Intervista a Ruth Ware

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(c) Cecilia Lavopa

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Ha scritto “L’invito” e “La donna della cabina n. 10“, entrambi pubblicati in Italia con Corbaccio. Ora torna con il terzo thriller intitolato “Il gioco bugiardo” e abbiamo incontrato questa autrice britannica i cui romanzi sono bestseller internazionali pubblicati in più di quaranta lingue. Di chi stiamo parlando? Di Ruth Ware! 
I suoi libri sono nelle classifiche del Sunday Times e del New York Times e dei primi due romanzi sono stati venduti i diritti cinematografici.
Nonostante questo, l’autrice è riuscita a mantenere i piedi ben saldi per terra e si presenta agli italiani nella sua semplicità e simpatia.
Questa l’intervista:

1.Benvenuta, come ha avuto l’idea per questo terzo libro, uscito ora per Corbaccio, intitolato “Il gioco bugiardo”?
R.: Intanto vi ringrazio dell’accoglienza. E’ la mia prima volta a Milano! Quando uscì il mio primo libro, fu pubblicata una recensione che diceva che il mio romanzo aveva fatto per l’amicizia fra le donne quello che “Gone girl” Il libro tradotto in Italia “L’amore bugiardo” aveva fatto per il matrimonio. Aveva descritto un legame che aveva del “tossico”. Rimanemmo molto colpiti che il mio libro venisse paragonato a Un amore bugiardo, ma al tempo stesso mi sentivo molto in colpa con le mie amiche con le quali condivido un forte legame da quando siamo piccole.
Quindi, quando iniziai a scrivere il terzo libro, volevo raccontare il lato più bello dell’amicizia tra donne, capaci di camminare sul fuoco per sostenersi. Nei miei primi due libri, i personaggi principali erano giovani donne, ma non mi capitava mai di leggere libri di donne della mia età, con bambini. Sentivo dentro di me il desiderio di scrivere di una donna più vicina alla mia età, che gestisse le stesse sfide che avevo io.
Volevo scrivere qualcosa in cui si potesse parlare di quello che un genitore è disposto a fare per i propri figli. Quando sei giovane, faresti di tutto per i tuoi amici, poi nasce un figlio e le priorità cambiano e attraverso i personaggi di questo libro, avevo la possibilità di esplorare nuovi spazi.

2. Si parla tanto di amicizia femminile, secondo te è perché le donne hanno personalità più sfaccettate e con sentimenti che entrano più in gioco? Oppure l’amicizia tutta al maschile rappresenterebbe una sfida tutta diversa?
R.: Il motivo per cui scrivo al femminile è perchè sono una donna, mi è più facile capire come pensa e come può sentirsi. Quando devo parlare di un uomo devo mettermi nei suoi panni, posso farlo ma sarebbe frutto di uno sforzo. Invece parlare di queste donne mi sembra di averle sempre conosciute, di aver preso un caffè insieme.
Tu dici che sono tanti i libri che parlano di amicizia fra donne, penso non siano abbastanza. La maggior parte dei libri parla di un amore romantico ma non tanto di amicizia. Voi avete Elena Ferrante – una scrittrice che amo – che scrive libri il cui fulcro della storia è proprio l’amicizia femminile e forse per questo sono così belli. Gli uomini esistono, ma sono soltanto ai margini.

3. Qual è il limite dell’amicizia?
R.: La sua domanda è il nocciolo del libro, qual è il limite estremo dell’amicizia? Ci sono alcuni amici per i quali farei qualsiasi cosa, altri a cui non affiderei mio figlio, ma neanche il mio gatto. Cerco di esplorare cosa succede quando, come nel caso di Isa, l’amicizia comincia a essere in competizione con il proprio figlio o il proprio partner e come cambia quando crolla il sentimento di fiducia su cui si fonda il rapporto tra le ragazze. E quando si scopre che esistevano delle menzogne, crollano le fondamenta dell’amicizia. C’è mai stata, allora? I limiti sono proprio il cuore, il tema centrale del libro.

4. Il romanzo è incentrato sul gioco delle bugie, le cui regole scandiscono la storia e prendono il posto di un vero e proprio indice. Com’è nata questa idea originale?
R.: Volevo creare come contesto un collegio, perché l’idea era che i personaggi fossero lontani dalla propria famiglia e dai genitori, così da creare un’atmosfera molto intensa, come se il nucleo degli amici fosse già una famiglia di per sé. Volevo anche inserire un elemento tossico nel libro e inizialmente avevo dato un titolo provvisorio di “Going game”, tipo fingere interessante raccontare di menzogne che costituivano la vita intera di questi personaggi. Per anni avevano raccontato menzogne per sopravvivere, creando una sorta di gabbia intorno a loro, alienando tutto il resto del mondo. Come scrittrice, poi, io sono una bugiarda professionista!

5. La storia ha come protagonista quattro donne molto diverse tra loro. Quale le suscita maggior identificazione e vicinanza?
R.: Ho sempre voluto creare quattro personaggi, perché volevo vedere che effetti potesse avere il tema centrale del libro su persone diverse. In effetti, tutte e quattro reagiscono in maniera diversa: Isa che sembra aver sepolto tutta la sabbia, Kate invece sembra portarsi il peso sulle spalle, Fatima ha trovato rifugio nella fede e Thea, invece, ha trovato rifugio nell’alcol. Non è stato difficile creare queste quattro amiche, nessuna di loro copia chi esiste realmente, non lo trovo etico e non lo farei mai. E’ altrettanto vero che tutti i personaggi hanno qualche elemento di miei amici, o di me stessa. Anche io ho perso i genitori come è successo a Kate e probabilmente il suo modo di reagire a questa perdita è molto simile al mio. C’è del vero in tutte.

