi alcuni atti. Se saremo impermeabili alle credenze non riusciremo mai a combatterle. Alcuni poliziotti sono stati chiamati a indagare su alcune sette, la prima cosa che erano costretti a fare era assimilare il mondo che dovevano sviscerare. Esiste una visione diversa della vita. Come succede a Manuel quando arriva in Galizia, il quale scopre che esiste un modo diverso dal suo di vivere, ma non per questo vuol dire essere stupidi.
7.Si parla anche di denuncia sociale, un tema delicato come quello degli abusi. Come mai questa decisione di trattare un argomento del genere?
D.: Innanzitutto perché si tratta di una tematica autentica, di episodi che succedono tutti i giorni… Da cattolica ho vissuto un’esperienza dolorosa, conosco gruppi di persone che hanno ignorato questi episodi e hanno deciso di non parlarne, ma fortunatamente alcune persone pensano che di fronte a queste situazioni sia meglio fare pulizia. Per questo motivo ho creato padre Lucas, la quintessenza della lealtà e dell’onesta, il tipo di prete che si prende cura delle persone che ha intorno, che non ha pregiudizi. Conosco sacerdoti che sono vicini al loro gregge e accettano di buon grado sistemi di vita distanti dai dettami del cattolicesimo, perché preferiscono curare le persone come un buon pastore anziché allontanarle.
In secondo luogo, risponde a un mio impegno molto profondo, sono una paladina dei diritti dell’infanzia. Ci sono due categorie di vittime che non hanno voce e che mi fanno stare male: i bambini e le persone anziane. Ad esempio, un malato di Alzheimer che di fronte ai maltrattamenti non ha neanche modo di difendersi è il tipo di vittima che mi fa più male. Parlo anche di abusi nei confronti delle donne, però capisco che ci sono delle vittime che hanno la facoltà di chiedere aiuto e raccontare a qualcuno la violenza.
Le notizie ci riportano di violenze tra le pareti domestiche, luoghi dove uno dovrebbe essere protetto, dove siamo stati educati e dove siamo cresciuti. Ho frequentato una scuola cattolica e sono stata trattata nel migliore dei modi, ma il fatto di essere stata fortunata non mi esime dal parlarne.
7. Ha dichiarato che avrebbe voluto scrivere spacciandosi per uomo, visto che dalle donne ci si aspetta poesie e romanzi rosa, ma alla fine non l’ha fatto. In Italia alcune scrittrici hanno usato uno pseudonimo, per poi uscire allo scoperto. In Inghilterra alla stessa Rowlings venne richiesto dalla casa editrice, preoccupata che il pubblico, considerato target del libro (gli adolescenti), accettasse con difficoltà una scrittrice donna. Anche in Spagna c’è questa percezione sulle scrittrici?
D.: Effettivamente le scrittrici sono quelle che occupano i posti più alti nelle classifiche di vendita di libri, penso al Alicia Gimenez Bartlett, a Clara Sanchez, Maria Duenas, poi gli uomini. Tuttavia penso che tutti citano gli scrittori maschi e dopo le donne. Soprattutto nel genere noir, giallo e thriller. Con la mia precedente trilogia di romanzi, sono stata invitata spesso a partecipare a eventi letterari con tavole rotonde di dibattito. Un tavolo di donne venne intitolato: “Anche le donne scrivono”. Bè, anche le donne sanno guidare un’automobile o sanno camminare, mi verrebbe da dire. Quindi mi sono molto infastidita e rifiutai di partecipare a meno che non avessero cambiato il titolo. Per fortuna il mondo giornalistico è pieno di donne che difendono a spada tratta il settore.
Mi ricordo un episodio a Buenos Aires in occasione di un Festival molto importante dedicato al thriller, nel quale mi invitarono a partecipare a una conferenza intitolata: “La donna nel romanzo giallo e nel noir: puttana, vittima o traditrice?” Bé, nel giallo può essere scrittrice, poliziotto, medico legale. Io in quale categoria rientrerei sarei dovuta rientrare, secondo loro? Ho scelto di essere traditrice.
