Intervista a B.A. Paris

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(c) Cecilia Lavopa

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Abbiamo incontrato B.A. Paris, scrittrice britannica al suo secondo romanzo tradotto in Italia dalla casa editrice Nord, intitolato La moglie imperfetta.
Nata e cresciuta in Inghilterra, si è trasferita in Francia per lavorare in una grande banca d’investimento. A un certo punto della sua vita, però, ha deciso di cambiare e di dedicarsi all’insegnamento e alla narrativa. Quindi ha fondato una scuola di lingue e ha iniziato la stesura del La coppia perfetta, il suo primo romanzo. Vive a Parigi col marito e i cinque figli.

1. Il suo esordio nella narrativa è stato un caso letterario, un successo di critica e di pubblico. Negli anni precedenti l’uscita de “La coppia perfetta”, immaginava di poter raggiungere un simile traguardo? E, sempre in quegli anni è stato difficile contenere la voglia di scrivere, oppure la scrittura non faceva parte della sua vita?
B.A.: Ho iniziato a scrivere otto anni fa, avevo scritto altre cose prima dei due romanzi e non mi aspettavo assolutamente che potessero avere successo. Qualcuno mi ha detto “Questo è il sogno della tua vita che diventa realtà!” Io direi che è molto più di un sogno, qualcosa di grande a cui non pensavo. Non conoscevo il mondo dell’editoria, anche se speravo che un giorno potessi vedere un mio romanzo nella vetrina di una libreria in Inghilterra. Al di là di quello, mai avrei immaginato che i miei romanzi venissero tradotti in altre lingue o che fossero acquisiti i diritti per un film, così come non mi sarei aspettata di venire in Italia. Avevo una vita normale, con dei figli, ma questo va al di là di ogni mia aspettativa.

2. In una intervista ha dichiarato di voler scrivere in principio narrativa per bambini. Da quel proposito, come si è poi ritrovata a costruire una trama come quelle dei suoi thriller?
B.A.: Ho sempre voluto scrivere, ho scritto racconti per bambini quando i miei figli erano piccoli. Un giorno mia figlia mi disse: “Mamma, ho un’idea per una storia e vorrei scrivere un libro.” Otto anni fa c’era un concorso sul Sunday Times per aspiranti scrittori e le dissi: “Perché non partecipi?” In realtà, aveva sedici anni e il concorso era per maggiorenni. Lei mi disse: “Mamma, fallo tu. Sei brava a scrivere storie per bambini, provaci.” All’inizio non ero molto convinta, ma andando a letto mi venne l’idea per un romanzo, l’indomani mi comprai un computer e non ho più smesso di scrivere.
3. Nel concepire le sue storie, fa riferimento a fatti di cronaca? Per lei la realtà è uno spunto o un limite?
B.A.: Di solito mi ispiro a qualcosa che conosco che riguarda persone vicine a me, amici e conoscenti. E’ avvenuto così per il primo: conoscevo una donna con il marito un po’ “strano” e mi ha dato l’idea per la storia. Per l’ultimo romanzo, Break Down, stavo guidando in una zona isolata, nei pressi di un bosco e mi sono chiesta: “Cosa farei se vedessi un’auto in panne?” E’ così che comincia una storia.

4. I personaggi dei suoi romanzi si muovono in un contesto psicologico denso di angoscia e inquietudine. È riuscita, durante la stesura, a non farsi contagiare dal quel contesto? Quali sentimenti ha provato nel descrivere, ad esempio, lo stato d’animo di Cass, convinta di essere affetta da demenza?
B.A.: Quando scrivo una storia, sono molto coinvolta dalla tensione che si prova, ma quando ho finito torno alla vita normale, non mi lascio influenzare da quelle sensazioni. So di alcuni attori che continuano a portare il personaggio con sé nella vita reale, invece io quando ho finito stacco tutto.

5. In entrambi i romanzi, le protagoniste raccontano la storia in prima persona. Perché questa scelta?
B.A.: Preferisco scrivere in prima persona perché sono io che provo quelle sensazioni, come i miei personaggi. Il quarto libro, in realtà, è raccontato in terza persona e sicuramente la difficoltà è la distanza che si crea, a quel punto fai un resoconto, ma non lo stai vivendo in prima persona.

6.Parliamo delle protagoniste femminili, Grace e Cass: donne minacciate da un nemico che si cela dietro una sinistra doppiezza. Lei ha un modello femminile di riferimento o si tratta di similitudini casuali?
B.A.: Non so se si possa parlare di un modello femminile, ma mi piace la donna che nonostante quello che le accade, esce vincitrice dalle avversità, sia che si tratti di soprusi o vessazioni in famiglia o nel lavoro. Donne che soffrono ma ne escono vittoriose. Nel mio terzo libro, invece, ho scelto di non avere una donna protagonista vittima, perché non volevo continuare con questo stereotipo.

7. Visto che le sue storie trattano i temi della violenza e dei soprusi consumati in ambito famigliare, ritiene che lo scrittore abbia degli obblighi sociali verso il lettore, nel senso di denunciare alcune piaghe della nostra società, oppure no?
B.A.: Sicuramente, c’è un dovere morale che lo scrittore ha nei confronti di queste tematiche di denuncia. Quello che mi ha stupita molto dopo aver scritto i libri è stata la risposta da parte delle donne. Ho ricevuto lettere lunghissime nelle quali dicevano di essersi ritrovare in Grace, di aver vissuto le stesse esperienze. Recentemente una donna, dopo aver letto entrambi i romanzi, mi ha detto di avere avuto il coraggio di uscire dalla sua relazione con un uomo violento. In particolare, questi libri non parlano di violenze domestiche, ma del controllo coercitivo che l’uomo esercita sulla donna. Non lascia dei lividi, dei segni evidenti sul corpo, è molto più difficile da dimostrare. Sono contenta che questo argomento sia venuto fuori, visto che forse se ne parla poco.

8. Quali sono, ammesso che ci siano, i parametri dai quali i suoi testi non prescindono?
B.A.: Il parametro essenziale è quello di avere un personaggio nel quale riconoscersi, in modo che il lettore possa indentificarsi con le sue esperienze e con quello che prova. Metto più l’accento sulle persone anziché sui luoghi. Questo secondo me è l’elemento fondamentale: uno o più personaggi, con i quali il lettore si possa confrontare, altrimenti non avrebbe motivo di leggere il libro.

9) Forte di un successo straordinario, cosa consiglierebbe agli autori esordienti?
B.A.: Consiglierei sicuramente di non arrendersi mai. Anch’io ho ricevuto parecchie risposte negative dalle agenzie letterarie a cui ho mandato i miei lavori, ma mi sono detta: “Va bene, scriverò un altro libro.” Poi, avevo una sensazione di “pancia” che provavo, sentivo che prima o poi avrei scritto il libro giusto. Se non hai questa spinta, se ti deprimi a ogni rifiuto, non potrai mai farcela.
So di persone che dopo un rifiuto hanno pianto per due giorni. Io vado avanti, rimango un po’ delusa per un paio di minuti, ma mi riprendo e continuo a provarci.

Intervista a cura di Terri Casella Melville