6. Perché la scelta di raccontare in prima persona attraverso Isa e in terza persona le altre sue amiche?
R.: Ho sempre pensato che Isa dovesse essere il narratore, perché è l’unica ad aver vissuto l’esperienza della genitorialità da poco e volevo cercare di capire fino a che punto una persona fosse disposta ad arrivare, quanto sarebbe stata capace di mettere in discussione l’amicizia rispetto alla maternità.
C’è stato un momento in cui pensavo di dividere il libro in diverse sezioni e affidare a ogni personaggio la narrazione, quindi dare voce a tutte le donne in prima persona, ma visto che appartengono a classi sociali simili, hanno caratteristiche simili, sarebbe stato difficile riuscire a dare una voce diversa tra loro. A meno che ogni singola voce non sia identificabile, la lettura crea confusione e fastidio.

7. Altro personaggio che ho trovato molto presente nel libro è l’ambientazione: il paese di Salten. Trasmette una sensazione di inevitabilità di un evento brutto visto l’isolamento, il vento, la palude che lo circonda. Ricorda un po’ i romanzi gotici, Jane Eyre, The mill on the floss (Il mulino sul Floss, George Eliot) e poi Henry Potter… Cosa ne pensa?
R.: L’ambientazione è una delle prime cose che avevo deciso, in particolare l’inserimento di un mulino. Quattro o cinque anni fa mi trovavo con la mia famiglia in un paesino della Bretagna, Saint-Suliac, un villaggio di pescatori che addobbano le loro case con le reti da pesca, un paesaggio un po’ cupo, tetro, con piccoli pesci e piccoli granchi morti che rimangono appesi. Stavamo andando a comprare del pane con la macchina e da lontano vedemmo una palude con un vecchio mulino, una silouette nera, scura, bellissima ma allo stesso tempo tetra. Ci sono voluti anni ma finalmente sono riuscita ad inserire questa immagine all’interno di un libro. All’università ho letto tanti libri del diciannovesimo secolo, quindi anche Jane Eyre è stata fonte di ispirazione, The mill on the floss non l’ho letto e ora mi dispiace…

8. Che rapporto ha con la psicologia? Si percepisce un profondo rapporto tra la sua scrittura e la sua personalità. E’ realmente così o è una caratteristica dei libri che scrive?
R.: Non sono interessata alla psicologia in maniera scientifica, ma mi interessa capire cosa scatta nella mente delle persone in determinate situazioni. Sono la tipica persona che nei ristoranti ascolta i dialoghi degli altri, della coppia seduta al tavolo accanto, mi interessano le storie che la gente si racconta. Spesso siamo portati a dare una versione più nobile dei fatti per scusarci delle azioni che commettiamo.

9. Il marito di Isa, Owen, è un personaggio che vive ai margini della sua vita. Viene sempre tagliato fuori dalle azioni. Sembra quasi che non c’entri molto, è quasi una distrazione dalla storia. Cosa ne pensa?
R.: E’ vero quello che dici, anche alcuni lettori me lo hanno fatto notare. Invece volevo dimostrare che tutte le ragazze hanno dovuto pagare un prezzo per quello che hanno fatto. In particolare, Isa ha mentito sempre nella vita e soprattutto al suo partner. Quindi che tipo di rapporto riesci a costruire attraverso le menzogne con la persona che ami? Volevo sottolineare l’impatto che questo si viene a creare non solo nell’adolescenza, ma anche nell’età adulta.

10. Ambrose è un personaggio piuttosto ambiguo, in più di un’occasione il lettore è portato a credere che il suo comportamento con le ragazze sia stato riprovevole. Le protagoniste con gli occhi dei quindici anni lo vedono come un personaggio quasi mitico e senz’altro positivo, mentre con gli occhi dei trent’anni l’immagine un po’ si incrina. Cosa ne pensa di lui?
R.: Non mi ricordo come mi sia venuto in mente questo personaggio, sarebbe stato facile trasformarlo nell’eroe della storia, questa figura tragica con una morte altrettanto tragica. Ma visto che a me piacciono le situazioni complicate, volevo creare un personaggio ambiguo e seppure avesse questo sentimento benevolo verso le ragazze, è anche responsabile di molte situazioni. Non volevo quindi pronunciarmi troppo su di lui, volevo lasciare al lettore la decisione finale.

11. Sebbene non abbia una vera voce all’interno della storia, baby Freya è onnipresente nel romanzo. Perché scegliere una neonata? E’ per far emergere maggiormente la dipendenza fra madre e figlia e Isa con le sue amiche?
R.: Quando ci sono due forze opposte e contrarie che agiscono contemporaneamente, da una parte la bambina e dall’altra le amiche, si creano questi disagi. La stessa situazione che ho vissuto io stessa: tirata dalla mia vita professionale, dalle mie amiche e dall’essere madre di due bambini, Ovviamente io ho reagito in modo diverso…
Ricordo che quando uscì il libro, ricevetti una recensione in cui si diceva che il modo in cui le preoccupazioni costanti di Isa nei confronti della bambina potevano infastidire qualche lettore, però un’altra lettrice mi scrisse ringraziandomi per il ritratto realistico.

Intervista realizzata in collaborazione con Barbara Gambarini