In Spagna alcune logiche vengono imposte dai risultati delle vendite, quindi a dispetto della reticenza, vengo invitata ai festival perché i miei libri vendono più di altri, ma sono sicura che se potessero scegliere uno scrittore uomo lo farebbero.
8. Il matrimonio egualitario esiste in Spagna da dodici anni, ma cosa traspare dalla società spagnola? E’ proprio così avanzata la società?
D.: Sono dell’idea che siano le istituzioni che devono prendere iniziative in tal senso. La società avanza a colpi di decreti o multe per obbligare gli spagnoli a utilizzare la cintura di sicurezza o non bere durante la guida. Per l’approvazione al matrimonio omosessuale, è stato accettato da tutti dopo alcune reticenze da parte di una parte della popolazione, ma poche persone non hanno avuto occasione di partecipare alle nozze.
Non possiamo certo sederci sugli allori e dobbiamo continuare a lottare nell’ambito del rispetto per l’ambiente, per l’ecologia, maggiore sensibilità sul riciclaggio che i nostri genitori non hanno mai fatto.
9. I film che sono stati tratti dai suoi romanzi sono riusciti a rendere immutata la storia che lei racconta?
D.: Considero una fortuna che i miei romanzi abbiano avuto una trasposizione cinematografica, come Il guardiano invisibile – non arrivato al cinema in Italia ma è sulla piattaforma di Netflix – e nel 2018 inizieranno le riprese degli altri due capitoli della trilogia di Baztàn.
Non c’è una data certa, invece, per le riprese del film che prende spunto dal libro “Tutto questo ti darò”. Sono molto soddisfatta e non sono fra gli autori che provano timore che la propria opera venga trasformata. Vorrò essere presente e vicina a coloro che si incaricheranno di trasformarla e adeguarla, penso sia solo un modo per raggiungere più persone con lo stesso messaggio. La trilogia è stata convertita in una serie di fumetti e penso sia utile per chi va al cinema e magari non legge un libro, oppure al contrario si avvicina più facilmente a una storia narrata in fumetto. Mi piacerebbe anche che diventasse un musical, ad esempio. Ricordo che quando ero bambina prima di leggere i romanzi leggevo molti fumetti. Per i giovani un libro può costituire un freno, mentre il fumetto rappresenta un livello di entrata più accessibile per avvicinarsi alla lettura. I lettori seguono dei percorsi diversi come progressione, magari vanno prima al cinema e poi vanno a comprarsi il libro da cui è stato tratto.
10. Ci può anticipare qualcosa sui suoi progetti futuri?
D.: No! (ride) Posso dirvi che è stato un anno speciale, molto intenso, benefico in preparazione a quello che mi aspetta in futuro. Dopo aver conquistato il Premio Planeta, ho iniziato un giro promozionale sia in Spagna che in America Latina e la scorsa settimana è stato scelto il nuovo premio Planeta per 2017 ma il libro si vende ancora così bene in libreria che i due premi si stavano facendo concorrenza, tanto che è stato deciso di togliere la fascetta dal libro dove veniva indicato.
La scorsa estate ero molto stanca e affaticata, ogni giorno dormivo in un albergo e in una città diversi, non sapevo neanche dove mi trovassi. Poi io amo mantenere i contatti con i lettori, mi piace fare lunghe conversazioni e parlo con tante persone, assorbo le loro storie, ma poi faccio fatica a conciliare il sonno. Ero veramente esausta e ho deciso di fermarmi, interrompere la promozione in Spagna ma proseguire con quella internazionale. Sono stata in Portogallo e andrò in Olanda e per assurdo la promozione internazionale è più leggera dei ritmi in Spagna.
Infatti, in Italia sto cinque giorni meravigliosamente bene, poi torno a casa a scrivere e poi riprendo i miei viaggi. Quindi non ho scritto una sola parola in questo ultimo anno, ma ho preso decisioni importanti. Non riuscivo a cominciare il nuovo romanzo perché c’erano due storie che mi balenavano in testa, avevo bisogno di approfondire meglio quale delle due dovevo iniziare per prima.
E’ come essere combattuti tra due amori e abbiamo la necessità di conoscerli meglio. Questo periodo di riposo mi è servito per documentarmi e affrontare la scrittura.
Articolo a cura di Cecilia Lavopa